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Energia: dalla sicurezza alla competitività

Scongiurato il pericolo razionamento, resta il problema del costo del gas. Va salvaguardata la competitività della nostra economia, perché fra sacrosante politiche ambientali e costi energetici, il rischio della deindustrializzazione definitiva è reale.

Il gas c’è, ma è più caro

Arrivati alla primavera, possiamo finalmente certificare che, da un punto di vista energetico, il peggio è passato. I soldi pubblici utilizzati per riempire gli stoccaggi, l’inverno mite e il contenimento dei consumi (in parte volontario, in parte dovuto a distruzione di domanda) hanno garantito la sicurezza degli approvvigionamenti. Gli accordi siglati da vari paesi europei con fornitori alternativi e la rapida realizzazione di nuovi terminal di rigassificazione fanno pensare che, già a partire dal prossimo inverno, potremo fare a meno del gas russo.

La relativa disponibilità di gas e le previsioni tutto sommato non negative per la prossima stagione fredda hanno portato, di recente, i prezzi del gas fin sotto la soglia psicologica dei 50 €/MWh.

Scampato il rischio razionamento a suon di miliardi pubblici e privati, resta, soprattutto per l’Italia, un rischio altrettanto grande: quello della competitività. Il gas russo, oltre a essere abbondante, era particolarmente conveniente. Molti investimenti e molte infrastrutture di trasporto erano ampiamente ammortizzati e l’abbondanza si è tradotta in prezzi stabili e contenuti, favoriti anche da contratti di lungo periodo. Per quasi tutto l’ultimo decennio, il prezzo ha oscillato intorno ai 20-25 €/MWh. È improbabile rivedere questi prezzi medi nei prossimi anni. Tutte le alternative al gas russo sono più costose: giacimenti nuovi o da avviare, produttori più lontani e infrastrutture più costose comporteranno un prezzo di vendita più elevato. Questo effetto sarà combinato con il maggior ricorso al Gnl e a contratti di medio o breve periodo, che aumenteranno la volatilità e richiederanno una miglior gestione del rischio.

Il prezzo dell’elettricità

Se per il consumo diretto di gas, a livello europeo, possiamo anche invocare il vecchio adagio del mal comune, mezzo gaudio, per i consumatori elettrici italiani c’è la seria possibilità di tornare indietro di oltre un decennio, in termini di spread con gli altri mercati europei, per via del nostro mix di generazione fortemente sbilanciato sul gas. Ipotizzando un prezzo medio particolarmente favorevole, ovvero fra i 30-35 €/MWh, ci ritroveremmo un costo di generazione del parco termoelettrico italiano vicino ai 70 €/MWh, a cui aggiungere il costo delle emissioni, che è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni. Un mercato Ets nell’intorno dei 90-100 euro per tonnellata di CO2 (i 100 euro sono giusto stati superati il 21 febbraio) implica ulteriori costi per un generatore gas di circa 30-35 €/MWh. In definitiva, è altamente probabile che il costo medio di generazione del parco termoelettrico italiano sarà nell’intorno dei 100 €/MWh. Per i prossimi anni, il baseload sarà fornito dai cicli combinati gas (quota che aumenterà una volta ritirato il carbone). Il picco, invece, sarà fornito spesso da cicli aperti, che avranno prezzi ancora più elevati. Pertanto, il prezzo orario sarà spesso determinato dai produttori termoelettrici, anche in considerazione della sempre più probabile scarsa idraulicità degli impianti idroelettrici, per via dei cambiamenti climatici. Analizzando il ritmo e la tipologia degli investimenti nel settore elettrico, nulla fa pensare che la situazione possa cambiare drasticamente nel prossimo decennio.

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Pertanto, solo la componente all’ingrosso dell’energia rischia di oscillare intorno ai 100 – 110 €/MWh (a essere ottimisti). Se aggiungiamo i costi di bilanciamento, quello della rete di trasmissione, le perdite e tutti gli altri oneri, l’elettricità costerà a un grande consumatore industriale, se andrà bene, una cifra non lontana dai 150 €/MWh. E a 150 €/MWh, le industrie italiane non possono essere competitive, né in Europa né, tantomeno, nel mondo. Il rischio che l’elettricità costi fra il 50 per cento in più di un concorrente europeo e il 100 per cento di uno extra-europeo è molto elevato.

Nessun coniglio dal cilindro

A questo punto, uno speranzoso lettore si aspetta di leggere come l’autore, tirando fuori il coniglio dal cilindro, pensi sia possibile risolvere la situazione. Ahimè, non solo non c’è nessun coniglio, ma anche il cilindro è parecchio sgualcito. Le soluzioni, se così si possono chiamare, non sono né rapide, né tantomeno di efficacia garantita.

Lato generazione, si dovrebbe drasticamente aumentare il numero di impianti in grado di offrire elettricità a prezzi ampiamente inferiori ai 100 €/MWh. Questo vuol dire avere una quantità significativa di installazioni di rinnovabili che costino al sistema e ai consumatori (almeno a quelli industriali) fra i 50 e gli 80 €/MWh, tutto incluso (e per “tutto” si intende anche i rinforzi di rete e il bilanciamento). Mentre per “quantità significativa”, si intende triplicare le installazioni annuali che abbiamo avuto nel 2022, già a partire dal 2023. Il nucleare, per quanto possa contribuire alla decarbonizzazione nel lungo periodo, non può avere alcun ruolo nei prossimi dieci anni, e, pertanto, non può essere considerato una soluzione per i problemi di competitività dell’economia italiana. Peraltro, non si può certamente considerare l’Epr francese come una possibile soluzione, visti i costi e i ritardi esorbitanti.

Lato trasmissione, bisogna fare molto di più sia per evacuare più elettricità dal Sud al Nord, sia per aumentare ancora di più le interconnessioni con Francia ed Europa centrale. Anche qui, tuttavia, la speranza che impatti significativi si vedano prima del 2030 è bassa.

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Lato domanda, non resta alle aziende che inseguire il Sacro Graal dell’efficienza. Ovvero produrre lo stesso output in valore con un terzo dell’energia in meno dei loro concorrenti europei. Il problema è che i guadagni di efficienza sono marginalmente decrescenti. E quelli più facili da raggiungere, in molti casi, sono già stati raggiunti.

In tutto questo, c’è un ruolo per il pubblico? L’autore, che ha sempre avuto simpatie liberali, non si tradirà certo suggerendo sussidi o prezzi calmierati. La riforma del mercato, col parziale superamento della regola del prezzo marginale, invece, può essere una strada: strada irta di rischi e con esiti incerti, ma che deve essere per forza intrapresa. Qui dobbiamo provare a prendere un ruolo di leadership europeo e questo implica che le forze politiche, nei prossimi anni, dovranno frequentare corsi di formazione avanzati e rapidi in economia dell’energia. Oltre alla riforma del mercato, bisogna trovare il modo di velocizzare il più possibile il percorso autorizzativo delle rinnovabili, favorendo ovviamente un procurement molto competitivo. Regole più chiare e tempi più rapidi possono ridurre i costi finanziari, rendendo più plausibile l’ottenimento di prezzi realmente competitivi da parte dei produttori rinnovabili. Infine, per favorire l’industria, dobbiamo pensare a una rimodulazione degli oneri di sistema (che da aprile, salvo sorprese, torneranno in bolletta) e questo vuol dire valutare l’opzione di metterli tutti a carico dei soli clienti domestici, integrando la misura con maggiori supporti alle fasce di reddito basse.

Come anticipato, nessun intervento qui suggerito avrà una grande efficacia nel breve periodo. La salvaguardia della competitività della nostra economia e della nostra industria richiedono le idee e il contributo di tutti, perché mai come adesso, fra (pur sacrosante) politiche ambientali e costi energetici, il rischio della deindustrializzazione definitiva del paese è reale e non basteranno le nuove regole sulle concessioni balneari a salvaguardare il nostro Pil.

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  1. Luigi Segale

    Relazione chiara e ragionata sulla base dei dati reali, nonchè comprensibile anche ai non specialisti E fa piacere sia stata prodotta da un giovane analista – ricercatore, probabilmente anche prof (ma non mi intendo di incarichi universitari o di Istituzioni scientifiche) . comprendiamo che il nostro futuro economico è condizionato in maniera determinante dalla politica energetica del paese. Diamoci da fare e sollecitiamo politici e decisori ad aggiornare i piani , a decidere ed a fare.

  2. Michele Laurencig

    Federico sempre chiaro e preciso, report molto interessante!

    Molto complicato a mio avviso capire dove questo tema andrà ad atterrare, pensando dove eravamo 12 mesi fa e 24 mesi fa, e anche alla forte variabilità portata dall’efficacia o meno del governo nell’implementare la politica energetica.

  3. Maurizio Cortesi

    Mi chiedo perché debba essere salvaguardato un Pil fondato sul debito pubblico, incluso i balneatori, e sull’energia fossile a basso costo e alto dispotismo politico. L’Italia è una bolla economica frutto di molte balle, anche industriali, spacciate da decenni da stuoli di diciamo ‘intellettuali organici’ per non usare espressioni censurabili da questo sito politically correct. Il cambiamento cliimatico è appunto un cambiamento strutturale non necessariamente catastrofico, ma comunque più profondo dell’asettica transizione energetica spacciata dai soliti intellettuali organici. E richiede riforme strutturali dei bilanci pubblici e privati.

  4. paolo

    Fin o a che rimaniamo tappati dal prezzo marginale anche installando decine di GW di rinnovabile non ci sarebbero grandi cambiamenti.
    La strada maestra resta quella indicata dalla spagna: un sussidio alla produzione di energia elettrica da gas (erogato DOPO la chiusura del mercato MGP ed escludend i flussi di export verso gli altri paesi UE), si rifletterebbe in un risultato di taglio generalizzato dei costi che lo ripagherebbe molto più che integralmente (ribaltando il meccanismo del prezzo marginale a favore, invece che contro il consumatore).
    Effetto immediato, costo zero per il bilancio pubblico, vantaggio di decine di miliardi per il consumatore. Ma noi abbiamo cose più importanti da fare.

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