I Pnrr nazionali sono molto diversi tra loro, ma tutti i paesi hanno rispettato gli obiettivi indicati dall’Europa. Transizione energetica e digitale e istruzione sono perciò i settori dove si investirà di più. Non mancano però critiche e problemi.
“Sì” della Commissione ai Piani nazionali
Il “Next Generation Eu” tour della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto tappa in Italia martedì 22 giugno, con la consegna della “pagella” della Commissione al presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel teatro di Cinecittà, a Roma. L’Italia, come tutti i paesi che hanno ricevuto la valutazione della Commissione finora, è passata a pieni voti: tutte “A”, tranne una “B” ai costi, con modifiche minime al Pnrr. Perché la prima tranche di fondi – il 13 per cento della somma spettante a ogni paese – possa essere erogata, poi, servirà l’approvazione del Consiglio, prevista verso fine luglio.
I piani nazionali sono molto diversi tra loro, ma tutti i paesi hanno rispettato gli obiettivi indicati dall’Europa. Oltre alle raccomandazioni specifiche per ogni stato membro, infatti, la valutazione della Commissione è stata fatta sulla base dei requisiti minimi di spesa per la transizione verde e per la transizione digitale (rispettivamente, 37 per cento e 20 per cento dei fondi destinati al paese) e delle aree di intervento segnalate come particolarmente importanti (per esempio, efficienza energetica degli edifici o trasporto sostenibile).
I piani nazionali differiscono poi anche nella quantità di sovvenzioni a fondo perduto e prestiti richiesti da ogni paese (figura 1): l’Italia è la prima beneficiaria delle risorse del Recovery Fund in termini assoluti con 191,5 miliardi di euro, ed è anche l’unico paese che ha scelto di richiedere tutti i fondi che gli spettano. La Spagna è il secondo paese per dimensione del piano, e ha deciso di richiedere solo sovvenzioni per un totale di 69,5 miliardi di euro. Lo stesso hanno fatto Germania e Francia, che riceveranno, rispettivamente, 25,6 e 39,4 miliardi.
Il 15 giugno, la Commissione ha collocato sul mercato i primi bond per raccogliere i fondi necessari per il Next Generation Eu, per un importo pari a 20 miliardi di euro, il più grande mai raccolto dall’Unione europea in un’unica transazione. La presidente von der Leyen ha dichiarato che la domanda è stata di sette volte superiore all’offerta, con uno spread di 32,3 centesimi superiore al bund tedesco a dieci anni. I finanziamenti che la Commissione dovrà raccogliere entro luglio per poter erogare il 13 per cento dei fondi ammontano a 47 miliardi, di cui 24,9 miliardi – più della metà – saranno destinati all’Italia.
Come verranno allocate le risorse
La maggior parte delle risorse saranno dedicate, come previsto, alla transizione ecologica e digitale. La figura 2 mostra la distribuzione di fondi nei due ambiti per i piani approvati finora dalla Commissione.
Il terzo ambito su cui gli stati europei si sono concentrati maggiormente è quello dell’istruzione: i piani di Spagna e Italia sono tra quelli che puntano di più sui giovani in termini assoluti, anche se le critiche sulle politiche giovanili nel nostro piano nazionale sono molto forti e le risorse non sembrano comunque sufficienti per far fronte ai problemi strutturali del nostro paese. La quantità di fondi stanziati è notevole, ma i giovani italiani sono tra quelli nelle condizioni economiche e sociali peggiori in Europa (basti pensare ai più di 2 milioni di Neet, non impegnati cioè nello studio, né nel lavoro né nella formazione).
Il Portogallo, primo paese a presentare il proprio piano, ha deciso di focalizzarsi su povertà e disuguaglianza: il 16,3 per cento dei fondi è destinato al piano abitativo per aiutare le fasce più deboli di popolazione, l’8,4 per cento al welfare sociale.
Anche all’interno dei target per la transizione verde e la transizione digitale le scelte di investimento variano molto.
La Grecia, per esempio, ha deciso di puntare sull’ammodernamento del paese dal punto di vista del digitale, con un piano di 106 programmi di investimento e 67 riforme intitolato “Greece 2.0”. Il piano greco include riforme strutturali, come quelle per digitalizzare il sistema giuridico e per velocizzare e semplificare i servizi della pubblica amministrazione, e progetti ambiziosi per modernizzare il paese, come lo sviluppo di reti 5G sulle autostrade e l’interconnessione digitale delle isole.
La Germania ha presentato un piano da 25,6 miliardi di euro, nel quale dedica ingenti risorse allo sviluppo tecnologico, con una particolare attenzione alla digitalizzazione dell’istruzione, delle infrastrutture e dell’amministrazione pubblica. Anche per la transizione verde gli obiettivi tedeschi sembrano ambiziosi: è prevista la ristrutturazione di circa 40 mila unità residenziali, per il raggiungimento di un livello di efficienza energetica ben superiore agli standard legali minimi. In totale, Berlino ha scelto di destinare alle transizioni verde e digitale circa il 90 per cento dei fondi a sua disposizione. Non sono mancate però le critiche: in particolare, sembrano essere assenti le riforme strutturali che proprio la Germania aveva posto come condizione all’erogazione dei fondi comunitari, ma la Commissione non sembra preoccuparsene.
Anche nel piano francese sono state trovate molte criticità. Nonostante quasi il 50 per cento dei fondi stanziati dal presidente Emmanuel Macron siano destinati alla transizione energetica, la Francia sembra puntare molto poco sulle energie rinnovabili. I dubbi sorgono principalmente per via della scelta di investire sull’idrogeno verde per raggiungere l’obiettivo di diventare il primo paese europeo completamente decarbonizzato: non viene specificato se la generazione dell’idrogeno verde sia prevista solamente dalle fonti di energia rinnovabile o se si tenga la porta aperta all’idrogeno prodotto da fonti fossili. Agli investimenti di rinnovamento ed efficientamento delle ferrovie francesi, che causano il 94 per cento delle emissioni di gas serra nel settore dei trasporti, saranno invece dedicati 4,4 miliardi di euro.
Le prossime tappe
A fine luglio dovrebbero arrivare i primi finanziamenti, legati solo alla presentazione dei piani e all’approvazione di Commissione e Consiglio. Le successive dieci rate (da giugno 2022 fino alla fine del 2026) sono invece condizionate al raggiungimento degli obiettivi, su cui, per l’Italia, il presidente Draghi si è mostrato molto fiducioso: entro giugno dovrebbe arrivare la delega su appalti e commissioni ed entro luglio la legge sulla concorrenza e la riforma della giustizia.
Secondo la Commissione, l’impatto dei fondi del Next Generation Eu sulla crescita del Pil italiano dovrebbe essere del 2,5 per cento entro il 2026 (senza considerare l’effetto delle riforme strutturali), mentre per quanto riguarda l’occupazione, il Pnrr dovrebbe portare a un aumento di 240 mila posti di lavoro nei prossimi cinque anni. Su questo, però, non mancano i giudizi negativi: viene da chiedersi come mai, rispetto agli investimenti programmati, il nostro paese sia quello che creerà meno occupazione con i fondi messi a disposizione dall’Europa.
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Carlo Fusaro
Atterrisce l’ultima tabella. Qualcuno mi può spiegare perché questo distacco spaventoso dell’Italia in termini di rapporto investimenti/posti creati? Specie versus Spagna, Francia, Portogallo, Grecia. Com’è che da noi ci vuole il doppio o il triplo per generare un ugual numero di posti di lavoro? Grazie.
Henri Schmit
Sorprende l’ultima tabella. Bisognerebbe approfondire. Forse l’impatto indiretto sull’occupazione è stato calcolato/ stimato diversamente. La differenza (relativa) che rimane è che in Italia si spende, altrove si investe. Ma quello si sapeva e dal dibattito intorno al NGEu si capiva che nulla era cambiato. Servono riforme per incentivare/attirare l’investimento privato. È quello che fa la differenza per l’occupazione.
Henri Schmit
L’articolo di comparazione dei PNRR nazionali è molto interessante; dovrebbe aprire una serie di studi sulla stessa tematica. La D e molti altri paesi non hanno chiesto prestiti perché si finanziano da soli a condizioni equivalenti o migliori. Quindi l’Italia con lo spread più alto ha fatto benissimo attivare entrambe le fonti. Quello che non sta nel PNRR il paese lo può fare con il proprio budget. Il PNRR è solo uno stimolo per uno sviluppo convergente; non esime nessun paese di avere una sua visione per il proprio sviluppo. Un paese meno competitivo dovrebbe approfittare dell’occasione del PNRR (e della sospensione dei vincoli fiscali) per fare riforme strutturali che rendano il paese più affidabile e più attraente per investitori privati (esteri o domestici, poco importa). Per fare questo non serve un governo straordinario con super consulenti accademici con CV più lunghi di quello di Conte, ma la costanza negli anni sempre nella stessa direzione, quindi consenso sulle scelte fondamentali, non antagonismo fra gli estremi del tipo flat tax contro patrimoniale, che riflette un dibattito pubblico da terzo mondo, da guerra civile, da ignoranti, da perdenti.