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Clima, uno scenario per passare dalle parole ai fatti

Il Green Deal europeo ha avuto un effetto traino su paesi e grandi imprese. Il rischio è che agli annunci non seguano fatti. Ora il rapporto Nze dell’Agenzia internazionale dell’energia ha il merito di mettere tutti davanti alle proprie responsabilità.

Il traino dell’Unione europea

I grandi cambiamenti nella storia dell’Europa non sono mai avvenuti senza travaglio. Così è stato fin dalla nascita della Comunità economica europea, con il trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957: una storia di sfide coraggiose e passi visionari che è proseguita per mezzo secolo, quasi che “gettare il cuore al di là dell’ostacolo” sia divenuta cifra distintiva di questa parte del mondo.

Seguendo questo approccio, il 28 novembre 2018 l’Ue ha presentato la sua strategia a lungo termine “per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra entro il 2050”. Per dare maggiore enfasi alla visione, la presidente Ursula von der Leyen ha utilizzato l’espressione “questa è la nostra missione Apollo”.

La ferma e coraggiosa posizione dell’Unione europea sul fronte della lotta al cambiamento climatico ha causato un effetto valanga e ormai oltre 100 paesi hanno dichiarato l’obiettivo di “neutralità” carbonica entro il 2050. A completare l’elenco possiamo ricordare che la Cina ha assunto un impegno analogo per il 2060, mentre l’India oscilla tra un’adesione entusiasta e una mancata partecipazione.

A seguire, un gruppo di aeroporti europei, diverse compagnie aree, Microsoft e Apple, Dhl e Ikea e migliaia di altre realtà economiche dei settori merceologicamente più disparati si sono affrettate a dichiarare la loro volontà di raggiungere la neutralità carbonica in una sorta di carrozzone verde, i cui contorni restano ancora da definire. 

Tuttavia, già si avverte l’esigenza di fare chiarezza su questi annunci per allontanare il sospetto che si tratti, appunto, solo di annunci, quasi una moda, per non essere da meno.

Per cominciare, una cosa è la neutralità climatica e un’altra la neutralità carbonica (solo CO2 o tutti i gas-serra?). E poi, quanto sarà riduzione di emissioni, quanto rimozione diretta di CO2 (per esempio, afforestazione) e quanto compensazione (per esempio, acquisto di certificati verdi)? E ancora, vista la differente permanenza in atmosfera dei gas-serra e il loro differente potere riscaldante, la tempistica delle riduzioni diventa cruciale e potrebbe richiedere per alcuni paesi di raggiungere la neutralità anticipatamente. Dopotutto, gli obiettivi di neutralità sono un gioco a somma zero.

In secondo luogo, dalla lettura dell’insieme di piani e programmi di neutralità climatica non è sempre facile ricavare un disegno completo di politiche, tecnologie e strumenti da attivare per raggiungere il risultato proposto. Il punto è: come si può raggiungere l’obiettivo?

Il rapporto della Iea

Alla domanda ha fornito una risposta l’Agenzia internazionale dell’energia con il rapporto “Net Zero by 2050” da poco licenziato. Consente di delineare “un”, e non “il”, percorso possibile per raggiungere le emissioni nette zero al 2050. Si tratta di una guida per i paesi aderenti o meno alla Iea per capire nel dettaglio quali sono le politiche da mettere in atto per ottenere il risultato. L’Agenzia ha delineato ben 400 obiettivi, i più eclatanti dei quali sono già stati sottolineati dai numerosi commenti apparsi sui media: cessazione delle vendite di auto diesel e benzina dal 2035, decarbonizzazione della generazione elettrica dal 2040, utilizzo di pompe di calore a scopi di riscaldamento per metà dei bisogni dal 2045, e così via.

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Tra gli aspetti più controversi dello scenario Nze – a parte il raddoppio dei TWh(terawatt) prodotti dal nucleare – vi è il ricorso alla cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) che dovrebbe provvedere per 7,6 gigatonnellate (Gton) di CO2 nel 2050 rispetto alle circa 0,04 Gton di CO2 odierne. La Ccs fornirà una soluzione per i settori industriali le cui emissioni sono più difficili da ridurre, così come aiuterà a catturare quelle indotte dalla produzione di idrogeno basata sul gas naturale (l’idrogeno blu), tema di grandi controversie nel nostro paese. Sebbene la cattura e stoccaggio del carbonio possa essere una parte fondamentale del sistema energetico in alcuni casi, la domanda rimane: a quale scala e con che costi? Le tecnologie di oggi restano ancora molto costose e i consumatori/elettori/cittadini rimangono spesso abbastanza incerti sulle opzioni per lo stoccaggio di CO2. Per non dire della non trascurabile quantità (633 Mton) di cattura diretta di CO2 ottenuta attraverso una tecnologia che separa dall’aria l’anidride carbonica, presente in concentrazione pari allo 0,04 per cento, per poi smaltirla attraverso il sequestro geologico. Giova anche ricordare che la Iea è l’agenzia energetica dell’Oecd e che per questa ragione si occupa esclusivamente delle emissioni che sono connesse al pur vasto tema dell’energia e che valgono circa il 75 per cento delle emissioni complessive.

Il presupposto

L’analisi della Iea poggia sul presupposto che a seguito dell’adozione dell’obiettivo “Net Zero” vi sia una riduzione della domanda complessiva di energia e un massiccio processo di sostituzione di quella restante a favore delle energie pulite. Ciò implica una caduta della domanda di fossili e un crollo del loro prezzo con conseguenze fatali per l’offerta tradizionale e per il destino di chi le ha prodotte sin qui. Secondo l’Agenzia, lo stop agli investimenti in carbone, petrolio e gas deve avvenire nel 2021. A parte i progetti già in cantiere, non c’è spazio per nuove miniere di carbone o estensioni di miniere, né tantomeno per nuovi giacimenti di petrolio o gas, perché – secondo la Iea – la domanda di petrolio non tornerà mai ai livelli del 2019 e diminuirà quasi del 75 per cento dal 2020 al 2050. Per intenderci, dai 90 milioni di barili/giorno attuali si dovrebbe passare a 24 milioni entro il 2050. Questo significa che gli investimenti nei giacimenti di petrolio esistenti sono sufficienti per soddisfare la domanda. Lo stesso vale per il gas naturale, anche se la sua domanda continuerà ad aumentare fino al 2030. Le centrali a carbone meno efficienti dovranno essere eliminate entro il 2030 e quelle rimaste nel 2040 dovrebbero essere dotate di sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Oltre la metà della produzione del petrolio ritorna appannaggio del Medio Oriente e l’Opec rinsalda la sua presa sul mercato e sul prezzo. È un dato dalle importanti implicazioni geopolitiche.

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L’Agenzia produce annualmente scenari di domanda. Tra quelli redatti in passato per il World Energy Outlook (il principale rapporto annuale Iea) vi è il “450 scenario”, che prevedeva la stabilizzazione delle concentrazioni a 450 ppm, corrispondenti a un riscaldamento di +2°C. L’obiettivo Nze al 2050 è invece coerente con le più recenti indicazioni dell’Ipcc di contenere il riscaldamento globale a +1.5°C.

Per dare una misura dello scalpore suscitato dalle implicazioni dello scenario Nze per il mondo delle fonti fossili basta dire che almeno due paesi autorevoli in ambito Iea, Giappone e Australia, hanno subito dichiarato di non trovarsi d’accordo con le idee espresse dall’Agenzia sulla necessità di fermare la ricerca petrolifera, perché ritengono che di petrolio ci sarà ancora bisogno anche nel 2050.

Come per ogni scenario, anche per Nze si tratta del risultato di un particolare esito di un particolare modello matematico (o gruppo di modelli). Scenario e modello incorporano caratteristiche e assunzioni operate dal “modellista”: una popolazione che cresce di 2 miliardi, un’economia globale che cresce del 40 per cento, un ruolo importante per nucleare e per Ccs, e così via. Si può fissare un obiettivo a una certa data e con certi requisiti, ma i percorsi alternativi per arrivarvi sono molteplici. Quello presentato dalla Iea è uno di molti, ma acquisisce una particolare rilevanza in funzione della reputazione e autorevolezza di chi l’ha prodotto.

Il rapporto Nze dell’Agenzia internazionale dell’energia ha l’indubbio merito di aver messo tutti gli attori davanti alle proprie responsabilità. Quasi a dire ai governi: avete preso questi obblighi? Questa è una strada per arrivarci e questi sono gli ingenti (e probabilmente sottostimati) sforzi che bisogna compiere. Un modo per evitare che gli impegni restino solo manifestazioni di buona volontà, annunci appunto.

Figura 1 – Tappe essenziali per il raggiungimento dell’obiettivo entro il 2050.

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  1. Marcello

    Mi sembra che anche in questa occasione il problema lo si voglia affrontare dalla fine. Pensare alla decarbonizzaizone come un processo di sostituzione delle fonti energetiche mi sembra il modo peggiore e inefficace di cercare una soluzione. Non si trata a mio modo di vedere di fare una somma algebrica, ma di usare una nuova metrica. Il punto di partenza non può che essere un nuovo modello di sviluppo, sostenibile appunto. Come gli autri sanno dai primi anni 90 ben sappiamo cosa vuol dire sostenibile: non le altisonanti ma generali dichiarazioni di Bariloche o del Rapporto Brundland, ne le abusate condizioni di Solow, ma molto più chiaramente le condizioni per una Green Golden Rule che definisce i vincoli nello sviluppo economico nella funzione obiettivo, cioè che ponga dei limiti quantitativi e qualitativi nell’argomento della funzione di utilità. Senza questa rivoluzione culturale, pensare di fermare la crescita dei gas serra solo con interventi tecnici mi sembra una strada impervia e lunga, troppo lunga. Oggi tutti parlano di sostenibilità, ma in economia ha un sgnificato chiaro e univoco. Inoltre vorrei ricordare che +1,5° C è la media globale, per la California, per esempio, significa +6°C e siccicità devastante.

    • Andrea

      Per me il vero elefante nella stanza è il non voler affrontare il tema del nucleare (quantomento in Italia) per puro calcolo politico.
      Si continua a buttare soldi in incentivi alle rinnovabili, drogando il mercato con un prodotto che nei fatti non è ancora competitivo, e mostrando sempre e solo un lato della medaglia.
      In media il 70% dell’energia solare viene prodotta da marzo a settembre (dove c’è più luce). Nelle notti invernali senza vento l’energia da dove la prendi? Sempre da gas e carbone…
      Gas e carbone che ti obbligano a mantenere centrali accese al di sotto del livello di efficienza, inquinando di più a parità di combustibile consumato.

  2. Marcello

    Mi sembra che anche in questa occasione il problema lo si voglia affrontare dalla fine. Pensare alla decarbonizzaizone come un processo di sostituzione delle fonti energetiche mi sembra il modo peggiore e inefficace di cercare una soluzione. Non si trata a mio modo di vedere di fare una somma algebrica, ma di usare una nuova metrica. Il punto di partenza non può che essere un nuovo modello di sviluppo, sostenibile appunto. Come gli autori sanno dai primi anni ’90 ben sappiamo cosa vuol dire sostenibile: non le altisonanti ma generali dichiarazioni di Bariloche o del Rapporto Brundland, ne le abusate condizioni di Solow, ma molto più chiaramente le condizioni per una Green Golden Rule che definisca i vincoli nello sviluppo economico nella funzione obiettivo, cioè che ponga dei limiti quantitativi e qualitativi nell’argomento della funzione di utilità. Senza questa rivoluzione culturale, pensare di fermare la crescita dei gas serra solo con interventi tecnici mi sembra una strada impervia e lunga, troppo lunga. Oggi tutti parlano di sostenibilità, ma in economia ha un significato chiaro e univoco. Inoltre vorrei ricordare che +1,5°C è la media globale, per la California, per esempio, significa +6°C e siccicità devastante.

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