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Riforme in Italia: ora o mai più

L’Italia ha la necessità di sfruttare nel modo migliore le ingenti risorse messe a disposizione dal programma Next Generation Eu. Il Pnrr ha colto la sfida, ma la preoccupazione è che le divisioni della politica blocchino il processo di riforma.

L’Italia prima e dopo la pandemia

Come esce l’Italia dall’esperienza del Covid? Ne discuto in un libro in uscita il 25 novembre. Premessa e punto di avvio del libro è peraltro il “come eravamo” prima della pandemia, ovvero la vicenda del quarto di secolo precedente in cui il paese aveva di fatto arrestato la sua crescita.

I problemi italiani non sono infatti solo figli della pandemia. Hanno radici profonde. Occorre tener conto delle novità di contesto evidenziate dal Covid-19, ma, al tempo stesso, rilanciare la crescita dell’economia italiana. Ciò anche per rendere sostenibile il debito pubblico impennatosi con la pandemia. In un contesto di riduzione della popolazione – non sufficientemente compensata da migrazioni che l’Italia pre-Covid aveva ben poco imparato a gestire e integrare –richiede di innalzare sia la produttività che il tasso d’occupazione.

Qui ci concentriamo non tanto sul racconto critico di quanto accaduto durante la pandemia, in termini sanitari ed economico-sociali – aspetti entrambi su cui l’Italia, dopo un pessimo inizio, ha risalito la china nel 2021, grazie soprattutto a un livello di vaccinazione elevato, ancorché tuttora incompleto – quanto su alcune delle novità e delle sfide del futuro prossimo venturo.

Sono novità che riguardano non solo l’Italia: dall’accresciuta domanda di beni pubblici da finanziare (a partire dalla “salute pubblica”, cosa diversa dalla mera domanda di servizi sanitari e di cura) all’esplosione del digitale (con tutte le connesse esigenze di governance), dalla riscoperta della resilienza (difficile da ottenere per le tante piccole imprese italiane) alla possibile segmentazione del mondo in blocchi (economici e politici), dalla scoperta del lavoro a distanza (dai contorni diversi, peraltro, a seconda che riguardi le figure professionali alte e “creative” o gli addetti in attività circoscrivibili e parcellizzabili) al futuro dei centri urbani (e delle connesse rendite immobiliari) come poli di attrazione e innovazione (sono in mutamento ma tutt’altro che destinati a sparire).

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Tutto il mondo ha affrontato la crisi da Covid in modo diverso rispetto al passato: la politica economica si è dappertutto orientata in senso espansivo; in Europa si sono evitati gli errori di dieci anni prima di fronte a una congiuntura avversa. Per l’Italia, il prevalere di tali orientamenti, in ambito sia fiscale che monetario, ha evitato il rischio di avvitamenti: un esito non scontato se solo si rammentano le turbolenze emerse nei mercati finanziari nella prima metà del marzo 2020. Anche l’Italia ha così potuto fornire un ampio supporto fiscale a famiglie e imprese.

Avrebbe potuto fare di più e meglio? Probabilmente no in termini di quantità complessive, atteso anche l’elevato livello pregresso del debito pubblico. Probabilmente sì da un punto di vista qualitativo, anche se va detto che molte criticità affondano in fattori strutturali pregressi: per esempio la difficoltà a usare l’apparato e i dati fiscali, in un mondo di piccole imprese e di alta evasione fiscale.

Opportunità da cogliere

L’aspetto più critico, soprattutto in prospettiva, è però il ritardo con cui si è iniziato a tener conto del fatto che il Covid-19 non è un’alta marea che lascerà immutato il mondo dopo che si sarà ritirata: sostenere indefinitamente imprese e attività che non siano solide, capaci di sopravvivere e di essere redditizie in quello che sarà un nuovo contesto, comporterebbe costi elevati per i conti pubblici e frenerebbe la necessaria riorganizzazione del sistema produttivo. Si dovrebbe perciò sempre più favorire la riorganizzazione e stimolare il rafforzamento organizzativo e finanziario delle imprese, insieme al potenziamento delle infrastrutture del paese, fisiche e digitali. Anche il supporto ai disoccupati dovrebbe spostarsi dal finanziare il “galleggiamento” dei rapporti di lavoro al favorire la transizione verso nuove occasioni lavorative. Sono gli ambiti sui quali l’Italia, e non da oggi, ha gravi lacune e la pesante crisi rischia semmai di favorire passi indietro: da un assetto moderno, ancorché incompleto, dei sussidi di disoccupazione, di recente riorganizzati nella Naspi, alle vecchie logiche degli interventi sine die della cassa integrazione.

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Le sfide per l’Italia si sostanziano però soprattutto nella opportunità e nella necessità di sfruttare – in termini di investimento e come occasione di riforma interna – le ingenti risorse messe a disposizione dal Next Generation Fund europeo. Quest’ultimo ha rappresentato una importante novità della politica economica europea – in termini sia di abbozzo di politica di bilancio di stampo federale che di tentativo di governare la transizione ecologica e digitale – e per molti versi rappresenta una sorta di ultima occasione, per l’Italia ma anche per lo stesso processo di unificazione europea, entrato in crisi nel quindicennio precedente. La risposta europea al Covid non è solo stata più decisa e veloce, rispetto a 10 anni prima, nell’imprimere un orientamento coerentemente espansivo, ma anche più “comunitaria” e meno intergovernativa.

La sfida è stata pienamente colta dal piano predisposto dal governo Draghi. Il ritorno a una durevole crescita dell’economia italiana è legato alla realizzazione di importanti riforme. Poco esplicitati sono però i loro contenuti e gli indirizzi concreti, un tema su cui l’ampia maggioranza politica che sostiene il governo rimane divisa. Poco maturo, e spesso schiacciato su slogan semplicistici, rimane il dibattito di policy nel paese. Vi è il rischio che molte riforme non riescano ad andare oltre le pur indispensabili semplificazioni procedurali – e gli irrobustimenti e ricambi generazionali della compagine d’una serie di amministrazioni pubbliche – necessari a una veloce spendita dei fondi del Next Generation. Come argomentato nel capitolo conclusivo del libro, per l’Italia si tratta perciò d’una ultima occasione, da non perdere, ma difficile da cogliere e realizzare.

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Abuso di dipendenza economica: non è una condanna a priori

  1. Savino

    Il ricambio delle persone e delle generazioni è la cartina di tornasole: se esso avviene sono avvenute le riforme, diversamente è tutto come prima.

    • Maurizio Cortesi

      Questa è la mentalità egocentrica che divora il mondo e quindi l’ambiente, come si vede negli Stati uniti che é ormai una società di lupi oh scusa si dice contractors come hanno imparato bene gli afghani. Prima la Repubblica poi le persone e poi la crescita: così si fanno vere riforme altrimenti si continua con le solite labirintiche leggi finanziarie che servono a soddisfare i vari minotauri/contractors/parti sociali/persone? Chiamateli come preferite

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