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Calcio in tv: la rivoluzione può attendere

Dazn, con Tim, si è aggiudicata la trasmissione delle partite del campionato di calcio. Ma il passaggio dal mondo broadcast a quello dell’online e delle reti a larga banda non è stato indolore. Ora si profila una guerra dei prezzi, oltre che degli ascolti.

L’autunno del calcio

Dopo un’estate caratterizzata dai grandi trionfi sportivi – Olimpiadi, Paraolimpiadi, Mondiali di pallavolo ed Europei di calcio – ora il campionato di calcio vive una fase complessa, caratterizzata da problemi di varia natura, legata sia ad aspetti tecnici che economici.

Giova ricordare, ripercorrendo la storia degli ultimi mesi, quanto fin qui accaduto: la chiusura dell’istruttoria dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato contro Dazn/Tim, che ha consentito, a determinate condizioni, di lasciare inalterato il risultato dell’asta, con Dazn assegnatario dei diritti di tutte le partite, in co-esclusiva con Sky per sole tre partite; la sub-licenza a Sky da parte di Dazn dei diritti di trasmissione nei locali pubblici; le forti proteste, anche a livello parlamentare, e l’intervento della Lega Calcio a seguito dei disservizi manifestatisi in occasione della visione di alcune partite, le polemiche scatenate da diversi dati di ascolto forniti da Auditel e da Dazn; la conseguente apertura di due istruttorie da parte di Agcom sulla tenuta della rete e sugli ascolti.

Di fatto, dunque, la rivoluzione del calcio annunciata fa molta fatica a realizzarsi, lasciando spesso tifosi e abbonati a rimpiangere i tempi passati (l’era Sky-Mediaset), quando tutto funzionava, in modo semplice e affidabile.

Cosa non funziona

Nella sostanza, sono due i profili critici. Il primo, e certamente più ricorrente, è di ordine tecnico ed è legato principalmente alla qualità del servizio. Il passaggio dal mondo broadcast del satellite e del terrestre a quello dell’online e delle reti a larga banda, in un paese che per lungo tempo ha registrato forti ritardi, anche infrastrutturali, nell’adozione delle tecnologie digitali, lasciava aperti dubbi e perplessità, che almeno nelle prime giornate di campionato si sono rivelati in gran parte giustificati.

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Non si può evocare il salto tecnologico, peraltro auspicabile, come fine ultimo per raggiungere il quale ci sono sacrifici da sostenere. Coloro che pagano un servizio hanno diritto ad avere quel servizio nel modo migliore e almeno alle stesse condizioni di qualità di chi lo forniva in precedenza. Le vicende delle ultime settimane hanno dimostrato che non è stato così e Dazn per prima deve farsi carico dei disservizi nei confronti dei propri abbonati, che incideranno certamente sul business, ma che, in una prospettiva non troppo lontana, potrebbero accrescere la disaffezione per uno spettacolo – il campionato di calcio di Serie A – che è stato fin qui rilevante nella vita e nel tempo libero degli italiani e per molti versi anche nell’economia del paese.

La guerra degli ascolti

Il secondo aspetto, che a quest’ultimo punto si ricollega, riguarda una sorta di guerra degli ascolti, con l’accusa a Dazn di gonfiare i dati, sulla base di una diversa metrica di rilevazione.

I servizi di misurazione delle audience, come ricorda l’Agcom, incidono in modo determinante sulla valorizzazione delle inserzioni pubblicitarie, nonché sulla valutazione del ritorno sugli investimenti effettuati e sulla pianificazione e ottimizzazione di quelli futuri. Inoltre, la rilevazione degli indici di ascolto assume rilievo per la ripartizione dei proventi derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi tra i club di serie A.

Nella fattispecie, si confrontano due metodologie: quella tradizionale Auditel, peraltro l’unica delle due certificata, in cui sono rilevati solo gli individui che in quel momento stanno vedendo la televisione; e quella di Dazn, che riporta gli ascolti registrati anche da altri apparecchi, come tablet, pc e smartphone, secondo un modello cosiddetto di total audience, che appare peraltro più in linea, laddove certificato da un organismo terzo, con i nuovi modelli di consumo in streaming, legati a fenomeni nuovi quali la condivisione degli abbonamenti, la visione su più devices e non necessariamente a casa.

In attesa dell’intervento dell’Agcom, vengono forniti dati non omogenei che rischiano di creare confusione e incertezze nel mondo pubblicitario.

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Un’ultima conseguenza è la guerra dei prezzi, con offerte al ribasso, soprattutto da parte di Sky, al fine di ridurre il travaso di abbonati da Sky a Dazn (e Tim). Come dimostra la recente storia delle telecomunicazioni in Italia, di cui ormai anche Sky, con l’offerta in fibra di Sky Wifi, è diventato parte integrante in diretta concorrenza con Tim, il processo di riduzione dei prezzi, per un verso, ha dato vantaggi immediati per i consumatori, dall’altro rappresenta un freno per gli investimenti infrastrutturali e l’innovazione. La riduzione dei margini, quando non addirittura il margin squeeze, determina forti disincentivi per le imprese a investire e pone grossi problemi di concorrenza e di efficienza.

Sarebbe un peccato che un fenomeno immaginato come un possibile volano per la trasformazione digitale del paese si riducesse a una guerra di sconti e di offerte al ribasso, che frenerebbero, più che agevolare, il processo.

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  1. lorenzo

    L’articolo non menziona il valore del prodotto “SerieA”. Tale valore è stato sovrastimato da un lato (la discesa in campo dell’editore/allenatore/PdC non è stato un bene) e sovvenzionato dall’altro (il decreto spalma-debiti e l’introduzione forzosa del digitale terrestre a scapito di satellite e internet).
    Che dire. Per chi come me non segue il calcio sente solo il sapore della beffa delle tasse sul prodotto “SerieA” che nemmeno segue.

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