Il governo prepara la riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali. C’è però una domanda da farsi: la pandemia produce una riallocazione tra settori dei lavoratori italiani? Cosa emerge dall’analisi delle comunicazioni obbligatorie.
La riallocazione dei lavoratori
La pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi economica hanno prodotto e produrranno molteplici effetti sul mercato del lavoro, da tenere ben presenti soprattutto in vista della ventura riforma delle politiche attive del lavoro e degli ammortizzatori sociali promossa dal ministro Andrea Orlando.
Una parola chiave emersa nel dibattito scientifico sul tema è “riallocazione”: l’idea che la crisi porti a uno spostamento dei lavoratori da alcuni settori ad altri. In una recente ricerca, Basso e coautori (2020) evidenziano possibili trend di riallocazione da occupazioni esposte a rischio epidemiologico ad altre invece sicure. In un altro lavoro, Barrero e coautori (2020), focalizzandosi sul caso statunitense e sui primi mesi della pandemia, mettono in rilievo come un terzo dei lavoratori licenziati non ritornerà al suo posto di lavoro originario e usando previsioni di vendita a un anno delle aziende rilevano come la riallocazione possa arrivare a livelli 3-4 volte maggiori rispetto a prima della pandemia. Al contrario, in una nota David (2021) invece sostiene che la riallocazione non è stata così massiccia come si tende a credere, specialmente dalla seconda metà del 2020 in poi. Sempre su questi temi, qui su lavoce.info avevamo analizzato i dati dell’indagine Excelsior UnionCamere proprio alla ricerca di indizi di una ricomposizione della domanda di lavoro da parte delle imprese in Italia.
Uno sguardo diacronico al mercato del lavoro
Per aggiungere un ulteriore tassello di evidenza empirica sul caso italiano è utile, in continuità con quanto abbiamo fatto su lavoce.info, guardare alle comunicazioni obbligatorie relative alle attivazioni e cessazioni di contratti di lavoro subordinato, un campione delle quali viene fornito dal ministero del Lavoro per motivi di ricerca. È importante notare come la maggior parte delle analisi prodotte utilizzando questi dati (comprese quelle dello stesso ministero) non ne sfruttano a pieno il potenziale. Fin qui, infatti, il mercato del lavoro italiano è stato solitamente osservato in maniera sincronica, “scattando una fotografia” mese per mese. I dati delle comunicazioni obbligatorie permettono invece anche uno sguardo diacronico, seguendo uno stesso lavoratore nel corso del tempo. Un esempio molto semplice: se il signor Rossi trova un lavoro nel mese di maggio, solitamente penseremmo a questo episodio come a un +1 nella colonna delle nuove attivazioni di quel mese. Potremmo poi considerare l’età, la qualifica, il settore del signor Rossi, ma sarebbero solo dettagli aggiuntivi. Ciò che possiamo fare di diverso è mettere in relazione il lavoro che il signor Rossi ha trovato con il lavoro che svolgeva in precedenza e fare un confronto. Il cambio di prospettiva è fondamentale per osservare un fenomeno come quello della ricomposizione del mercato del lavoro nel quale, per definizione, occorre mettere in relazione il settore da cui un lavoratore parte e quello in cui arriva: lo spostamento definisce appunto la sua riallocazione.
Un indice di riallocazione
Calcoliamo quindi un semplice indice di riallocazione, pari alla percentuale di attivazioni, in un determinato mese, il cui settore differisce da quello del contratto precedente dello stesso lavoratore: la misura ci dà una indicazione su quanti lavoratori stanno cambiando settore in quel mese, quanti quindi si stanno riallocando.
La figura 1 mostra il risultato, per gli ultimi quattro anni. I mesi di marzo e aprile 2020, in piena pandemia, corrispondono a un picco dell’indice: circa il 30 per cento delle attivazioni viene effettuato in un settore diverso rispetto a quello in cui lo stesso lavoratore lavorava in precedenza, contro circa il 25 per cento dei due anni precedenti. Si tratta di un incremento consistente. L’indice ritorna poi su livelli simili rispetto agli anni precedenti. Il divario riprende ad ampliarsi in coincidenza con l’arrivo della seconda ondata (ottobre-dicembre 2020) e della terza (febbraio-marzo 2021). È importante notare come i picchi nell’indice corrispondono, oltre che alle ondate del virus, anche ai mesi di maggior calo del numero assoluto di attivazioni, fattore questo che potrebbe far pensare a una riallocazione contingente e non strutturale.
Dove vanno i lavoratori
La domanda successiva è: se i lavoratori si stanno riallocando, da quale settore a quale altro si spostano? Per rispondere alla domanda mettiamo in relazione il settore di ciascuna attivazione con quello del precedente contratto disponibile per lo stesso lavoratore, in modo da calcolare una matrice di transizione tra settori. Lo facciamo per ciascuno dei due semestri del 2019 e 2020 e visualizziamo i dati nei grafici della figura 2: ogni “torta” corrisponde a un semestre, ogni segmento sulla circonferenza a un settore e ogni collegamento tra segmenti quantifica il flusso di lavoratori da un settore all’altro. Come complemento, la tabella 1 riassume invece in maniera più immediata i flussi top5 e bottom5 in base alla variazione in punti percentuali dal 2019 al 2020, per ciascuno dei due semestri.
Cominciamo con il primo semestre del 2020: rispetto ai primi sei mesi del 2019, aumentano i flussi di chi “esce e rientra” nei settori delle estrazioni, personale domestico, sanità, costruzioni (settori che non sembrano quindi “cedere” in termini di riallocazione) e di chi approda al settore delle costruzioni provenendo da quello dell’energia. Rallentano invece i flussi di chi si sposta dall’attività estrattiva al commercio, dalle attività immobiliari a quello del trasporto e magazzinaggio e simili. Quasi una fuga invece da energia e trasporto. Nel secondo semestre 2020, invece, crescono in termini relativi i flussi in ingresso nel settore dell’istruzione, che sembra “tenere” rispetto agli altri, mentre cresce il deflusso dai settori della pubblica amministrazione, delle attività artistiche e dei trasporti.
Una riallocazione temporanea?
L’analisi qui presentata è preliminare e necessita di ulteriori approfondimenti, sia sul fronte dell’esame dei dati sia su quello dell’interpretazione dei risultati, ma consente di aggiungere un tassello al dibattito. Una riallocazione della forza lavoro nel mercato del lavoro italiano sembra esserci. Tuttavia, è ancora presto per capire se si tratti di un fatto strutturale.
In primo luogo, i flussi analizzati risentono ancora della contrazione di posti di lavoro in termini assoluti determinata dalla crisi economica. In secondo luogo, le direttrici di flusso sembrano avere a che fare in maniera molto diretta con le restrizioni sanitarie imposte durante le varie ondate del virus, che hanno ovviamente natura temporanea.
Comprendere le dinamiche in atto e i possibili trend futuri è fondamentale non solo da un punto di vista scientifico, ma anche e soprattutto dal punto di vista delle politiche di governo, per poter immaginare quelle in grado di migliorare il benessere dei lavoratori.
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