I rincari del gas, legati a dinamiche planetarie, non sono riconducibili di per sé al percorso di transizione energetica. E se si decide di non trasferirli in bolletta, vanno evitate misure di corto respiro e contraddizioni con gli obiettivi di fondo.
Salgono i prezzi dell’energia
Le emergenze, molto spesso, hanno il merito di far affiorare i problemi più o meno manifesti che le hanno determinate. È il caso del caro energia. A inizio estate, a fine giugno, i prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica hanno iniziato a correre e da allora non si sono più fermati.
Allora le cause erano state ricondotte a un mix di elementi contingenti e strutturali: l’aumento di domanda, dovuto alle condizioni meteoclimatiche (alte temperature e alti consumi per raffrescamento), la ripresa delle attività (anche di svago), le quotazioni del gas naturale in significativa ascesa e i prezzi alti dei permessi di emissioni di anidride carbonica (CO2) sempre al di sopra dei 50 €/t, valore mai raggiunto prima di maggio e doppio rispetto al novembre 2020.
Tanto da determinare l’intervento del governo con uno stanziamento di 1,2 miliardi di euro per contenere l’aumento dei prezzi elettrici al dettaglio al 9,9 per cento per i consumatori in “maggior tutela” per il trimestre luglio-settembre, in luogo del 20 per cento che altrimenti si sarebbe verificato.
Una situazione sempre più grave e sempre meno congiunturale
Oggi la situazione è ben più grave: le quotazioni all’ingrosso del gas hanno continuato a crescere e da settembre si sono impennate, sospingendo anche i prezzi elettrici a livelli record. Il gas naturale, infatti, è la seconda fonte nel mix elettrico europeo dopo il nucleare, in Italia la prima. E poiché l’inverno è ancora lontano, è senz’altro il caso di preoccuparsi. Come hanno fatto i governi europei, cercando prima di intervenire singolarmente e con provvedimenti di emergenza per contenere l’impatto sui prezzi al dettaglio e poi provando a dare risposte europee. Invero rispolverando idee che erano forse nuove negli anni Ottanta del secolo scorso, come gli acquisti comunitari per aumentare il potere contrattuale, ma sono oggi probabilmente lontane dalla realtà odierna dei mercati energetici. Nel prossimo Consiglio europeo del 21-22 ottobre, come anticipato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, si discuterà anche dell’istituzione di una riserva strategica gas dell’Ue (altra idea per nulla nuova e di non ovvia applicabilità, dal momento che non sono stati individuati nuovi siti di stoccaggio disponibili a gestirla).
E infatti l’impatto sui mercati delle dichiarazioni europee, nonostante la voce autorevole di Mario Draghi, non si è visto, mentre le parole Vladimir Putin sull’impegno russo ad aumentare le forniture all’Europa, anche attraverso l’Ucraina, per stabilizzare il mercato con volumi ulteriori rispetto a quelli previsti dai contratti hanno immediatamente raffreddato i prezzi (figura 1).
Figura 1 – Prezzo di riferimento dell’energia elettrica borsa elettrica italiana (Pun), prezzo del gas all’hub virtuale italiano (Psv), prezzo del gas all’hub virtuale olandese (Ttf), prezzo permessi di emissioni di biossido di carbonio (CO2)
Il mercato del gas è infatti sostanzialmente cambiato negli ultimi anni. Gli scambi di America, Asia ed Europa hanno perso i caratteri regionali per divenire globali; il peso delle contrattazioni spot, grazie al diffondersi del trasporto via nave, è cresciuto a discapito del più rigido trasporto via gasdotto – che pure con la caratteristica ripartizione dei rischi tra produttori e consumatori (le clausole take or pay) ha garantito mastodontici investimenti (nel 1969 il primo contratto dell’Eni con l’Urss comprensivo della realizzazione del gasdotto); il peso dell’Europa si è notevolmente ridotto. Oggi è l’Asia, Cina in testa, a tirare la volata ai prezzi. L’accresciuta liquidità negli ultimi due anni è divenuta volatilità. E se i minimi storici non hanno fatto notizia. I valori record pongono numerosi e fondati dubbi sul ruolo del gas naturale come combustibile ponte per la fase di transizione energetica dove le fonti rinnovabili giocheranno un ruolo sempre maggiore.
È veramente colpa della transizione energetica?
La forte crescita dei prezzi nel mercato dell’energia è stata frettolosamente addebitata da alcuni commentatori a non meglio precisati costi della transizione ecologica. Ma è bene analizzare le diverse componenti che in questa fase, e nel prossimo futuro, eserciteranno una pressione al rialzo del prezzo dell’energia.
Nell’ambito energetico, la transizione ecologica riguarda principalmente la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili nella produzione di energia. Oggi le fonti rinnovabili possono coprire solo parzialmente la domanda di energia e sono caratterizzate, in particolare per il solare e l’eolico, da intermittenza e non programmabilità. Per questo è necessaria una capacità di produzione di back up fornita in Italia principalmente dal gas. L’uso parziale di questi ultimi impianti, tuttavia, pone problemi di sostenibilità economica e richiede quindi il pagamento di contributi legati alla disponibilità di capacità, indipendentemente dalla effettiva produzione di energia. Infine, gli impianti a gas sono sottoposti all’onere dei permessi di emissione che rientrano, assieme alla materia prima, tra i loro costi.
Questo quadro sommario permette di capire che il costo del gas, legato alle dinamiche oramai planetarie dei mercati internazionali, non è addebitabile di per sé al percorso di transizione energetica e giocherà un ruolo via via minore quanto più le fonti rinnovabili si espanderanno. Il costo dei mercati di capacità, che remunera gli impianti a gas, è invece direttamente legato alla composizione eterogenea del parco di generazione, al contributo crescente delle fonti rinnovabili e al ruolo residuale degli impianti a gas. È ragionevole immaginare che la capacità di back up fornita a garanzia dell’equilibrio del sistema dagli impianti a gas possa gradualmente ridursi nella misura in cui lo sviluppo di sistemi di accumulo permetterà di immagazzinare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Infine, il costo dei permessi di emissione è uno strumento fondamentale per ridurre gli incentivi all’utilizzo di fonti fossili e, nel medio periodo, gli investimenti nelle fonti fossili. Strumento costoso, ma meritorio.
In conclusione, quindi, le dinamiche del prezzo dell’energia e il ruolo preponderante dei prezzi del gas naturale non possono essere interpretati grossolanamente come costo della transizione energetica.
Miliardi di emergenza
Cosa fare nell’immediato? Per attenuare l’impatto dei prezzi all’ingrosso sulla bolletta è possibile operare (una tantum) riducendo alcune voci degli oneri di sistema, da spostare nella fiscalità generale. Oppure si può compensare il maggior onere dei prezzi all’ingrosso recuperando risorse da altre voci di spesa. In Italia, per calmierare i prezzi del mercato tutelato (questa volta anche del gas) per l’ultimo trimestre dell’anno si è intervenuti, sempre per decreto, movimentando risorse per oltre 3,5 miliardi di euro in modo da contenere l’impatto degli aumenti a solo +29,8 per cento per l’energia elettrica e +14,4 per cento per il gas naturale.
Una cifra ragguardevole finanziata con: 1.709 milioni dalla riduzione dei “ristori” per imprese e partite Iva, 700 milioni dalla diminuzione del credito di imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro al Covid, 129,4 milioni dalla riduzione del fondo per le emergenze nazionali, 700 milioni di euro derivanti dalle aste delle quote di emissione e 300 milioni dalla riduzione del fondo per interventi e misure per lo sviluppo tecnologico e industriale in materia di fonti rinnovabili ed efficienza energetica.
Quest’ultimo miliardo, destinato a finanziare la transizione ecologica (pur con esempi discutibili come il buono mobilità, sovvenzionato anche con i proventi delle aste di CO2), viene quindi utilizzato per contenere l’aumento del prezzo del gas naturale in gran parte responsabile (circa l’80 per cento) del rincaro dell’energia elettrica. Ma se la crescita dei prezzi all’ingrosso segnala una fase di scarsità nel mercato del gas naturale, sterilizzare gli aumenti in bolletta impedisce di trasmettere questi stessi segnali agli utenti finali, che non avvertono quindi la necessità di un utilizzo più efficiente dell’energia nei propri consumi. Una matassa alquanto intricata, dove i pur auspicati segnali di prezzo vengono calmierati perché troppo onerosi per i consumatori finali (e anche per i decisori politici che dai consumatori sono votati), che evidentemente non potrà essere sbrogliata con provvedimenti emergenziali.
In conclusione, non esistono ricette facili per accompagnare la transizione energetica bilanciando gli effetti su produttori e consumatori. In primo luogo, occorre valutare quanto si ritenga opportuno che le fasi, quali quella attuale, di aumento del prezzo dell’energia all’ingrosso debbano trasmettersi anche nei costi in bolletta per gli utenti finali. Nella misura in cui un disaccoppiamento, almeno parziale, sia desiderabile, gli strumenti e le fonti di finanziamento debbono essere individuate in coerenza con gli obiettivi di fondo della transizione energetica, evitando contraddizioni e misure di corto respiro.
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Savino
E la bolla speculativa sui superbonus edilizi 110% e 90%? Dimostra esattamente che su quella che definite transizione qualcuno ci marcia. Idem l’eolico e le implicazioni criminali. Idem la transizione digitale con la corsa ad accaparrarsi il nuovo modello di smartphone o televisore. Risultato è meno soldi nelle tasche famiglie, inflazione, stagnazione, più inquinamento, meno posti di lavoro. Complimenti.
Enrico Motta
In tempi di bla bla bla avete fatto bene a toccare l’argomento degli “utenti finali che non avvertono quindi la necessità di un utilizzo più efficiente dell’energia nei propri consumi”. A sentire i media e il dibattito politico prevalente, sembra invece che l’obbiettivo principale sia mantenere i prezzi invariati, tanto si può scaricare tutto nel debito pubblico. E vai con gli sprechi!
Savino
calmierare i prezzi non è mai uno spreco di debito pubblico come quota 100