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Centri per l’impiego: le ragioni della debolezza

I centri per l’impiego sono pochi e sottodimensionati rispetto a una domanda di servizi in aumento. Il personale non ha le giuste competenze per svolgere le necessarie attività di orientamento e collocamento. Si dovrebbero assumere case manager.

Aumenta la domanda di servizi

In questi giorni, l’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro) ha pubblicato il Rapporto 2021 sui Servizi per l’impiego in Italia. Ha lo scopo di monitorare la condizione dei centri per l’impiego e la loro capacità di assolvere i compiti indicati dalla legge. Rispetto all’ultimo Rapporto del 2017, quello di oggi deve dar conto di una importante novità: l‘introduzione del reddito di cittadinanza, che assegna ai centri per l’impiego un ruolo nuovo nell’erogazione dei servizi di collocamento al lavoro dei beneficiari. A parte questa importante novità, il rapporto conferma i soliti limiti del nostro sistema di centri per l’impiego.

Se dal lato della domanda, la novità è la richiesta di nuovi servizi destinati in principio ai beneficiari del reddito di cittadinanza, in un quadro già di eccesso drammatico di domanda sull’offerta, invece, dal lato dell’offerta non è cambiato molto rispetto agli anni precedenti. Tuttora i centri per l’impiego sono pochi (551) e sottodimensionati rispetto alla domanda di servizi che hanno: 7.772 unità di personale, in contrazione negli ultimi 10 anni a causa del turnover che supera le nuove assunzioni, quasi del tutto ferme da tempo. Come diverse branche della pubblica amministrazione, possono contare su un personale anziano (una media di 55 anni) e, in media, con un basso livello di istruzione, anche se quello con alto livello di istruzione viene considerato competente dall’utenza, sia dai disoccupati che dalle imprese, con tassi di soddisfazione intorno al 50-60 per cento, a seconda dei casi. 

Assumere personale competente

Tutta la pubblica amministrazione in Italia si trova in condizioni simili poiché, come ben documentato da lavoce.info, negli ultimi dieci anni il personale del settore pubblico si è ridotto di circa 500 mila unità, con conseguente scarso ricambio sia in termini di età che di professionalità disponibili.

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Solo poco più del 30 per cento del personale dei Cpi è laureato e la maggior parte non ha una laurea nelle materie giuste per poter erogare servizi di assistenza ai disoccupati in cerca di lavoro e alle imprese in cerca di personale.

Come abbiamo scritto in alcuni precedenti articoli su lavoce.info, questo personale, per lo più con laurea in materie giuridiche o in scienze politiche, ha competenze più per l’assolvimento di procedure burocratiche che per l’offerta di servizi di collocamento, di bilancio e certificazione delle competenze, per non parlare della formazione professionale, che, comunque, viene delegata in genere all’esterno a scuole specializzate.

I centri per l’impiego avrebbero bisogno di case managers, per usare un linguaggio tipico di quelli d’oltre Manica, ma anche dell’Europa centrale. I case manager sono figure in grado di studiare le difficoltà della singola utenza per pensare a un pacchetto completo di servizi che sono necessari per rendere occupabile chi cerca lavoro. In altri paesi, i case manager sono sociologi, economisti o psicologi del lavoro, non giuristi o scienziati politici. 

Del resto, perché dal 2017 a oggi le cose sarebbero dovute cambiare? Le assunzioni nei centri per l’impiego hanno riguardato in prevalenza i cosiddetti “navigator” che, come era chiaro fin dall’inizio, e come ho avuto modo di notare in diverse occasioni, non potevano fornire servizi all’utenza, perché ciò non è consentito, per il diritto italiano del lavoro nella pubblica amministrazione, ai dipendenti a tempo determinato. I navigator hanno solo contribuito ad accrescere il precariato nel settore, senza riuscire neppure a formare le competenze adeguate, anche perché la maggior parte di loro sono giuristi e scienziati politici, proprio come l’attuale personale.

Invece, le assunzioni di personale a tempo indeterminato, che erano previste già dal governo Gentiloni, sono state realizzate solo da poco e in misura ridotta rispetto alle necessità. Se fin dall’inizio si fossero fatte assunzioni mirate di personale a tempo indeterminato, le procedure concorsuali sarebbero state più lente, ma dopo tutti questi anni ora si sarebbero felicemente concluse. 

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Il consiglio, però, è ancora valido per il futuro prossimo. Perché non procedere, nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ad assumere personale laureato con competenze specifiche a svolgere attività di orientamento e collocamento? Solo così si potrà fornire ai disoccupati in cerca di lavoro, ora anche beneficiari del reddito di cittadinanza, e alle stesse imprese, i servizi di cui hanno bisogno. 

Come ha notato Francesco Giubileo in un recente articolo su lavoce.info, è impossibile fornire offerte di lavoro ai beneficiari del reddito di cittadinanza, ma si deve fornire loro un insieme di servizi e una guida, un orientamento per indirizzarli al lavoro e aumentare il loro grado di occupabilità. Del resto, esistono ormai diversi studi che dimostrano che in Italia, le politiche attive accrescono le chance di trovare lavoro di chi vi partecipa, soprattutto se prevedono periodi di formazione in azienda.

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Il Punto

  1. Antonio Agostini

    Quindi, se non capisco male, noi Navigator non avremmo offerto servizi ai percettori di RdC perché vietato dalla legge? E io secondo lei cosa avrei fatto in questi ultimi 2 anni e mezzo? Mi dichiaro colpevole. Ammesso che lei non abbia preso un abbaglio o io abbia frainteso…

    • marco vischioni

      Mi permetto di ammorbare l’autore dell’articolo con un piccolo bagno di vita reale. Nell’ormai lontano 2014 l’azienda per la quale lavoravo, multinazionale francese, lascia l’Italia e mi ritrovo con in miei 40 colleghi e altri sfortunati al centro per l’impiego della mia città (Torino). Un gentile funzionario ci illustra le condizioni del patto formativo e della (abolita) mobilità poi sommessamente ci informa che: 1- dato l’alto livello di disoccupati non ci sono agenzie formative a sufficienza per soddisfare la domanda di corsi di riqualificazione; 2- non c’è personale a sufficienza che verifichi se i percettori del reddito di sostegno facciano o meno i suddetti corsi; 3- se aspettiamo noi che il centro ci offra delle opportunità lavorative rimarremo disoccupati a vita.
      Io non mi do per vinto e sfrutto tutte le possibilità che trovo (6 corsi in tutto) e nonostante la mia laurea (scienze politiche, purtroppo…) e un ‘esperienza trasversale di vendita e logistica tra gdo e industria, sap e oracle, buon inglese, ho il grave difetto di avere 49 anni, vecchio!!! Ora faccio l’istruttore di nuoto. Tanti saluti, Marco Vischioni

      • Fabio Bravi

        vorrei fare una domanda: perché le aziende dovrebbero rivolgersi ai centri per l’impiego per trovare “manodopera” quando ci sono le agenzie interinali che offrono lavoratori (io la chiamerei carne da macello, ma lasciamo stare) senza tanti vincoli ?

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