La crisi pandemica è stata atipica per molti aspetti, a partire dal calo dei disoccupati nonostante il crollo dell’occupazione. Un’analisi delle attività su Google mostra che la ricerca di lavoro è ancora oggi al di sotto dei livelli pre-pandemia.

Il crollo della ricerca di lavoro durante la crisi

La crisi pandemica e le restrizioni adottate dai governi hanno causato un crollo dell’occupazione in Italia e in molti altri paesi.

Nonostante l’aumento delle persone senza lavoro, però, la ricerca di un impiego è calata, soprattutto a causa della chiusura di moltissime attività per ragioni sanitarie. Il dato è confermato dalla crescita degli inattivi, ossia coloro che non hanno un lavoro e che non lo stanno cercando, e dal calo dei disoccupati, ossia coloro che non hanno un lavoro e che lo stanno cercando.

Il numero di disoccupati indica il margine estensivo della ricerca di lavoro: maggiore è il numero di persone alla ricerca di un impiego, maggiore è l’estensione della ricerca a livello aggregato. Da questo punto di vista, possiamo dire che le persone in cerca di un’occupazione sono scese di molto durante la pandemia, nonostante il calo di quasi 750 mila occupati tra febbraio e dicembre 2020. Allo stesso tempo, la maggior parte di coloro che hanno perso il lavoro hanno preferito, almeno inizialmente, non cercare una nuova occupazione e restare fuori dalla forza lavoro.

L’intensità della ricerca in Italia e nelle regioni

Molto più complicato è il calcolo dell’intensità della ricerca di lavoro, ossia quanto spesso e con quanto impegno coloro che non hanno un lavoro sono alla ricerca di un impiego.

Per calcolare il margine intensivo, le ricerche su Google di offerte di lavoro possono essere una buona approssimazione, come evidenziato per esempio nell’Employment Outlook 2021 dell’Ocse. I dati in figura 2 mostrano che il numero di ricerche per le parole chiave “lavoro” e “offerta lavoro” sono crollate durante il lockdown di primavera, per poi tornare a crescere nel momento in cui le restrizioni sono state allentate. Dopo una nuova fase di crescita successiva alle vacanze estive, il numero di ricerche è tornato a calare con l’autunno, in corrispondenza della seconda ondata, per poi raggiungere il minimo nel periodo natalizio. Da gennaio in poi, la ricerca di lavoro sembra essere tornata a salire. Nonostante la ripresa, però, a più di un mese dalla riapertura di molte attività turistiche e di ristorazione, il livello risulta ancora inferiore al periodo pre-crisi e anche a quello successivo alla prima ondata.

Le ragioni del ritardo nella ricerca di una nuova occupazione possono essere molte, a partire dal fatto che tra gli inattivi rientrano anche gli autonomi che non svolgono attività lavorativa da almeno tre mesi, ma che riescono ancora a mantenere in piedi la propria attività grazie agli aiuti governativi, e chi riceve la cassa integrazione a zero ore, cui viene legalmente impedito di trovare un nuovo impiego – magari in uno dei settori che sta ripartendo – pena la perdita del beneficio economico. La scelta normativa, però, oltre a essere controproducente nel caso in cui le attività ora “sospese” non dovessero ripartire una volta finita l’emergenza, rischia anche di favorire il lavoro in nero.

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Osservando i dati a livello regionale, si nota che sia nell’intero periodo della crisi che nell’ultimo mese i livelli di ricerca di lavoro più elevati si sono registrati in Sardegna e in Umbria. In generale, sembra che l’intensità della ricerca non dipenda né dalla posizione geografica, né dal diverso impatto che la pandemia ha avuto nelle diverse regioni.

Il ruolo degli incentivi per le assunzioni

Così come in altri paesi, anche in Italia nella fase emergenziale sono stati introdotti incentivi per le assunzioni, in particolare tramite una riduzione dei contributi previdenziali a carico delle imprese. Ad agosto 2020, il governo ha varato un’esenzione dal pagamento dei contributi per sei mesi sulle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato, a patto che le imprese allargassero la propria forza lavoro. Una misura simile, ma senza condizioni e della durata di tre mesi, è stata introdotta specificamente per le aziende operanti nel settore turistico.

I sussidi per le assunzioni possono essere molto utili per rilanciare il lavoro, ma in un mercato poco dinamico rischiano di costare tanto e di risultare poco efficaci. Se mancano le condizioni per una ripartenza strutturale delle assunzioni, infatti, c’è il pericolo che il beneficio economico sia assorbito solo dalle aziende che avrebbero comunque reclutato nuovo personale, senza stimolare nuova occupazione e con impatto positivo solo sui salari dei lavoratori che sarebbero stati comunque assunti.

Le tendenze italiane sembrano essere confermate anche negli altri paesi avanzati e rappresentano sicuramente una peculiarità rispetto alle crisi passate. Pur trattandosi probabilmente di un fenomeno provvisorio, è importante evitare che il mercato del lavoro scivoli nell’inerzia, con il rischio che una prolungata assenza dal lavoro abbia pesanti ripercussioni sui lavoratori “congelati” dalla pandemia. Allo stesso tempo, però, sarà importante concentrare le misure di stimolo solo sulle categorie che hanno davvero bisogno di incentivi, come i giovani, evitando che il costo della ripresa diventi insostenibile nel medio periodo.

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