Il cambiamento climatico va affrontato. Ma i governi hanno difficoltà a trovare stime affidabili su cui costruire le politiche. Ora dall’America si propone un nuovo approccio, concentrato sul breve termine. Il suo vantaggio principale è la flessibilità.

Governi fermi contro il cambiamento climatico?

Durante il suo intervento all’Austrian World Summit, GretaThunberg ha ribadito il disappunto per le misure adottate dai leader politici nel combattere il cambiamento climatico, sottolineando come l’aspetto peggiore riguardi la loro indisponibilità ad assumere provvedimenti per contrastare, concretamente, l’utilizzo dei combustibili fossili. Ma l’inerzia denunciata da Greta è da attribuire interamente ai governanti o alle stime che questi si ritrovano a utilizzare?

Il problema denunciato all’Austrian World Summit è stato ripreso anche da un recente articolo pubblicato sul New York Times che rimarca le criticità derivanti dal surriscaldamento del suolo terrestre. La crescente frequenza con cui si manifestano i periodi di siccità rende i terreni fortemente aridi e mentre prima lo scioglimento del manto nevoso aiutava a ricostituire i bacini idrici e i fiumi durante le stagioni estive, ora nel sud degli Stati Uniti il disgelo arriva sempre più precocemente a causa delle elevate temperature primaverili. Di conseguenza, gran parte del deflusso non arriva ai bacini idrici poiché i terreni, già aridi, assorbono immediatamente l’acqua.

Gli strumenti attuali

In Italia, circa 68 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stati stanziati per favorire la transizione ecologica e questo, insieme al recente accordo di Parigi, è un segnale positivo che indica un atteggiamento politico di maggiore attenzione al tema. Tuttavia, quali sono le metriche e gli strumenti con cui i governi cercano di raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati?

La metrica più famosa è senza dubbio rappresentata dal social cost of carbon (Scc), che cerca di bilanciare perfettamente i danni derivanti dal cambiamento climatico con il costo marginale derivante dall’abbattimento di un’unità aggiuntiva di gas serra. Inoltre, dati i risultati ottenuti, è possibile definire una tassa corrispondente alla miglior politica possibile (cosiddetto first best)

Sebbene la misura abbia riscosso ampio successo, l’elevata variabilità della stima e le altre criticità discusse anche in un altro articolo rendono complicato fornire assistenza pratica ai governi nella definizione dei provvedimenti da attuare.

L’approccio alternativo

Noah Kaufman (senior economist presso il Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca), Alexander R. Barron, Wojciech Krawczyk, Peter Marsters e Haewon McJeon propongono un approccio alternativo dal nome near-term to net zero (NT2NZ). L’idea è quella di riuscire a superare le incertezze e le difficoltà di misurazione rimanendo allineati a quelli che sono gli obiettivi politici di breve termine.

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Gli autori descrivono l’approccio suddividendolo in quattro passaggi fondamentali:

– fissare una data entro la quale raggiungere l’obiettivo emissioni zero – Nel farlo il governo dovrebbe cercare di bilanciare una serie di fattori, compreso il rischio di confrontarsi con temperature sempre maggiori o con costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di ottenere una decarbonizzazione più rapida;

– selezionare un percorso in grado azzerare le emissioni – Le opzioni sono molteplici: alcuni enfatizzano i vantaggi derivanti da minori riduzioni nel breve termine al fine di permettere che il progresso tecnologico abbatta i costi futuri, altri sostengono l’importanza di maggiori riduzioni nel breve periodo al fine di evitare il cosiddetto lock-in tecnologico. Il governo dovrà riuscire a soppesare le diverse esigenze e i vincoli tecnici con cui si confronta, optando per un percorso del tutto lineare verso l’obiettivo oppure per uno in grado di adattarsi alle circostanze mutevoli del paese (si pensi ai paesi in via di sviluppo);

– stimare dei prezzi della CO2 coerenti con il percorso a breve termine – L’approccio NT2NZ si concentra sul breve termine proprio per evitare che le stime siano influenzate dall’evoluzione a lungo termine di tecnologie e comportamenti degli agenti economici. Per questa ragione vengono utilizzati modelli economico-energetici che consentono di stimare i prezzi della CO2 sotto una data serie di ipotesi relative a prezzi e tecnologie future. Il vantaggio è quello di poter combinare le stime ottenute con una serie di altri parametri in modo da riuscire a tenere conto anche delle molteplici barriere di mercato da superare;

– aggiornare periodicamente i punti 1-3 – Dal momento che le scoperte in ambito scientifico e i costi delle tecnologie di mitigazione continueranno a cambiare rapidamente, saranno necessarie politiche di gestione in grado di adattarsi al contesto circostante. Questo permetterà alle istituzioni di rimanere allineate agli obiettivi, senza far dipendere le politiche da variabili di lungo termine altamente incerte.

Gli autori effettuano una dimostrazione dell’approccio proposto utilizzando un modello chiamato Global Change Assessment Model (GCAM) su dati Usa e propongono tre diversi scenari: emissioni zero entro il 2040, 2050 e 2060 con prezzi rispettivamente di 32, 52 e 93 dollari per tonnellata di CO2 se come anno di partenza si considera il 2025 (figura 1a). Si noti come i prezzi subiscano un raddoppio nel caso in cui si assuma come anno di partenza il 2030 (figura 1b). Se si considera come riferimento il 2050 i risultati sono coerenti con il range dei prezzi della CO2 proposti al Congresso americano nel 2019. Tuttavia, i risultati sono al limite del vincolo che garantirebbe un incremento medio della temperatura globale a 1,5 e 2 gradi Celsius. Il fatto è giustificabile se si considera che, mentre altri studi assumono che il prezzo della CO2 sia implementato senza l’adozione di altre politiche, l’approccio considerato assume che siano realizzate più politiche contemporaneamente con lo scopo di contrastare le barriere di mercato nella riduzione delle emissioni.

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Figura 1 – Definizione dei tre diversi scenari per il raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero

Fonte: A near-term to net zero alternative to the social cost of carbon for setting carbon prices

Le criticità

Uno dei principali vantaggi di questo approccio è la flessibilità, che però ne rappresenta anche il principale punto di debolezza. Le decisioni (che negli approcci alternativi verrebbero assunte da economisti ed esperti) sono lasciate al dibattito pubblico e, di conseguenza, a possibili manipolazioni. Il pericolo sarebbe quello di imbattersi in scenari soggetti a continue rivisitazioni della carbon tax con conseguenti modifiche e possibili esenzioni dai vincoli precedenti. Fondamentalmente, l’approccio a breve termine espone il prezzo della CO2 alla democrazia: è il motivo per cui alcuni sostengono che decisioni di questo tipo debbano essere assunte esclusivamente da esperti, attraverso un approccio di tipo top-down (si veda il modello californiano).

Il modello NT2NZ non è certamente la prima metodologia che associa un obiettivo a lungo termine a una serie di politiche iterative di breve termine. Il Regno Unito, per esempio, ha fissato l’obiettivo di decarbonizzazione nel 2050 attraverso il sistema dei carbon budget che prevede controlli quinquennali per verificarne il rispetto. L’accordo di Parigi incoraggia sicuramente le nazioni a spingersi in questa direzione, sviluppando strategie a basso impatto inquinante nel lungo termine ma integrandole con obiettivi nazionali orientati al breve termine.

In conclusione, a causa delle sue criticità, è fondamentale che le soluzioni proposte dall’approccio NT2NZ siano accolte in termini illustrativi, consci del fatto che non esiste un singolo modello in grado di definire a 360 gradi la politica di cui abbiamo bisogno. Dovrebbe perciò essere integrato con una serie di modelli che permettano di identificare meglio le incertezze e definire prezzi più stabili.

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