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Gli ultimi tabù elettorali

Approvata la legge di riforma costituzionale che permette ai diciottenni di votare per le elezioni del Senato. Una misura dalla grande valenza simbolica ma, almeno nell’immediato, dai pochi effetti pratici. La stagione riformatrice non può considerarsi conclusa.

Il Senato ha approvato in seconda lettura, e quindi in via definitiva, la proposta di riforma costituzionale che abbassa l’età di elettorato attivo per il Senato a 18 anni. Come noto, l’art. 58 della Costituzione attualmente in vigore prevede al primo comma che “i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”. La riforma approvata cancella la frase “dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”: in questo modo, l’età di elettorato attivo coinciderà con la maggiore età, a sua volta determinata da legge ordinaria e pari, dal 1975, a 18 anni. La riforma è stata votata per la prima volta alla Camera il 31 luglio del 2019, poco meno di due anni fa; a questa votazione hanno fatto seguito la prima votazione in Senato (9 settembre 2020), la seconda votazione alla Camera (9 giugno 2021) e infine la votazione dell’8 luglio 2021. Non avendo raggiunto i due terzi dei consensi nelle seconde votazioni, dal momento della sua pubblicazione ci saranno tre mesi di tempo affinché, ai sensi del comma 2 dell’art. 138 della Costituzione, “un quinto dei membri di una camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali” possano chiedere un referendum confermativo della riforma stessa. Ma al momento questa eventualità appare piuttosto improbabile.

Cosa cambia davvero?

La misura approvata ha innanzitutto un grande valore simbolico. Guadagnano il diritto di voto al Senato 4.106.139 cittadini, vale a dire i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Si tratta di poco più dell’8 per cento del corpo elettorale, una misura non elevata ma nemmeno trascurabile. Peraltro, si tratta di una popolazione che sta via via diminuendo e che negli ultimi venti anni è calata di oltre il 10 per cento. Gli under-40, per avere una visione più generale del fenomeno, sono invece calati dal 2002 di oltre il 15 per cento: quasi 5 milioni di giovani, per ragioni di (de)natalità o di mobilità (emigrazione), non ci sono più. È quindi evidente che, in un paese sempre più vecchio, l’unico modo per provare a riequilibrare il potere è quello di estendere il diritto di voto ai più giovani. L’Italia resta tuttavia ben lontana dal resto dell’Europa in termini di potere politico potenziale dei giovani (Figura 1). Pur equiparando le età di elettorato attivo a Camera e Senato, infatti, persiste la grande discriminazione che non permette ai maggiorenni italiani di essere eletti né alla Camera (età di elettorato passivo pari a 25 anni) né al Senato (40 anni).

Cosa serve ancora

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L’attività riformatrice del legislatore non deve certo esaurirsi qui. Per due ragioni. Innanzitutto perché questa riforma ci accompagna verso un bicameralismo “più che perfetto”, con due camere ancora più simili, anche dal punto di vista della rappresentanza. Tenere il Senato come è ha sempre meno senso. Una possibilità è quella di dedicare il Senato alla valutazione delle politiche pubbliche, ruolo di grande prestigio e, in questo periodo, anche di grande responsabilità. Un’altra possibilità è quella di farlo diventare davvero un’Assemblea di rappresentanza di regioni ed enti locali, come avrebbe voluto anche qualche costituente nel lontano 1948. L’ultima possibilità, infine, è quella di rinunciarvi definitivamente, magari trasferendo i suoi membri alla Camera. La seconda ragione è che l’attività di allargamento delle concessioni elettorali non può considerarsi conclusa qui. L’attenzione di diversi leader di partito e dell’opinione pubblica è oggi molto elevata rispetto per esempio al voto dei sedicenni; la necessità di rendere i maggiorenni eleggibili, almeno alla Camera, è sempre più forte, visto anche ciò che accade nel resto dell’Europa, dove l’età di elettorato passivo è quasi ovunque più bassa che in Italia. Perché allora non usare gli ultimi due anni di legislatura per infrangere anche questi ultimi tabù elettorali?

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11 commenti

  1. L’abbassamento dell’età elettorale per il Senato completa l’omogeneizzazione rampante delle due camere inizialmente differenziate: durata del mandato, scioglimento, legge elettorale, condizioni attive e passive. L’evoluzione è assurda., anche se pochi se ne rendono conto. Omogeneizzato il Senato non serve più. Meglio votare due volte nell’arco di un certo lasso di tempo nell’unica Camera dei deputati. Meglio rinunciare alla seconda camera e rifondare il Senato affidandogli un ruolo davvero utile. Per esempio trasformarlo in organo solo consultivo ma con ampissimi poteri di parere non vincolante che al massimo possono obbligare la Camera di votare una seconda volta su un testo criticato dal Senato. Il nuovo organo costituzionale dovrebbe essere composto da senatori qualificati (definizione severa ma elastica) eletti dai deputati ogni anno per quote di un sesto o un nono e quindi con mandato di sei o nove anni. Il Senato-consulto avrebbe il compito di migliorare la qualità, la coerenza, la conformità, la convergenza europea e la stabilità della pessima, complicata, pletorica, instabile e spesso incomprensibile e incoerente legislazione italiana. Ma i troppi costituzionalisti e altri dotti esperti della materia (quanti sono li uno e li altri, a quale ritmo stanno crescendo in un contesto politico istituzionale sempre più desolante?) non possono ovviamente seguire l’idea di uno straniero senza cattedra.

    • Pietro Della Casa

      In effetti il senato nasce nel dopoguerra come riedizione del senato del regno (nominato in teoria dal re, in pratica dal governo), tra molti leciti dubbi sulla sua residua utilità. Inizialmente, si prevedevano elezioni sfalsate per camera e senato, in un`ottica di prevenzione di nuove svolte autoritarie. Un senato puro doppione della camera è evidentemente un nonsenso, solo un ostacolo alla rapidità del processo decisionale che non fornisce alcun valore aggiunto…

  2. Giacomo

    Provocazione per provocazione, perché non togliere il limite di 50 anni per l’elezione a Presidente della Repubblica? Visto l’ampio potere che ha, lasciamo che tutti i politici possano concorrere alla carica.

  3. Nicola

    Mi permetto di lanciare un’ulteriore provocazione.

    Perché non avere una camera con limite di voti >18 anni e <65 anni, ovvero le fasce di etá 'lavorative'. E' una provocazione, non prendetela in senso letterale, ma avrebbe un interessante impatto per esempio sulla legislazione in materia di mercato del lavoro, oltre a rappresentare preferenze politiche potenzialmente molto diverse in un paese in via di evidente invecchiamento della popolazione.

    Ribadisco: e' una provocazione

    • robyt

      fasce di etá ‘lavorative’.

      Hai fatto bene a metterlo tra parentesi quel “lavorative”. Infatti con i NEET che passano tranquillamente i 30 anni, chiamarle fasce di età lavorative non ha alcun senso. Non è che uno che ha 25 anni allora è un lavoratore, questa correlazione età lavoro è molto più teorica che pratica… Poi vista anche che il tasso di occupazione del paese si aggira attorno al 44% nel 2020 (fonte ISTAT), a sto punto si potrebbe anche chiudere il cerchio e dare solo il voto a chi è occupato indipendentemente dall’età.

      Ma resterebbero praticamente tagliati fuori, oltre agli inoccupati, anche tutti quelli che campano di rendita, il che non ha davvero alcun senso, perché non bisogna per forza essere occupati per pagare le tasse. Quindi alla fine, smettendola con questa inutile retorica dei “lavoratori” si potrebbe dare il voto solo a chi produce reddito, il che sarebbe abbastanza il linea con i voti legati al censo, alle proprietà terriere o alla discendenza nobiliare, come era una volta, prima del suffragio universale.

      Ma sicuramente dare un senso di falsa democrazia estendendo il voto a gruppi di elettori facilmente manipolabili, come donne e giovani, può essere una scelta molto più saggia e in linea con i requisiti dell’oligarchia internazionale.

    • Arduino Coltai

      Provocazione ma non tanto. Io proporrei l’elettorato attivo tra i 21 (meglio 25) e gli 80 anni (65 mi pare un po’ poco, anche i pensionati esistono…) e toglierei il voto degli italiani all’estero. Qual è il senso di far votare chi è ormai prossimo ad uscire di scena e quindi disinteressato di fatto al futuro, chi non è ancora entrato nel mercato del lavoro e si preoccupa solo di giocare con il telefonino ed i videogames e chi non vivendo più in Italia non usufruisce (né è più interessato ad usufruire) dei servizi messi a disposizione nel paese? Il voto di queste categorie di persone è nel migliore dei casi un voto meramente ideologico (nel peggiore del tutto inconsapevole) che influenza comunque (e pesantemente) il risultato pratico delle elezioni.

  4. Savino

    Senza l’indipendenza economica dei giovani sarà ridicolo abbassare l’età di elettorato attivo e sarà solo strumentale alla propaganda politica. Pensiamo all’assegno unico familiare esteso a 21 anni addirittura, pensiamo alla carenza di politiche attive del lavoro e di borse di studio universitarie, pensiamo al solo fatto che anche la laurea va riscattata previdenzialmente, che un giovane studia (non gioca), i genitori pagano tasse e rette e neanche i contributi ci si ritrova in quegli anni. Italia nazione che può vincere solo la coppa del ridicolo.

    • Henri Schmit

      Considerazioni interessanti controcorrente. L’età elettorale attiva e passiva è da distinguere e ouò essere differenziata legittimamente. La maggiore età determina la responsabilità e la piena capacità civili, quindi correttamente anche la capacità politica. La proposta di abbassare l’età attiva per la Camera a16 anni è demoagocica, populista. Diversa è l questione dell’indipendenza economica, che non può essere una condizione per votare. E per essere eletti? La teoria della rappresentanza democratica responsabile (per def. elitaria, “eleggere”) è da tempo soffocata da la dottrina populista ingannevole di un’illusoria democrazia diretta: rappresentanza specchio della popolazione, anche per età e per categorie sociali, livello di studio, etc; questa dottrina sbocca naturalmente sul sorteggio.

  5. bob

    il voto a 18 anni ( o a 16 per la Camera) ? L’equivalente nel privato di una azienda che per conquistare una fetta di mercato propone un prodotto ad hoc su misura con l’obiettivo di acquisire clienti ( votanti)
    Ma la politica dovrebbe avere altre visioni, altri progetti e non procedere per spot
    Detto questo favorevole al voto ai diciottenni ma con altri principi che non siamo quelli di uno spot per sopravvivere di una certa parte politica

    • Pietro Della Casa

      Il voto è solo un diritto o anche una responsabilità?
      Se è anche una responsabilità, richiede un minimo di competenza e maturità.
      Ma i diritti si vendono molto bene, le responsabilità no… quindi scommetterei sul voto a 14 anni entro un decennio.

  6. Mario

    Sembra una riformetta, in realtà è una grande riforma, perché vi sono stati casi, anche quest’anno, che il governo sia caduto perchè non poteva contare sulla maggioranza in Senato ma aveva una maggioranza abbondante alla Camera.
    Ovviamente si pone il problema che è antieconomico e antiorganizzativo avere due istituzioni uguali.

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