I rifiuti speciali crescono quanto il Pil. Sono spesso recuperati, ma l’aumento degli stoccaggi, la riduzione del numero degli impianti e i crescenti divari territoriali richiedono soluzioni che permettano di trattare tutte le tipologie in modo adeguato.
Cresce la produzione, crescono i rifiuti
Nel 2019, la produzione di rifiuti “speciali”, ovvero quelli prodotti dalle attività economiche, ha totalizzato circa 154 milioni di tonnellate, facendo registrare una crescita del 7 per cento, rispetto al 2018, e del 16 per cento, rispetto al 2015. Osservando il grafico 1, si nota che la produzione di rifiuti speciali ricorda da vicino l’andamento del Pil. Possiamo dunque essere certi che con il rimbalzo dell’attività economica nel 2021 anche i rifiuti speciali torneranno a crescere in modo imponente.
I rifiuti speciali rappresentano la gran parte dei rifiuti prodotti nel nostro paese, sono infatti oltre 80 per cento del totale. Più di un quarto dei rifiuti prodotti dalle attività economiche (42,2 milioni di tonnellate) sono scarti del trattamento dei rifiuti stessi, in primo luogo il trattamento meccanico, e delle acque (Capitolo 19 dell’Elenco europeo dei rifiuti, Eer). Questi rifiuti da trattamento dei rifiuti sono peraltro in crescita: +736mila tonnellate nel 2019, rispetto al 2018.
Tuttavia, la contabilità Ispra si basa sia sui dati registrati dai Mud, formulari che accompagnano la movimentazione dei rifiuti, sia su procedimenti di stima. Non si può perciò escludere – anzi, è assai probabile – che nella contabilità ufficiale dei rifiuti, laddove la gestione preveda più passaggi, tra fasi di stoccaggio, trattamento e smaltimento, i rifiuti possano essere conteggiati più volte, comportando un “aumento” dei fabbisogni. Meglio sarebbe forse utilizzare diagrammi di flusso, in modo da indicare chiaramente come i flussi in entrata a ciascuna fase si riconcilino con quelli in uscita, evidenziando la dimensione degli scarti e la destinazione finale a riciclo, recupero energetico o smaltimento.
La gestione punta sul recupero e sull’import
Nella gestione dei rifiuti speciali, le attività di recupero (132,8 milioni di tonnellate) sono largamente prevalenti sullo smaltimento (31,6 milioni), indice di un modello orientato alla valorizzazione, che peraltro vede il nostro paese ai primi posti nelle graduatorie europee per l’elevata percentuale di rifiuti speciali riciclati (siamo al 69 per cento).
La bilancia commerciale import/export dei rifiuti è positiva per 3,1 milioni di tonnellate. In altre parole, importiamo più rifiuti di quanti ne esportiamo, ma ne esportiamo comunque 3,9 milioni di tonnellate, a segnalare che non per tutti i rifiuti disponiamo di una risposta impiantistica in casa. L’Italia riesce, ad esempio, a importare rottami di ferro perché diventino nuova materia prima nei poli metallurgici di Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, ma allo stesso tempo deve esportare rifiuti che potrebbero essere recuperati energeticamente perché non ci sono impianti oppure esporta rifiuti pericolosi a smaltimento per la mancanza di discariche.
Le criticità
Tra le criticità della gestione dei rifiuti speciali vi è ancora l’eccessivo ricorso alla discarica e alle altre forme di smaltimento: vi finiscono 20 milioni di tonnellate di rifiuti da rifiuti. È un aspetto certamente da migliorare, privilegiando il recupero di materia e il recupero energetico, così da ridurre gli impatti ambientali. Un’incidenza, quella dello smaltimento, ancora troppo elevata per i fanghi dalla depurazione delle acque urbane, dove più di una tonnellata su due viene smaltita: Oltralpe, in Francia e Germania, la produzione di fanghi è minimizzata all’origine, giacché da questi ultimi si estraggono fertilizzanti e nutrienti, oltre che energia.
Il parco impiantistico italiano, pari a 10.839 impianti nel 2019, è in calo: probabilmente, ciò rivela un principio di consolidamento dell’industria e andrebbe rinforzato a sostegno dell’innovazione e delle economie di scala. Inoltre, gli impianti si concentrano per lo più al Nord (57 per cento), tanto che la dotazione della Lombardia da sola eccede quella dell’intero Centro Italia. Se è vero che gli impianti si localizzano laddove c’è un fabbisogno, allo stesso tempo la loro carenza in molte aree del Centro e del Sud diviene un fardello per il sistema industriale, privo di sbocchi per i propri scarti, se non a costi più elevati.
Se è vero che il recupero è prevalente sullo smaltimento, è altrettanto chiaro che l’aumento degli stoccaggi rivela difficoltà crescenti nell’assicurare una destinazione finale ai rifiuti in tutte le aree del paese: gli sbilanci regionali sono evidenti, anche per le regioni del Nord, dove occorrono più impianti per il recupero energetico e lo smaltimento. Nel complesso, il saldo tra fabbisogno e capacità di gestione dei rifiuti avviati a incenerimento e smaltimento è negativo per oltre 2,4 milioni di tonnellate: 1,8 milioni vengono esportati e 0,6 stoccati in attesa di destinazione.
Un’occasione perduta, tutta a detrimento dell’ambiente e della creazione di valore aggiunto e occupazione.
Quali scenari per il futuro: una gestione di prossimità?
Indubbiamente, per far fronte adeguatamente al percorso di transizione ecologica che si sta avviando, con ampie trasformazioni in campo energetico e con la progressiva attuazione del paradigma dell’economia circolare, nessuna opzione tecnologica può essere preclusa, per trattare adeguatamente tutte le tipologie presenti, e future, di rifiuti prodotti. Ivi incluse, quelle che si origineranno dal processo di rinnovamento delle infrastrutture energetiche, come ad esempio in caso di sostituzione dei pannelli solari per raggiunti limiti di età o le pale eoliche di prima generazione. Pertanto, occorre prepararsi a gestire anche i rifiuti che origineranno dalle infrastrutture che andremo a realizzare nei prossimi anni, anche grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Una recente sentenza (n. 5025) del Consiglio di stato ribadisce la necessità di coniugare il principio di prossimità nella gestione dei rifiuti speciali, all’interno di un regime di libero mercato, assieme a quello della specializzazione impiantistica, documentando l’origine territoriale dei fabbisogni di recupero energetico e smaltimento per chi richiede l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di trattamento. L’auspicio è che tale principio non diventi un ulteriore ostacolo all’autorizzazione di nuovi impianti, dietro il nobile intento di limitare la movimentazione dei rifiuti che danneggia l’ambiente. Bensì dovrebbe essere un’occasione per chiamare le regioni a misurare i fabbisogni, agevolando le iniziative volte a realizzare gli impianti che mancano. In subordine, l’appello va al Programma nazionale per la gestione dei rifiuti – inserito tra le riforme del Pnrr – con cui si dovranno indicare i flussi critici, con le maggiori difficoltà a smaltimento o con particolari potenzialità di recupero, anche su scala di area vasta.
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michele
Vi sono alcune imprecisioni. Innanzitutto i dati del MUD nascono dai formulari quindi il dato è attendibile e sicuramente completo, poi si afferma che bisogna incentivare il recupero energetico: sicuramente vero, ma non possiamo bruciare tutto!
I rifiuti da demolizione, le scorie di fonderia, le rocce di scavo e altri materiali incombustibili devo andare nelle discariche ma in questo non vedo nulla di male. La discarica non è il “male” è solo un buco per terra che viene riempito di materiale inerte e che, con un minimo di gestione non da alcun problema. Altra cosa il materiale che deve essere recuperato ma che viene smaltito o ancora l’assoluta inutilità del CONAI. Mi pare che gli autori, non abbiano molto chiaro l’argomento e che il risultato sia un articolo che non aggiunge molto a quello che, gli addetti del settore, già sanno.
Donato Berardi
Buonasera Michele, accettiamo di buon grado le sue considerazioni. Gli addetti del settore sanno ad esempio che le aziende con meno di 10 addetti non sono tenute alla predisposizione dei MUD e per queste si procede con delle stime. Gli inerti sono massimamente stimati, ad esempio. Tra trattamenti e innumerevoli passaggi che i rifiuti percorrono prima di arrivare a recupero o smaltimento il rischio di double counting è elevato. Anche questo gli operatori lo sanno bene. Invece che tra speciali e speciali da urbani avviamo ogni anno 20milioni di tonnellate di rifiuti da rifiuti a smaltimento, per quanti in larga parte potrebbero essere recuperati energeticamente, anche questo è noto agli addetti ai lavori. Purtroppo c’è ancora qualche addetto ai lavori che spaccia lo smaltimento come modalità di gestione sostenibile, e preferisce sotterrare fluff e altri rifiuti combustibili. Questo articolo ha il pregio di rendere evidente la saccenza di alcuni addetti ai lavori anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Saluti. Donato Berardi
Alessandro
Purtroppo il settore degli speciali rimane molto frammentato, tanti piccoli operatori con un livello di attenzione all’ambiente molto basso. Spero che nei prossimi anni i grandi player dell’ambiente possano crescere e consolidare il mercato. Non lo dico per motivi di natura economica ma di salute pubblica. Abbiamo visto tutti cosa può essere lo spandimento in agricoltura… Meglio un Inceneritore di ultima generazione