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Le conseguenze della signora Thatcher

Le conseguenze economiche della signora Thatcher: più rapida crescita, maggiore sensibilità delle variabili sociali alle fluttuazioni economiche e più rapida crescita della disuguaglianza. Difficile capire quanto i risultati siano dovuti alle politiche pro-market attuate dalla Lady di Ferro.
BILANCIO DEGLI ANNI THATCHERIANI
In un 300 parole non si può fare un bilancio di dieci anni di un primo ministro, specialmente se la sua eredità è così controversa come quella lasciata da Margaret Thatcher. Un 300 parole è inevitabilmente l’espressione di un punto di vista non troppo argomentato, una breve reazione a caldo di fronte al fatto del giorno. Qui provo a valutare in modo più argomentato – come scrisse Paul Krugman molti anni fa – le conseguenze economiche della signora Thatcher.
Nella tabella viene riportato il valore del Pil pro capite nei quattro più grandi paesi dell’Europa e negli Stati Uniti tra il 1979 e il 2012. Gli anni scelti come punto di riferimento sono il 1979 (l’anno in cui Margaret Thatcher vince le elezioni), il 1981 (l’anno in cui finisce la recessione nel Regno Unito), il 1990 (l’anno in cui la signora Thatcher dà le dimissioni), il 2007 (l’anno di massimo del ciclo economico prima della crisi) e il 2012 (l’ultimo anno disponibile).
L’evoluzione del Pil pro capite nei grandi pasi dell’Europa e negli Stati Uniti

 

1979

1981

1990

2007

2012

Regno Unito

100.0

96.4

125.8

190.8

180.4

Francia

100.0

101.5

121.2

152.4

149.2*

Germania

100.0

101.5

125.6

162.0

168.5

Italia

100.0

103.9

130.2

159.1

144.6

Stati Uniti

100.0

100.1

123.2

168.7

178.6*

Nota: per Francia e Usa il dato 2012 si riferisce al 2011.
LA SIGNORA THATCHER E IL PIL NEGLI ANNI ’80
Dalla tabella emergono chiaramente gli effetti recessivi delle politiche monetarie anti-inflazione adottate inizialmente dalla signora Thatcher. Il Pil pro-capite inglese diminuisce di ben 3,6 punti percentuali in due anni tra il 1979 e il 1981, mentre negli altri paesi europei il Pil pro capite aumenta in modo consistente (di un punto e mezzo in Francia e Germania e per più di tre punti in Italia) negli stessi anni in cui il Regno Unito entrava in una drammatica recessione. Un segno eloquente del fatto che la lotta contro l’inflazione non occupava un posto ugualmente alto nell’agenda politica di tutti i pasi europei nei primi anni Ottanta.
Dalla tabella si vede anche che, quando nel 1990 Margaret Thatcher dà le dimissioni, il Pil pro capite inglese è arrivato a sfiorare il livello di 126, con un aumento del 30 per cento rispetto al punto di minimo del 1981. L’aumento registrato tra il 1981 e il 1990 è il più alto tra i paesi considerati nella tabella. Non è quindi corretto affermare – come ha fatto anche Paul Krugman sul suo blog – che i supposti effetti positivi delle politiche della signora Thatcher si sarebbero manifestati solo negli anni Novanta, quando la Lady di Ferro non era più in carica.
I dati della tabella indicano piuttosto che le politiche della signora Thatcher sembrano aver prodotto risultati in due tempi. Un effetto recessivo di impatto, il che è esattamente quello che viene previsto in ogni libro di macroeconomia a fronte di una politica monetaria restrittiva specialmente con salari reali rigidi verso il basso. E un effetto espansivo che arriva solo dopo qualche tempo (due anni, in questo caso), con il Pil pro capite che ritorna al suo livello del 1979 solo a metà del 1982. La rapida crescita dell’economia inglese nel secondo tempo degli anni della signora Thatcher viene dalla crescita della produttività di un settore manifatturiero in pieno downsizing e dallo sviluppo del settore dei servizi finanziari e immobiliari. Al netto dei due tempi delle politiche macroeconomiche, alla fine degli anni Ottanta il Pil inglese è cresciuto più che in Francia e negli Stati Uniti, più o meno come in Germania e meno che Italia (per inciso, gli anni Ottanta in Italia sono i tempi dell’accumulo del debito pubblico che non abbiamo più rimborsato).
In parallelo, durante l’amministrazione Thatcher, nel Regno Unito esplode la disoccupazione: dal 5 per cento del 1980 all’11 per cento del 1983 e a quel livello rimane fino alla fine degli anni Ottanta. Come si vede nel grafico, l’aumento è superiore a quello osservato, ad esempio, in Francia dove nello stesso periodo di tempo la disoccupazione sale comunque dal 4,5 al 9 per cento. Chi sottolinea i costi sociali delle politiche della Thatcher si sofferma dunque su questo lungo intervallo di tempo durante il quale l’economia inglese entra in recessione e poi si riprende, ma solo lentamente, periodo durante il quale la disoccupazione va alle stelle. Si potrebbe però anche aggiungere che, grazie alla rapida e persistente ripresa dell’economia inglese, nella seconda metà degli anni Novanta la disoccupazione scende dall’11 al 7 per cento nel Regno Unito, mentre cala in misura ben più limitata in Francia (dal 9 all’8 per cento). Dal 1993 fino al 2007 la disoccupazione in Francia rimane sempre più alta di quella inglese di tre o quattro punti percentuali, tranne che nel 2009. È difficile argomentare che la performance del mercato del lavoro inglese sia peggiore di quella del mercato del lavoro francese.

LE CONSEGUENZE DI LUNGO PERIODO DELLA SIGNORA THATCHER
I dati relativi al 2007 e al 2012 forniscono potenziali indicazioni degli effetti di più lungo periodo delle politiche della signora Thatcher, sotto l’ipotesi – giudicata plausibile dai più – che né i governi successivi né altri importanti eventi indipendenti dalla politica (esempio: la scoperta del petrolio nel Mare del Nord) abbiano modificato in modo sostanziale l’orientamento impresso dalla Lady di ferro all’economia inglese. I dati sul Pil pro capite fino al 2007 indicano il boom del Pil pro capite registrato nel Regno Unito durante la rivoluzione finanziaria e tecnologica degli anni Novanta e degli anni Duemila fino al periodo pre-crisi e riflettono quindi anche le politiche di John Major, il conservatore che sostituì la signora Thatcher, e il laburistaTony Blair. In ogni caso, il Pil pro capite del Regno Unito nel 2007 arriva a superare il livello di 191, il che rappresenta appunto una crescita del 91 per cento rispetto al suo livello del 1979. Sempre usando il 1979 come punto di riferimento posto pari a 100, il Pil pro capite degli Stati Uniti si ferma a 169 nel 2007, quello della Germania a 162, quello dell’Italia a 159 e quello della Francia a 152. Queste differenze non sono noccioline, sono decine di punti di Pil pro capite – e quindi di benessere medio – di differenza. I dati 2012 mostrano poi che nemmeno il pronunciato calo di reddito pro capite degli ultimi cinque anni – ben più marcato nel Regno Unito che in altri paesi – ha cancellato il divario tra la performance dell’economia inglese e quella delle grandi economie concorrenti dopo il 1979.
In questo periodo di tempo, tuttavia, in parallelo con la più rapida crescita economica, nel Regno Unito esplodono anche le disuguaglianze, come sottolineato tra gli altri da Romano Prodi sul Sole-24Ore e come confermato dalla tabella in cui viene riportata l’evoluzione nel tempo dell’indice di Gini, un indice riassuntivo dell’entità delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi al netto dell’intervento redistributivo dello Stato. L’incremento della disuguaglianza è stato particolarmente evidente nel Regno Unito e negli Stati Uniti. La disuguaglianza è però molto aumentata anche in Italia, dove di politiche pro-market si è visto poco, anche se significativamente nel nostro paese la crescita delle disuguaglianze si è concentrata nel decennio delle privatizzazioni senza liberalizzazione, cioè negli anni Novanta.
 L’evoluzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito nei grandi pasi dell’Europa e negli Stati Uniti

Leggi anche:  Perché le elezioni francesi spaventano i mercati
 

Metà anni ‘70

Metà anni ‘80

Metà anni’90

Metà anni 2000

Regno Unito

.27

.31

.34

.33

Francia

n.d.

.30

.28

.29

Germania

n.d.

.25

.27

.28

Italia

n.d.

.31

.35

.35

Stati Uniti

.31

.34

.36

.38

Nota: un valore più grande dell’indice di Gini rappresenta un aumento della disuguaglianza
A conclusioni simili a quelle ottenute parlando di disuguaglianza si arriva confrontando i dati relativi alla povertà, misurata come la frazione della popolazione che vive con un reddito inferiore al 60 per cento del reddito dell’inglese mediano (quello il cui reddito si trova esattamente a metà della distribuzione del reddito). La frazione dei poveri aumenta dal 12,9 per cento del totale nel 1975 al 17,4 nel 1985 fino al 22 per cento nel 1990. A differenza che nel caso delle disuguaglianze, nel caso della povertà la continuazione della crescita economica negli anni successivi produce però un risultato: nel 2005, la frazione dei poveri scende al 18 per cento del totale. Anche qui va detto che, rispetto ai primi anni Ottanta, la povertà è generalmente aumentata un po’ ovunque nei paesi europei, non solo nel Regno Unito. Nel Regno Unito è aumentata di più, ma è anche scesa di più negli anni prima della crisi.
In conclusione, i dati indicano chiaramente le conseguenze economiche della signora Thatcher. Più rapida crescita, maggiore sensibilità delle variabili sociali alle fluttuazioni economiche e più alta disuguaglianza. Con un caveat che non può essere dimenticato: quanto di questi sviluppi – nel Pil pro capite come nella disuguaglianza – sia dovuto alle politiche pro-market di Margaret Thatcher in Inghilterra (e di Ronald Reagan e George Bush negli Usa) e quanto i risultati osservati siano invece da attribuire all’avvento di Internet, cioè di una tecnologia che genera pochi vincitori e tanti vinti, è difficile da accertare. Rimane il fatto che la signora Thatcher è stata un politico che si è battuta con coerenza per realizzare le sue idee e ha lasciato una traccia così indelebile nella storia del suo paese che ancora oggi si parla di lei. Non sono tanti i politici che possono vantare lo stesso record, nel bene e nel male.

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21 commenti

  1. Valentino Larcinese

    Mi pare che dalla prima tabella manchi una data importante: 1997, il passaggio del governo dai Conservatori ai Laburisti. Inserendo quella data si vedra’ che la crescita piu’ consistente si e’ avuta dopo il 1997. Questo non implica che esista una causalita’ fra governo labour e crescita, pero’ non mi pare corretto attribuire alla Thatcher la crescita che si e’ avuta sotto i laburisti. E’ vero che Blair ha mantenuto molte delle rifome pro-market della Thatcher ma e’ anche vero che ha cambiato radicalmente l’approccio alle politiche pubbliche, sia aumentando notevolmente la spesa pubblica in sanita’ e istruzione sia introducendo riforme importanti nella modalita’ con cui i servizi pubblici vengono forniti. Peraltro, dopo una crescita notevole sotto Thatcher e Major, la disuguaglianza (indice di Gini) e’ rimasta pressocche’ invariata negli anni di governo Labour, continuando a crescere sotto il primo governo Blair ma tornando indietro successivamente, segno probabilmente che le politiche pubbliche implementate dal Labour party hanno avuto un impatto. Dunque saltare direttamente dal 1990 al 2007 mi pare fuorviante.

  2. Pietro Biroli

    Uno dei cavalli di battaglia della Thatcher era che l’aumentare del reddito aiutava anche i poveri, nonostante l’aumento delle disuguaglianze. Insomma, non si alzava solo la media (o la mediana) ma anche tutta la distribuzione del reddito. Questo e’ un punto che fa anche Roberto Perotti nel suo articolo del sole24ore
    “durante il suo mandato salì il reddito disponibile di tutte le fasce della popolazione, anche del quintile più basso, che era invece sceso durante la recessioni dei terribili anni 70
    di Roberto Perotti – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/LhmqS
    Quando analizzate la poverta’, si analizza la poverta’ relativa (ancorandola al reddito meniano). Sarebbe interessante vedere i dati della poverta assoluta (magari in PPP) delle classi piu’ basse della popolazione

    • Daniele Perissi

      Peccato che il punto di Perotti sia falso: basta analizzare i numeri (vedi lo spreadsheet messo a disposizione dall’IFS qui http://www.ifs.org.uk/fiscalFa… ). Essi mostrano chiaramente cosa abbia voluto dire l’incremento del PIL del periodo thatcheriano in termini di reddito disponibile (after housing costs) per i vari centili della income distribution UK. Per dare soltanto un paio di numeri:
      – nel tredicennio precedente al 79 (1966-1979): reddito del 10° centile della income distribution +21% – reddito del 95° centile: +16%.
      – nel tredicennio thatcher (1979-1991): reddito del 10° centile: -0,4% – reddito del 95% centile: +63%.
      In totale tra il 1979 e il 1991 il 25% piu povero della popolazione UK (1/4) non ha avuto alcun aumento del proprio reddito!!!!! Altro che avanzare tutta la distribuzione del reddito!!!

  3. Pietroqd

    Per interpretare ancora meglio i supposti dati, consiglio di usare il modello (che sicuramente conoscerà) di Clarida-Galì-Gertler ottimo per prevedere il tempo di domani!! Ma per favore, l’economia politica con numeri e formule è più devastante della bomba atomica.

  4. Luciano

    Romano Prodi -nel suo articolo sul Sole24Ore- dice anche un’altra cosa molto, molto importante.
    Le ricette iper-liberiste implementate dalla Thatcher e da Raegan e divenute pensiero unico dominante x 3 decenni (Daveri le definisce in modo più ovattato pro-market) si sono rivelate causa della crisi attuale e ostacolo alla ripresa globale.

    • francesco daveri

      Faccio fatica a vedere le ricette “iper-liberiste” come il pensiero unico dominante su tre decenni vivendo in Italia, cioè in un paese dove la spesa pubblica, nei tre decenni indicati, è solo aumentata, dove si è privatizzato senza liberalizzare i settori coinvolti e dove diventare notaio o professore universitario richiedeva di essere figli – meglio se maschi – di un notaio o di un professore universitario. Nel Regno Unito dopo la Thatcher c’è stato bisogno delle correzioni di Blair. Ma se da noi ci fosse stata una Thatcher non so staremmo meglio ma forse oggi avremmo una società meno ingessata.

  5. Luciano

    Tutta colpa di epigoni “un pò fessi” che hanno applicato ricette economiche e sociali “tanto innovative” in modo troppo drastico?..forse il problema è nelle ricette stesse.

  6. Davide

    “da attribuire all’avvento di Internet, cioè di una tecnologia che genera pochi vincitori e tanti vinti”
    Questa affermazione è senza fonti, avulsa dal contesto e non giustificata. In che modo internet influisce sull’indice di Gini?

    • Da molti anni esiste evidenza empirica sulla presenza di “skill-biased technical change” cioè di un progresso tecnico legato all’ adozione dell’ICT e che viene ritenuto all’origine dell’ampliarsi delle disuguaglianze all’interno dei paesi. Il mio pezzo non era su questo argomento e qui ho fatto solo un accenno, forse troppo criptico. C’è un recente articolo di Acemoglu e Autor sul Journal of Economic Literature che parla di questi temi e più in generale della gara tra education and technical change. http://economics.mit.edu/files/8043

  7. Sono d’accordo sull’osservazione che la riduzione della povertà che si vede nei dati Ocse da me riportati ha a che vedere anche con la correzione di politiche pubbliche di Blair.
    Ma è difficile attribuire a Blair – piuttosto che all’ICT e alla finanza – il merito della rapida crescita post 1997. Per questo ho guardato al 2007.
    In ogni caso, i risultati di miglior performance dell’economia inglese rimangono anche se ci si ferma al 1997: con 1979=100 per tutti, UK=146, Italia=143, Usa=139, Germania=138 e Francia =129. Sono ancora più evidenti se li si calcola dopo il 1981 cioè dal punto di minimo della recessione.

  8. Davide

    Quanti sforzi per poter dare meriti a questa governante, sembra che tutta la storia dell’economia occidentale giri intorno a questa donna (ma era solo lei a governare?). Si vuole per forza trovare un senso economico alle politiche economiche, mentre vi è solo un senso politico. Il resto è propaganda.
    Con gli stessi criteri di questo articolo si potrebbe dimostrare che il boom italiano partito negli anni ’50 sia merito di Mussolini.
    La crisi finanziaria ha inoltre dimostrato che le economie continentali più forti (Francia e Germania) hanno dei fondamentali più solidi nonostante gli stress subiti (cambio monetario, riunificazione tedesca) e la scarsità di materie prime.

  9. Daniele Perissi

    Mi permetto di dissentire sull’acritica analisi della crescita del PIL nel periodo thatcheriano che si continua a fare in questo pezzo (nonché maggiormente sfumata che nel 300 parole): ancora non si tengono di conto i numeri che si celano dietro alla crescita media del PIL…e si che non è complicato trovarli (vedi lo spreadsheet messo a disposizione dall’IFS qui http://www.ifs.org.uk/fiscalFacts/povertyStats) e essi mostrano cosa abbia voluto dire l’incremento del PIL del periodo thatcheriano in termini di reddito disponibile (after housing costs) per i vari centili della income distribution UK. Per dare soltanto un paio di numeri:
    – nel tredicennio precedente al 79 (1966-1979): reddito del 10° centile della income distribution +21% – reddito del 95° centile: +16%.
    – nel tredicennio thatcher (1979-1991): reddito del 10° centile: -0,4% – reddito del 95% centile: +63%.
    In totale tra il 1979 e il 1991 il 25% piu povero della popolazione UK (1/4) non ha avuto alcun aumento del proprio reddito!!!!!
    Per favore non parliamo di conseguenze dettate solo da internet, la tecnologia e skill-bias: questi sicuramente hanno un ruolo, ma i risultati di tanti altri paesi, tra cui Francia e Svizzera (http://www.vwl.unibe.ch/studies/3096_e/dynamics_distr.pdf) negli stessi anni dimostrano che l’aumento delle disuguaglianze interne è tutt’altro che inevitabile.
    Un’analisi dell’aumento del PIL che non tenga conto di questo aspetto è, a mio modesto avviso, estremamente limitante e non permette di capire le conseguenze politiche e sociali di determinate politiche economiche. Rispettosamente

  10. Luciano

    Completamente in sintonia con la tua analisi

  11. Luciano

    L’attacco ai diritti dei lavoratori (precarizzazione del lavoro in tutte le forme possibili, abolizione dell’art 18), il progressivo impoverimento/smantellamento del welfare (giunto al parossismo con la riforma Fornero delle pensioni), le privatizzazioni (in Italia massicce almeno quanto in Uk) e la deregulation (in Italia si è deregolamentato -es commercio- o inflazionato l’offerta -es libere professioni- persino troppo) è iniziato nel 1980 con la marcia dei 40 mila alla Fiat.
    L’economia è ingessata dalle deliranti politiche di austerity imposte al nostro paese dall’Europa. Non si combatte la recessione con manovre recessive. Usa, Giappone e Bric infatti fanno l’esatto opposto.Quale e quanto debito pubblico sia necessario o esiziale alla crescita di un paese è argomento complesso e da sviluppare ulteriormente.

  12. Il mio pezzo non parla solo del Pil ma anche di disoccupazione, disuguaglianza e (una misura della) povertà. Quindi non definirei la mia analisi “acritica” perchè prende in considerazione una varietà di dimensioni tutte rilevanti nel valutare l’attività di un politico.
    Aggiungerei anche (rispettosamente, per carità) che il link suggerito al sito Ifs non funziona.

    • Daniele Perissi

      Mi scuso, questo dovrebbe essere il link funzionante http://www.ifs.org.uk/fiscalFacts/povertyStats
      Sono d’accordo che l’analisi dell’articolo globalmente si riferiva anche a disoccupazione e altre variabili. L’accusa di “acriticità” era relativa solo alla parte di analisi concernente il PIL, nel senso che si metteva in evidenza il “benessero medio” che risultava alla fine del tredicennio thatcheriano senza analizzare in quali fasce della popolazione questo benessere in concreto fosse finito. I dati dell’IFS mostrano nel dettaglio le conseguenze di questo aumento del benessere medio nei vari settori della popolazione.

  13. Fla

    “Thatcher’s answers to the growing industrial disorder of the 1970’s were “monetarism” to liquidate inflation, legal curbs on trade-union power, and privatization of bloated state-owned industries – “selling off the family silver” as
    former Conservative Prime Minister Harold Macmillan called it. The aim of all three measures was to restore both state authority and economic
    dynamism.
    With the help of North Sea oil, Thatcher reversed Britain’s relative economic decline. But her victories came at a huge social cost, with unemployment rising to 12% of the labor force (three million people) in 1984, the highest since the 1930’s. For those growing up in the industrial north, Thatcherism foreclosed the future. The new economy based on finance and shopping skipped a generation…The shift toward finance that Thatcher promoted heightened inequality
    and made the economy more volatile. Her “right to buy” policy triggered an upward spiral in house prices, which encouraged households to take on
    more and more debt. The “Big Bang” of 1986, which de-regulated financial services, made risky behavior in the City the norm. These reforms sowed the seeds of the financial crisis of 2008” . Grafico sui redditi dell’1% della popolazione britannica http://nakedkeynesianism.blogspot.it/2013/04/thatcher-in-one-graph.html . Prezzi del Brent in questo studio Bankitalia, in figura 1 e 2, che aiutarono, e non poco, la ripresa al tempo. Direi che le conseguenze economiche della Sig.ra Thatcher sono state profonde, e dense di problemi per i lavoratori britannici. Cordiali saluti.

  14. ING

    mi spiace ma non c’è una solida analisi causa effetto: considerare la scoperta del petolio del mare del nord trascurabile, non includere internet nè la corsa alla finanza credo non sia accettabile. l’unico dato correlabile in maniera più solida sembrerebbe la disuguaglianza, e non è esattamente una dato favorevole. credo si possa tranquillamente archiviare la thatcher

    • Valentina

      Giusto, si può archiviare come la persona che ha impedito alla Gran Bretagna di fare la fine dell’attuale Grecia. Il resto sono cose da parassiti

  15. Gli Italiani che parlano male della signora Thatcher non hanno visto l’Inghilterra cosa era nel 1970s.
    Gli inglesi che ne parlano male magari sono i figli che avevano genitori minatori. Ora non si sognerebbero per niente di scendere giù a 1 km sotto terra come facevano i loro padri.
    Tutti hanno davanti ai loro occhi l’Italia del 2013 (non è un bel vedere), e l’Inghilterra del 2013 (in leggera crescita e speranzosa nel futuro).

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