L’attuale impianto di aiuti alle imprese va smontato perché macchinoso e poco funzionale, per costruirne uno nuovo più adeguato e flessibile. Partendo dalla corretta quantificazione delle risorse, si dovranno ridurre i livelli di governo della spesa e rendere prevalenti le procedure automatiche.
I FATTI E LE FONTI
Lo scorso aprile riportavo su lavoce.info una stima delle risorse trasferite alle imprese sotto forma di incentivi. (1) In quell’analisi il riferimento contabile era il bilancio dello Stato e il criterio di selezione delle voci di spesa la controprestazione, un principio che consente di definire il perimetro dei contributi pubblici a favore delle imprese. Infatti, solo in assenza di controprestazione il trasferimento di risorse può essere considerato un sussidio erogato dallo Stato a favore dell’impresa. Con riferimento al triennio 2008-10, il lavoro quantificava gli incentivi di origine statale (escluso regioni, province e comuni) tra 9,5 e 11,9 miliardi di euro, di cui parte erogati in forma diretta, parte in forma indiretta e attraverso sgravi contributivi e previdenziali. (2)
L’esigenza di un simile approfondimento nasceva dalla circostanza che le fonti statistiche ufficiali fornivano (e forniscono) una rappresentazione dei trasferimenti alle imprese di non immediata interpretazione, ma desumibile solo attraverso la intersezione di ben quattro categorie economiche di spesa rilevate periodicamente nel conto delle amministrazioni pubbliche. Nel 2011 il loro ammontare, al netto delle voci di carattere straordinario, era stato pari a 32,9 miliardi di euro. (3) Per queste ragioni in passato persino gli addetti ai lavori avevano interpretato tali grandezze contabili in modo non sempre coerente ritenendole tutte – erroneamente – delle semplici elargizioni dello Stato a favore delle imprese. In realtà, sappiamo bene che all’interno di tali categorie economiche si ritrovano soprattutto gli oneri derivanti dai contratti di servizio e i trasferimenti destinati a importanti aziende come Ferrovie, Anas, Poste e altri; i cosiddetti sussidi, contributi o incentivi nelle loro molteplici forme ne costituiscono una voce largamente residuale. Poiché l’equivoco per lungo tempo ha alimentato molteplici aspettative, lo scorso anno si è deciso di approfondire il tema, in modo da restituire una stima più attendibile delle risorse pubbliche in gioco.
Nel 2012 l’ultima rilevazione ufficiale risaliva al 2009, anno nel quale il ministero dello Sviluppo economico aveva reso disponibile il proprio rapporto sugli incentivi alle imprese. Da allora la crisi si è acuita e persino Confindustria, da sempre sostenitrice di un intervento pubblico diretto, si è mostrata favorevole a una riduzione degli aiuti erogati con procedure farraginose e non sempre trasparenti, in cambio di un alleggerimento della pressione fiscale che consentisse alle imprese italiane se non di crescere, quantomeno di sopravvivere. Nella stessa direzione le raccomandazioni contenute nel Rapporto curato da Francesco Giavazzi su incarico del presidente del Consiglio, indicazioni che il governo tecnico non ha potuto attuare. Di segno opposto, le proposte del “manifesto per la politica industriale in tempi di crisi fiscale”, un documento che auspica il ritorno a una politica industriale sussidiata ma in modo più selettivo e responsabile. Il manifesto è disponibile sul sito di Met economia, la società che annualmente monitora gli incentivi erogati alle imprese secondo uno schema di rilevazione coerente con la relazione Mise. (4) Per inciso, è bene ricordare che gli autori del rapporto interpretano male le stime da noi pubblicate (il totale incentivi riferito al 2010, ad esempio, è pari a 11,9 miliardi non 72 miliardi). (5) Per fortuna i risultati delle nostre analisi non sortiscono alcun dubbio interpretativo nei numerosi lettori dotati della necessaria onestà intellettuale, i quali riportano correttamente i dati. (6) Peraltro, l’ultimo lavoro pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato, confermando le nostre precedenti stime, quantifica gli incentivi alle imprese in un intervallo compreso tra 6,8 e 9,6 miliardi di euro (in questo caso i dati sono riferiti al 2011). (7) Dello stesso ordine di grandezza anche le stime del Rapporto Giavazzi: totale contributi da bilancio dello Stato = 14,7 miliardi di euro, Incentivi eliminabili = 5,2 – 5,8 miliardi di euro. In entrambi i casi nei conteggi sono inclusi gli incentivi erogati sia in forma diretta che indiretta delle amministrazioni centrali dello Stato escluso il cosiddetto “settore pubblico allargato”. Al riguardo giova ricordare che la commissione Ceriani ha quantificato – non stimato – la sola componente “agevolazioni fiscali fruite dalle imprese” in oltre 4 miliardi di euro (dati del dipartimento dell’Economia e delle Finanze, anno 2011). (8)
LE PRIORITÀ
In estrema sintesi, oggi il sistema d’impresa chiede alla pubblica amministrazione:
1. un fisco meno aggressivo e più equo;
2. una Pa più efficiente e che paga i propri fornitori in tempi ragionevoli (migliori sevizi e minore burocrazia);
3. una rete di infrastrutture e un ambiente più consono ed adeguato all’attività d’impresa.
L’ordinamento può variare anche in funzione dei territori e dei settori di appartenenza, ma le priorità sono sostanzialmente queste. Sullo sfondo, una manciata di altri temi che possono migliorare la competitività e allargare il mercato tra cui l’accesso al credito, il supporto alla internazionalizzazione, i contributi agli investimenti e qualche aiuto per la ricerca e l’innovazione.
Se l’obiettivo è il rilancio della competitività allora sarà necessario agire sulle variabili che favoriscono lo sviluppo delle imprese (istruzione, infrastrutture, criminalità, eccetera), ma i processi di cambiamento sono lenti e i risultati possono essere verificati solo nel lungo periodo; l’esperienza ci insegna che l’esito delle politiche di sviluppo è assai incerto. Nel breve periodo – limitatamente al sostegno diretto alle imprese – è necessario smontare l’attuale impianto di aiuti, macchinoso e poco funzionale, salvarne alcune sue parti e costruirne uno nuovo più adeguato, flessibile ed efficace.
Il punto di partenza potrà essere la corretta quantificazione delle risorse già destinate alle imprese, per far luce sulle reali risorse in gioco. Sarà necessario distinguere tra le diverse forme di aiuto e conoscere i settori beneficiari degli interventi, individuare le aree del paese verso le quali si concentrano gli aiuti e distinguerle da quelle meno sussidiate. Il Rapporto sulla spesa delle amministrazioni centrali dello stato (capitolo 4) della Ragioneria generale dello stato, la relazione del ministero dello Sviluppo economico e il rapporto coordinato da Francesco Giavazzi costituiscono un ottimo punto di partenza per affrontare il tema in modo rigoroso. Gli importi, dovranno essere aggiornati ma la base informativa è piuttosto solida.
In base alle priorità politiche e alle risorse disponibili, tenuto conto delle istanze del mondo produttivo, si potranno valutare ex-ante gli effetti delle diverse strategie di intervento. Sul tema della riduzione della pressione fiscale e dell’accesso al credito è ragionevole attendersi una certa convergenza. Esiste tuttavia uno spazio per valutare la razionalizzazione di altri strumenti già esistenti e per stimolare interventi che, soprattutto in periodi di crisi, risultano essere particolarmente penalizzati come gli investimenti per la ricerca e l’innovazione e per facilitare l’accesso al credito. Purtroppo, le soluzioni contenute nel decreto sviluppo che ha istituito il fondo per promuovere i progetti di importanza strategica – al momento appaiono parziali anche a causa della modesta dotazione finanziaria (630 milioni di euro). Peccato che al governo tecnico non sia riuscita la vera riforma, vale a dire l’eliminazione di buona parte degli incentivi a vantaggio di una riduzione della tassazione per le imprese e i lavoratori (si veda Meno cuneo per produrre più crescita) o il pagamento dei debiti della Pa verso i propri fornitori.
Nel nuovo modello di sostegno si dovranno ridurre i livelli di governo della spesa. Le Regioni oggi promuovono misure che si sovrappongono agli interventi nazionali. Le procedure sono lente e incompatibili con le esigenze del mercato; non è raro che gli imprenditori esasperati dall’infinita attesa dello “sblocco” dei fondi ricorrano a gesti estremi. Manca una strategia comune, una visione d’insieme. In futuro, le procedure automatiche dovranno essere prevalenti rispetto a quelle valutative, più onerose nella gestione e meno trasparenti. Ben vengano le soluzioni negoziali quando in gioco c’è il futuro di intere aree o distretti produttivi in crisi. Nei restanti casi andranno ridotte le intermediazioni e rafforzati i crediti d’imposta, in modo che gli aventi diritto possano accedere ai benefici con le medesime possibilità di successo.
Il nuovo modello potrebbe essere sperimentato per un periodo limitato, pari alla durata della prossima programmazione comunitaria, al termine del quale sulla base della valutazione degli effetti si potrà decidere se proseguire nella stessa direzione o se tornare al vecchio regime. La frizione al cambiamento è molto forte nel nostro paese ma il mondo produttivo ci chiede con forza un’inversione di tendenza. Purtroppo le proposte continuano a concentrarsi intorno a una generica e generalizzata promessa di maggiori incentivi la cui finalità ultima è soprattutto l’attrazione del consenso, soluzioni però incompatibili con i livelli del debito e della spesa pubblica. Nelle mancate risposte alle istanze provenienti del settore produttivo e dai lavoratori, l’interpretazione dei recenti risultati elettorali e dello stallo politico dal quale dovremo tirarci fuori al più presto.
* Dirigente del ministero dell’Economia e delle Finanze. Il contenuto di questo articolo riflette esclusivamente le opinioni dell’autore e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza.
(1) Il contributo che riprendeva parte di un lavoro già presentato al convegno Aidea 2011 e di prossima pubblicazione sulla rivista Economia pubblica.
(2) In precedenza, la medesima stima era apparsa sulla rivista di scienze regionali EyesReg nell’ambito di un paper che proponeva una disarticolazione su scala regionale.
(3) Fonte: Rgs 2012, p. 281, su dati Istat 24 maggio 2011.
(4) Fonte: Rapporto Met, pp. 22-23.
(5) Fonte: EyesReg, in particolare si segnala “Al fine di distinguere la tipologia di incentivi destinati alle imprese, si è proceduto alla scomposizione dei pagamenti in base alla loro natura. In particolare, sono state individuate sette categorie di cui solo le prime tre costituiscono il nucleo degli incentivi destinati alle imprese private, oggetto di questo studio”
(6) Si vedano, ad esempio, Rapporto Impresa e competitività, Rapporto Giarda p. 221, Il Foglio, Mani bucate, IlSole24ore.
(7) Fonte: Rgs pp. 321 e seguenti.
(8) Fonte: Rgs pp. 342-344.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Renato Chahinian
Purtroppo ho letto in ritardo questo articolo, ma ne condivido pienamente i contenuti.
E’ perfettamente vero che in assenza di controprestazione il trasferimento di risorse pubbliche è un mero sussidio, ma proprio per questo occorre che gli incentivi al sistema produttivo siano rigidamente condizionati alla competitività e produttività e ciò avviene soltanto se si agevolano i principali fattori della crescita (in particolare, ricerca e innovazione).
Qualora si riesca in questo intento, contrariamente a quanto affermano molti economisti, gli aiuti diventano efficaci e sortiscono un rilevante impatto, in quanto, ai benefici diretti che si manifestano nelle imprese beneficiarie nell’arco di qualche anno, si sommano quelli indiretti nelle filiere (effetti intersettoriali) e nell’intera economia (effetti moltiplicatori).