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Giovani, educati e con poche offerte di lavoro

I giovani continuano a essere schizzinosi in fatto di lavoro? Mentre diminuiscono le offerte, aumenta il tasso di accettazione di quelle poche che arrivano. I più giovani e i laureati se la cavano meglio delle donne e di chi vive nel Mezzogiorno. Le esigenze di un sistema produttivo tradizionale.
UNO SPRECO DI CAPACITÀ
Ricordate l’affermazione del ministro del Lavoro del Governo Monti, Elsa Fornero, su una certa riluttanza dei giovani ad accettare occupazioni “modeste”, intenti alla ricerca del lavoro ideale? Il modo di porgere la questione fu infelice, ma ha creato un dibattito tra una componente (maggioritaria) irritata dalla esternazione − che pare identificare una certa generazione come poco incline “a fare sacrifici” o la “gavetta” − e una componente (minoritaria) che vede un fondo di verità nella questione, percependo una certa “mollezza” in alcuni giovani, una sorta di passività congenita tangibile pure nel mondo del lavoro. (1) Cruda verità o luoghi comuni?
L’incontro tra la domanda (le imprese) e l’offerta (gli individui) è definito “match” e rappresenta il punto di equilibrio che fa sì che una richiesta di lavoro sia opportunamente soddisfatta. Viceversa si parla di mismatch. Le evidenze empiriche (tabella 1) mostrano come nel 2011 su 100 persone che hanno cercato lavoro nel mese precedente l’intervista Plus, solo 8 abbiano ricevuto un’opportunità lavorativa, mentre nel 2008 erano ben 14. (2) Il tasso di accettazione è aumentato: il 44 per cento di chi ha avuto una proposta pensa di accettarla, quando nel 2008 era il 40 per cento.
Quali sono i motivi che fanno rifiutare l’offerta ricevuta? Aspettative di remunerazione superiori hanno riguardato meno del 20 per cento dei mancati incontri, contro il 28 per cento del 2008 (si noti che per un impiego full-time il salario di riserva è di 1.150 euro al mese). Il rifiuto per un lavoro non in linea o inadeguato alle proprie aspettative è cresciuto, arrivando al 23 per cento. Le “altre motivazioni” sono aumentate, fino al 20 per cento, a riprova di grande eterogeneità. In generale, i più giovani e chi è in possesso di una laurea hanno performance migliori rispetto alle donne e a chi vive nel Mezzogiorno.
Per vedere come cambiano le performance cambiando i punti di partenza, il background e il relativo network familiare, consideriamo il reddito mensile familiare e l’istruzione dei genitori. (3) Consideriamo quattro possibili combinazioni: Tipo 1) reddito “basso” e istruzione “bassa”, Tipo 2) reddito “alto” e istruzione “bassa”, Tipo 3) reddito “basso” e istruzione “alta” e Tipo 4) reddito “alto” e “istruzione “alta”. Ebbene, l’istruzione tende a dare maggiori possibilità (occasioni) lavorative, mentre il reddito disponibile tende ad alzare la soglia di accettazione; pertanto chi ha un background debole e ha poco network accetta quel poco che trova, mentre chi può vagliare più proposte tende a essere più selettivo. (4) Cioè i famigerati choosy si nascondono tra chi ha le spalle coperte, nulla di nuovo.
Trasformando questi dati nella probabilità di trovare lavoro nei prossimi dodici mesi e la durata teorica della disoccupazione, notiamo come le chance di trovare lavoro siano peggiorate nettamente (la probabilità media è passata da 0,69 a 0,42) e i tempi si siano notevolmente allungati (passando da 17 a 23 mesi, teorici). Gli individui, quindi, mostrano aspettative inferiori e intensità di ricerca superiore: la crisi è stata metabolizzata.
Com’è possibile che simultaneamente ci siano aziende che non riescono a trovare figure professionali specifiche? Premesso che spesso le richieste sono solo “intenzioni di assunzioni” che poi non si realizzano, il disallineamento è frutto di un mix tra “mismatch specifici” e “rigidità salariale”. Si dice di non trovare il tecnico che sa il tedesco, ma poco si sa dell’inquadramento e della retribuzione proposte. Per uscire da questo paradosso servono sia servizi che rendano rapide ed efficienti le transizioni “scuola-lavoro” e “job-to-job” che una politica industriale che avvii la conversione di un sistema produttivo tradizionale (per non dire obsoleto) verso posizioni lavorative più consone ai livelli di capitale umano odierni e meglio retribuite. In definitiva, sprechiamo le capacità dei nostri giovani perché non abbiamo una economia in grado di sfruttarle. È come se fossero finiti in overbooking: con la carta d’imbarco valida, ma senza la certezza di partire.
Tabella 1 – Mismatch: offerte ricevute, livello di accettazione e motivi del rifiuto, persone in cerca, 2008-2011

Fonte: dati Isfol Plus, 2008-2011
(*) probabilità di essere occupato il prossimo anno (12 mesi)
(1) Torna alla mente Enzo Jannacci, che con il suo modo surreale di vedere le cose, già quarant’anni fa, notava quanto fossero fuori luogo alcuni consigli piovuti dall’alto, tanto più quando indirizzati a persone di robusto appetito. “Bisogna saperlo prima che dopo non c’è lavoro (…)” oppure  “(…) noi abbiamo bisogno della gente giusta tra l’1.60 e l’1.60!”.
(2) I dati sono tratta da “Indagine Plus: il mondo del lavoro tra forma e sostanza – Terza annualità”, a cura di E. Mandrone e D. Radicchia Isfol disponibile a questo indirizzo.
(3) Il reddito complessivo familiare è riclassificato in “basso” se inferiore a 2.000 euro, “alto” se superiore a 2.000 euro. L’istruzione è riclassificata in “bassa” se non raggiunge la “licenza media”, “alta” se arriva a “diploma o laurea”.
(4) Un Governo che volesse sostenere realmente il merito potrebbe legare “gli incentivi al lavoro” a “selezioni palesi” per dare più opportunità e superare lo scoraggiamento. Si veda Why always spi? sul Bollettino Adapt del 2/4/2013
Tabella 1 Mismatch: offerte ricevute, livello di accettazione e motivi del rifiuto, persone in cerca, 2008-2011
Fonte: dati Isfol Plus, 2008-2011
(*) probabilità di essere occupato il prossimo anno (12 mesi)
 

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  1. Giuseppe Caniglia

    Ho letto con interesse l’articolo. Vorrei esprimere un parere su un punto: là dove si afferma che essere donne e risiedere nel Mezzogiorno comporta una maggiore disoccupazione. Io credo che in questo caso intervengano in maniera determinante calcoli di convenienza (del tutto legittimi) che mantengono alta in negativo questa media occupazionale. Per esempio, perchè una donna dovrebbe accettare un lavoro sottopagato e sfruttato come la commessa in un supermercato (parliamo di 10 ore lavorative a 700 € al mese) e non restare a casa a prendersi cura della prole? Non ha una maggiore convenienza economica (e non solo) rispetto ad accettare un tale lavoro? E ancora: perchè un meridionale, anche qualificato, dovrebbe accettare un lavoro al nord, pagando affitto e spese condominiali di 700 € al mese + altre spese varie, in cambio di uno stipendio di 1150 € al mese? Non è più conveniente per lui vivacchiare con lavoretti di vario genere, ma restare vicino alla famiglia con tutti i vantaggi che ciò comporta? Vorrei che chi scrive questi articoli, peraltro in maniera competente, considerasse anche questi fattori che sicuramente hanno un loro peso determinante. Si rischia, altrimenti di sbagliare ancora una volta le politiche occupazionali di questo paese. Sarebbe più utile per esempio una politica che faccia abbassare gli affitti delle case, ci sarebbe una maggiore mobilità occupazionale oppure un aumento stipendiale dei contratti più bassi (del quale hanno già parlato i sindacati) avremmo più donne che lavorano. In questi giorni si parla di far pagare un unica tassa, sul modello tedesco, che riguardi l’imu e le tasse comunali sui servizi, estendendo il pagamento anche agli affittuari e non solo ai proprietari. Ma chi fa’ queste proposte, sa’ a quanto ammonta un affitto in Germania? E’ circa un terzo di un affitto in Italia! E con che coraggio si chiede di pagare tale tassa ad affittuari che sono già gravati da un affitto pesante? Non sono politiche contro il lavoro e la sua mobilità queste?
    Vi saluto

  2. Savino

    Il vero studio scientifico da compiere, in maniera tale da far emergere l’urgente utilità di forze fresche nel mondo del lavoro ai fini dell’incremento di produttività e di competitività, è tra coloro i quali un lavoro ce l’hanno da tanto tempo. Quante “figure professionali specifiche” per il lavoro così come lo conosciamo oggi ci sono tra coloro che hanno cominciato a lavorare 20 o 30 anni fa o anche più?
    Io vedo gente che, tanti anni fa, è riuscita ad ottenere, arrancando o addirittura comprandoselo, un diploma di scuola superiore o un diploma di laurea, ed oggi è immeritatamente, nei posti rilevanti della società: quelli sono i veri choosy.
    Il problema di competitività n. 1 in Italia è dato dal fatto che sul lavoro non vengono collocate le persone giuste al posto giusto. Quanti finora, pur avendo una certa professionalità specifica, svolgono o hanno svolto un tipo di lavoro diametralmente diverso?
    Bisogna, inoltre, responsabilizzare (e cominciare anche a licenziare) chi si occupa della selezione del personale quando commette errori clamorosi, quando si orienta con altri criteri immorali (raccomandazione? preferenze personali?), quando cestina i curricula di tanti bravi e onesti ragazzi, che poi riescono a dimostrare di essere dei fenomeni solo quando vanno all’estero.
    Io lo dico sempre a chi fa il “saggio” in modo ipocrita e dà dei “consigli” per scrivere un curriculum: anzitutto si imparino a leggere le store che ci sono dietro i curricula, fatte di una creatività e di un ingegno unico. Se si continua a cestinare un’intera generazione di sicuro non si fanno passi avanti.

  3. Brubo

    In Italia spesso si cercano i tecnici (laureati), e si fanno pure le selezioni accurate, che sanno il tedesco e sono più alti di 180 cm. e sono disposti a “progetti formativi valoriali” ( invece lavoro duro concreto senza diritti) a retribuzione nulla = 0€ (neppure il pasto a pranzo e il rimborso del costo dell’autobus per recarsi al lavoro).
    E i famosi datori di lavoro che fanno tali proposte si scandalizzano se non trovano questo tipo di giovani. La retribuzione, secondo i datori di lavoro, consisterebbe nell’esperienza maturata da spendere in un altro “progetto formativo valoriale”.

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