Trasporto pubblico locale, autostrade, ferrovie: sono settori dove la concorrenza non si vede. Eppure, non mancano i casi in cui la competizione ha dato buoni frutti. Perché non dare più competenze all’Autorità di regolazione?
Trasporto pubblico locale senza concorrenza
In un articolo precedente si è accennato ad alcune peculiarità della regolazione economica dei trasporti, e ci si è soffermati sul tema della regolazione tariffaria delle infrastrutture in relazione a obiettivi ambientali. Ma nella realtà italiana emergono altri comparti, sui quali occorrerebbe urgentemente intervenire, che non sembrano invece ricevere attenzione particolare nella prima relazione della nuova gestione dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), di recente insediata, né sembra farvi cenno la legge sulla concorrenza (che anche in questo settore rimanda quasi tutto di sei mesi).
Proviamo ad analizzarne brevemente alcuni, selezionati in funzione della loro rilevanza.
La situazione di gran lunga meno difendibile concerne il trasporto pubblico locale (Tpl). La messa in gara periodica delle concessioni è prescritta da molti anni dalla normativa europea, ma ha generato solo episodi marginali di competizione reale, nonostante si tratti di un tipo di competizione “per il mercato”, che cioè esclude ogni forma di liberalizzazione dei servizi, garantendo inoltre pienamente sia la tutela degli addetti che la socialità (tariffe, frequenze e così via). I mancati risultati sono perfettamente spiegati dall’attuale normativa italiana. Infatti, al di là di ogni logica che non sia quella della “cattura del decisore” da parte di interessi particolari, le norme consentono al giudice (in genere il comune) di essere anche concorrente alla gara (con la propria azienda). E nessun concorrente affronta i costi di una gara se pensa che poi avrà un concedente ostile.
La questione autostrade
Vi è poi la tutela degli interessi degli utenti autostradali. La Spagna ha calcolato che una importantissima tratta autostradale (la costiera a sud del paese) era stata pienamente ammortizzata dai pedaggi pagati dagli utenti, e li ha quindi aboliti.
In Italia gli utenti probabilmente hanno pagato molto più dell’ammortamento, con tassi di interesse garantiti per la parte più trafficata della rete, quella di Autostrade per l’Italia (Aspi), superiori all’11 per cento, tra l’altro per infrastrutture quasi certamente già in parte ammortizzate prima della privatizzazione. Il traffico di questa rete è dell’ordine del 75 per cento del totale delle autostrade a pedaggio. Perché almeno non fare i conti e dichiarare che il pedaggio è in realtà una tassa, che cioè non ha più connessioni con un ragionevole ammortamento?
Tra l’altro, come detto nell’articolo precedente, si tratta comunque di una tassa inefficiente, che non è giustificabile alla luce di motivazioni ambientali di sorta (e le tasse arbitrarie sono intrinsecamente inique).
In precedenza, l’Autorità aveva tentato di razionalizzare i pedaggi autostradali in difesa degli utenti nella fase di ri-pubblicizzazione di Aspi, anche se non si era certo spinta a sollevare dubbi né sugli ammortamenti già avvenuti né sull’inefficienza della logica tariffaria vigente, che come minimo dovrebbe essere omogenea tra i diversi tipi di infrastrutture non gratuite.
La gestione delle ferrovie
Ancora in tema di concessioni di infrastrutture, abbiamo poi la contendibilità delle gestioni.
Per le concessioni autostradali, anche sui media, si solleva almeno il problema della loro durata, della responsabilizzazione dei concessionari e della qualità dei servizi offerti. Nel caso ferroviario, invece, e in particolare per la concessione dominante, simmetrica ad Aspi, cioè quella di Rfi (Rete ferroviaria italiana, 100 per cento pubblica), neppure l’ipotesi di renderla contendibile è mai stata avanzata (se non una volta, in una conferenza stampa dell’allora ministro Padoan). L’esistenza di una concessione ancora molto lunga (scade nel 2060) non è argomento che renda tabù il tema: il padrone-stato con una sua azienda può fare ciò che vuole. E si tratta di un’azienda molto costosa: lo stato ne paga il 100 per cento degli investimenti e circa due terzi dei costi di esercizio, al contrario di tutte le altre infrastrutture di trasporto non gratuite. Perché non innovare, almeno in via sperimentale, mettendo in gara periodica la gestione, per esempio iniziando dalle reti non connesse di Sicilia e Sardegna? Una rete ferroviaria tra le più trafficate ed efficienti del mondo, quella statunitense, è in buona parte privata e realizza anche forti profitti, tanto da suscitare qualche problema di contendibilità per questo motivo, non per quello opposto come in Italia.
Ma il caso più clamoroso di “fallimento del decisore” nel settore ferroviario riguarda i servizi locali. Qui l’affidamento in gara è addirittura reso discrezionale (cioè di fatto abolito) da una normativa approvata dal Parlamento nel 2009. Il fatto è clamoroso perché si è verificato a valle di due casi di successo di apertura alla concorrenza ferroviaria: uno tedesco e uno italiano.
Quello tedesco concerne proprio i servizi regionali: la loro messa in gara non solo ha ridotto del 20 per cento circa i sussidi pubblici necessari a parità di servizio e di tariffe, ma ha incentivato anche l’efficienza dell’incumbent, le ferrovie statali DB. Un caso da manuale dei benefici per tutti di una “minaccia credibile”. Il caso italiano è quello dei servizi di alta velocità, dove l’avvento di un concorrente (Italo) non solo ha ridotto le tariffe per tutti gli utenti – anche quelli di Trenitalia -, ma sicuramente ha contribuito a migliorare l’efficienza di quest’ultima, oltre che a potenziare l’utilizzazione della rete e la frequenza dei servizi offerti (“effetto Mohring”, tecnicamente).
Di nuovo, perché almeno non sperimentare quando si hanno sotto gli occhi questi più che tangibili risultati? Qui la “cattura del decisore” sembra davvero conclamata.
Per il settore aereo è difficile pronunciarsi in fase di lancio del nuovo vettore Ita. Appare sottodimensionato, e la sua natura pubblica non rassicura rispetto a ulteriori protezioni, ma sembra giusto non fare processi alle intenzioni.
Ampliare le competenze di Art
Per concludere, mantenendosi sempre su un terreno di innovazioni regolatorie non facili ma possibili, perché non estendere le competenze di Art anche alla verifica “terza” dell’efficienza degli investimenti infrastrutturali? Il comparto non è certo meno esposto a fenomeni di “cattura del decisore” della sfera dei servizi di trasporto. E il regolatore indipendente ha il ruolo istituzionale di difendere utenti e contribuenti da costi impropri di ogni natura. Il problema si pone oggi in particolare in quanto i rilevantissimi investimenti nelle infrastrutture di trasporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza non sono finora sostenuti da analisi di efficienza di alcun tipo, nemmeno ambientali.
Sembra giusto concludere ricordando che, per la crescita economica del paese, l’innovazione gestionale, di cui la regolazione indipendente si occupa, non è certo meno rilevante di quella tecnologica.
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Federico Leva
“Una rete ferroviaria tra le più trafficate ed efficienti del mondo, quella statunitense”
Scusatemi ma qui siamo alla fantascienza.
Marco Ponti
Non è che argomenta molto. Un dato certo è che trasporta una enorme quantità di merci, fa profitti, e non costa nulla allo Stato (escludendo Amtrack). Lei forse considera questo fantascientifico perché abituato agli enormi sussidi europei.
Rick
Bell’articolo, ma la parte sulla rete americana è sbagliata. La rete americana usa una tecnologia diversa e inferiore (treni a gasolio invece che elettrici), come risultato anche i costi di gestione e manutenzione dell’infrastruttura sono molto più bassi.
Che io sappia tutti o quasi i paesi con ampie reti ferroviarie elettriche (perfino UK con Network Rail) hanno la rete posseduta dallo stato. Un monopolio naturale che deve coprire grandi costi, non ci vedo nulla di male.
Marco Ponti
Il possesso della rete da parte dello Stato, su cui posso concordare, non ha molto a che vedere con una gestione affidata con gare periodiche. E la tecnologia neppure.