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Segnali positivi dall’occupazione

Da ministero del Lavoro e Bankitalia arrivano dati incoraggianti. Alcuni settori continuano a soffrire ma il riassorbimento della cassa integrazione procede spedito. Ora è fondamentale evitare il riacutizzarsi dell’emergenza sanitaria.

Cosa ci dicono i dati

Tra le accelerazioni innovative ascrivibili alla pandemia si può annoverare anche la disponibilità di informazioni tempestive sulla dinamica dei posti di lavoro dipendente su scala nazionale. A soli 12 giorni dalla chiusura del primo semestre 2021, ministero del Lavoro e Banca d’Italia hanno reso noti i dati sull’andamento delle posizioni di lavoro nel settore dipendente privato (esclusi agricoltura, lavoro domestico e i settori istruzione e sanità), quello direttamente investito dalla recessione provocata dal Covid. Si tratta di dati ricavati dalle comunicazioni obbligatorie delle imprese in merito ai rapporti di lavoro attivati, trasformati o cessati. A partire da questi dati di flusso si ricavano, per qualsivoglia intervallo temporale (anno, mese, etc.), i saldi, che misurano le variazioni delle posizioni di lavoro tra il momento finale e il momento iniziale. Essi ci consentono di osservare analiticamente l’andamento dei livelli occupazionali.

Le elaborazioni per l’ultimo biennio riportate in tabella 1 confrontano la situazione al 30 giugno 2021 con quella al 30 giugno 2020 e al 30 giugno 2019. Il confronto con il 30 giugno 2019 è particolarmente interessante perché, anche secondo i dati Istat-forze di lavoro, è attorno a quella data che la ripresa occupazionale, iniziata nel 2014, ha raggiunto il suo livello massimo, superando finalmente – per l’insieme dei dipendenti – il picco pre-2008 (almeno in termini di occupati, anche se non in termini di unità di lavoro o di ore lavorate).

Le indicazioni principali che otteniamo dai dati sono:

1) al 30 giugno 2020 i posti di lavoro risultavano, rispetto al 30 giugno 2019, diminuiti per 224 mila unità. Questa contrazione risulta dovuta interamente allo “spegnimento”, con la pandemia, del ciclo fisiologico dei tempi determinati (-460 mila), che crescono nel primo semestre e calano nel secondo, per l’operare congiunto di varie stagionalità (turismo e non solo). Per quanto riguarda invece i tempi indeterminati il saldo, nonostante l’arrivo della pandemia, è rimasto moderatamente positivo (+258 mila) perché i potenziali effetti depressivi sono stati bloccati dal ricorso generalizzato alla Cig-Covid e dal contestuale blocco dei licenziamenti;

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2) al 30 giugno 2021 i posti di lavoro, rispetto al 30 giugno 2020, risultano aumentati di 568 mila unità: ciò è frutto della continua dinamica positiva dei posti a tempo indeterminato (+250 mila) e del fortissimo recupero dei tempi determinati (+358 mila), particolarmente accentuato tra maggio e giugno.

Se consideriamo l’ultimo biennio nel suo complesso, verifichiamo che al 30 giugno 2021 abbiamo 344 mila posti di lavoro aggiuntivi rispetto a 24 mesi prima, esito di 508 mila posti di lavoro in più a tempo indeterminato e di 164 mila posti di lavoro in meno tra apprendistato e tempo determinato.

Il peso della cassa integrazione

Si tratta di un risultato che, tenendo conto dello sconquasso economico-sanitario cui il Paese è stato sottoposto, può risultare incredibilmente positivo. In effetti esso va inquadrato considerando, per i posti di lavoro a tempo indeterminato, il peso della cassa integrazione. Infatti se è vero che ci sono circa mezzo milioni di posti aggiuntivi rispetto al 2019, occorre aggiungere che una quota di essi è in stato di sospensione e quindi con incerte prospettive. Che dimensioni ha tale quota? I posti di lavoro possono raggiungere una consistenza tale da vanificare interamente il saldo positivo descritto?

Per i particolari meccanismi amministrativi che regolano la cassa integrazione, è materialmente impossibile disporre di dati sui beneficiari di Cig altrettanto tempestivi di quelli qui appena utilizzati. A oggi le informazioni sicure sono quelle rese disponibili lunedì scorso nel XX Rapporto annuale Inps. A febbraio 2021 (ultimo dato disponibile) i cassintegrati risultavano ancora circa 1,5 milioni: di essi circa 100 mila potevano essere considerati “a zero ore” (cioè interamente sospesi, nel mese osservato, dal lavoro); per altri 435 mila la sospensione risultava “pesante” (oltre l’80 per cento dell’orario contrattuale); per il gruppo restante  – quasi un milione di lavoratori – l’intensità della sospensione risultava assai varia (per circa un terzo di questi era inferiore al 20 per cento).

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È certo che il riassorbimento della Cig (si ricordi che ad aprile 2020 i lavoratori in Cig erano 5,4 milioni, di cui 2,4 milioni “a zero ore”) è proseguito accelerando nel secondo trimestre 2021, ma allo stato attuale non è ancora possibile stabilire quanto risulti completo oppure – in assenza di possibilità di ricorso alla Cig-Covid e con i licenziamenti sbloccati – l’esito possa essere la cessazione (per licenziamento) dei sottesi rapporti di lavoro.

Le prospettive future

I primissimi dati disponibili su quanto accaduto all’inizio di luglio per i settori industriali sbloccati (tutti a eccezione di tessile, abbigliamento e calzature, ed escluse le imprese artigiane) non evidenziano addensamenti particolari – invalidando metafore apocalittiche tipo la diga che si apre – quanto il ritorno a trend comparabili con quelli osservati nel 2018 e 2019 (figura 1).

In definitiva dal mercato del lavoro tra la primavera e l’estate 2021 sono giunti molti segnali positivi, di veloce recupero delle posizioni perse con la pandemia: la stessa tensione tra domanda e offerta, di recente spesso evocata, è collocabile tra essi, indice quanto meno di importanti potenzialità da trasformare in concrete occasioni di (re)impiego.

Rimangono forti criticità in taluni specifici settori (per esempio aereoportualità, eventi culturali, attività di intrattenimento) e interrogativi sul riacutizzarsi in autunno di problemi sanitari con il corollario di nuove restrizioni, speriamo del tutto infondati se la campagna di vaccinazione raggiungerà i suoi obiettivi.

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  1. Savino

    Troppi lavoretti, troppa precarietà, troppa disparità tra garantiti e non.

  2. Jeriko

    Non posso che concordare con Savino. Aggiungeri che il fenomeno della “diga che si apre” non è tipicamente italiano: la riduzione di lavori qualificati, la stagnazione vergognosa dei salari (da expat non posso che avere l’amaro in bocca, siamo a livelli da Paesi dell’ex blocco sovietico) si sono stratificati e calcificati negli anni.
    Ora tutti a tirare un sospiro di sollievo e sembra che la desertificazione industriale non sia in atto. Ma a ben guardare, 2 esempi su tutti:
    1) magnetiMarelli (gruppo italiano da 40.000 persone ) passato in mani giapponesi
    2) fiat/fca, ormai stellantis, nel controllo di PSA, gruppo francese

    Industrialmente siamo periferici e non siamo neanche parte dei grandi trend innovativi. Sarà sempre più un paese da lavoretti.

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