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Abuso di dipendenza economica: non è una condanna a priori

Il Ddl concorrenza introduce una presunzione di abuso dipendenza economica mirata in particolare alle piattaforme digitali. Il provvedimento ha suscitato varie critiche, forse eccessive. Queste tematiche andrebbero però lasciate al legislatore europeo.

Cosa dice l’articolo 29

Alla fine degli anni Novanta, così come altri paesi europei, l’Italia si è dotata di un divieto legislativo di abuso di dipendenza economica, modellato sul divieto antitrust di abuso di posizione dominante. La norma riguarda i rapporti “verticali” tra imprese, come per esempio il franchising, la subfornitura industriale, i rapporti tra grande distribuzione organizzata e fornitori. Prima applicabile solo in giudizi civili tra parti private, nel 2001 la norma è stata fatta rientrare anche nella competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può intervenire in sede amministrativa per reprimere gli abusi di posizione dominante. L’Agcm ha così progressivamente “riscoperto” una disciplina che inizialmente aveva addirittura osteggiato, in quanto priva di corrispondenti nella legislazione antitrust comunitaria. 

Il disegno di legge concorrenza, appena approvato in Consiglio dei ministri, contiene un articolo – il 29 – intitolato “Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica”, specificamente mirato alle grandi piattaforme digitali, suggerito proprio dall’Agcm.

L’articolo 29 introdurrebbe una presunzione (relativa, cioè superabile fornendo prova contraria) di dipendenza economica delle imprese che si devono affidare alla piattaforma digitale come intermediario per raggiungere il consumatore finale, tenuto conto di fattori quali gli “effetti di rete” e la “disponibilità di dati” in capo alla piattaforma. Inoltre, l’elenco (non tassativo) delle pratiche abusive si arricchirebbe di ipotesi, formulate sì in termini generali, ma che appaiono suggerite dall’esperienza dei rapporti tra le grandi piattaforme digitali e le imprese che si avvalgono dei loro servizi di intermediazione. Così, in particolare, il “fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito” (per esempio sul posizionamento relativo, nelle ricerche del consumatore, dei prodotti che le imprese terze offrono attraverso la piattaforma).

Le critiche

La proposta contenuta nel Ddl concorrenza ha suscitato alcune critiche, riassunte in un intervento di Franco Debenedetti su Il Sole-24Ore

I punti sollevati sono tre: 1) la norma è un unicum in Europa, quando invece il fenomeno richiederebbe una disciplina uniforme europea; 2) la presunzione di dipendenza economica, che verrebbe così introdotta, suona come una condanna a priori delle piattaforme digitali; 3) la previsione legislativa è troppo indeterminata, sia nell’individuare i presupposti della presunzione di dipendenza sia nel definire le ipotesi di condotte vietate; e, nella sua ampiezza, rischia di colpire in modo indiscriminato operatori con posizioni di mercato e di forza relativa verso le loro controparti commerciali molto diverse. Almeno in parte queste preoccupazioni ci sembrano da condividere.

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Tuttavia, un poco di contesto può servire a meglio inquadrare la proposta contenuta nell’articolo 29. Il divieto italiano di abuso di dipendenza economica, in realtà, non è un unicum in Europa, né lo è l’idea di usarlo contro le piattaforme digitali. Un precedente importante è quello tedesco ed è del resto al diritto tedesco che si ispira oggi la proposta di integrazione contenuta nell’articolo 29. In Germania, nel 2017 e poi di nuovo quest’anno, il legislatore è intervenuto sulle norme, già molto articolate, che disciplinano l’abuso di potere di mercato, incluso il divieto di abuso di dipendenza economica, con l’obiettivo di meglio catturare le specificità dei mercati dell’economia digitale e così agevolare l’azione amministrativa dell’autorità antitrust. Il tutto con la dichiarata ambizione di fare da apripista in Europa, attraverso un uso proattivo del diritto antitrust nel digitale.

Quello che può avere un senso e funzionare nella legislazione e nell’esperienza antitrust tedesche non è però detto che faccia senz’altro al caso degli altri stati membri. La maggior parte dei paesi europei, infatti, non si affida in materia di abuso di potere economico a disposizioni così dettagliate come sono (tradizionalmente) quelle tedesche, ma si limita a replicare le assai più generiche disposizioni dell’antitrust comunitario, il cui significato è stato disegnato, in larga parte, dalle sentenze della Corte di giustizia. Diversi stati membri hanno però ripreso nel tempo, talvolta con finalità differenti e non sempre messe bene a fuoco, la norma tedesca sull’abuso di dipendenza economica. In ogni caso, il rischio è che, attraverso l’adozione di divieti legislativi prettamente nazionali e specificamente mirati alle piattaforme digitali, si alimentino spinte centrifughe, quando il fenomeno trascende chiaramente la dimensione nazionale e richiederebbe piuttosto una regolamentazione uniforme a livello europeo. A ciò si aggiunga che un moltiplicarsi di divieti legislativi nazionali può portare a risultati pratici poco controllati e magari eccessivi, di tipo giustizialista o, al contrario, nel segno di una cattura del regolatore. Rischio che però i meccanismi esistenti di coordinamento tra autorità nazionali della concorrenza potrebbero ridimensionare.

L’onore della prova

Nel merito della norma, la preoccupazione per una presunzione che già porterebbe in sé una condanna a priori delle piattaforme digitali pare invece eccessiva. Certo dipende anche dall’uso che la nostra Autorità garante ne vorrà fare. Ma la presunzione di dipendenza è pur sempre relativa, comporta cioè solo un’inversione dell’onere della prova a carico del gestore della piattaforma (che conoscerà il suo modello di business e il suo mercato meglio di chiunque altro). Ed è un’inversione molto relativa: i presupposti della presunzione sono difatti abbastanza generici e, quindi, richiedono di essere contestualizzati nel caso concreto. Pare difficile, per quello che è il normale gioco tra l’Autorità che indaga e l’impresa che si difende, che nel procedimento non si sviluppi un confronto approfondito sull’effettiva sussistenza di una situazione di potere relativo verso le imprese clienti e di un abuso di tale potere. In altre parole, è come se il legislatore dicesse che, nel valutare la dipendenza economica dalle piattaforme digitali, occorre tenere conto tra gli altri fattori anche degli effetti di rete, della disponibilità di dati, del ruolo di gatekeeper della piattaforma. Cosa che l’Autorità potrebbe comunque già fare, e che potrebbe fare anche applicando il contiguo, e in parte sovrapponibile, divieto di abuso di posizione dominante. Vero è che per “i soliti noti”, cioè per le piattaforme digitali più importanti, la conclusione potrebbe sembrare già scritta. Ma se anche così fosse, rimane pur sempre che un accertamento positivo della dipendenza, di per sé, non equivale ancora a un giudizio di abusività della condotta indagata.

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Quanto alla indeterminatezza del dettato legislativo, la critica di Debenedetti non è forse del tutto centrata. Non meno indeterminati sono difatti i contigui divieti dell’antitrust comunitario e nazionale di intese anticompetitive e di abuso di posizione dominante, anch’essi suscettibili di essere impiegati nel contrasto agli abusi delle grandi piattaforme digitali. In ogni caso, i riferimenti contenuti nell’articolo 29 del Ddl concorrenza agli effetti di rete, alla disponibilità di dati e, più genericamente, al ruolo determinante della piattaforma nell’intermediazione di servizi in realtà contribuiscono a orientare, ma senza rigidità eccessive, l’applicazione di un divieto legislativo altrimenti ancora più indeterminato. Mentre le condotte abusive tipiche restano in larga parte quelle che erano. All’atto pratico, le nuove norme sembrano quindi avere più che altro il valore di un messaggio politico, una sorta di via libera all’Agcm, per i casi in cui valuti opportuno intervenire nei confronti dell’una o dell’altra piattaforma.

In definitiva, se c’è un aspetto più problematico nella riforma del divieto di abuso di dipendenza economica, sembra riguardare l’opportunità di esperimenti dei legislatori nazionali rispetto a fenomeni e problemi di ben altra dimensione, che andrebbero preferibilmente lasciati, specie in questa fase iniziale, nelle mani del legislatore e delle istituzioni europee.

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Il punto

  1. Savino

    E’ un gran passo avanti sostenere ciò che è vero da molto tempo, cioè che l’utente finale è vessato è sovraesposto ed è fragile.

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