La crisi innescata dalla pandemia ha spinto i governi a decidere misure di sostegno per imprese e lavoratori. Sono state efficaci? Ecco il calcolo di quanto sono costate quelle italiane, con la stima del numero di aziende e posti di lavoro salvati.

L’intervento pubblico

La crisi pandemica scaturita dal Covid-19 ha avuto conseguenze economiche significative su lavoratori e imprese. Per minimizzare gli effetti di un calo repentino dei ricavi con potenziali effetti sistemici, il governo italiano – a partire da marzo 2020 – ha proposto una serie di meccanismi di sostegno anticipando misure simili da parte di altri governi europei. Definire misure di intervento pubblico – ancor più di fronte a una crisi pressante – pone un problema legato alla misurazione ex-ante della loro efficacia, pur nella consapevolezza che, spesso, non è possibile ottenere elementi credibili su cosa sarebbe accaduto senza quegli interventi. In uno studio pubblicato su Journal of Accounting and Public Policy abbiamo quantificato i costi dei principali interventi (diretti) del governo italiano a sostegno delle imprese e la loro efficacia nel “salvarle” dal rischio di default dovuto all’erosione del patrimonio netto.

L’analisi parte dai bilanci 2019 – pre-pandemia – di un campione ampio di società di capitali italiane (circa 600 mila). Sulla base dei ricavi 2019 e del calo di fatturato riportato nei primi 3 mesi post lockdown, abbiamo stimato l’utile (o perdita) atteso nel 2020, gli effetti sul capitale sociale e il rischio di default per ciascuna società. Senza le misure pubbliche di sostegno, le imprese con patrimonio netto al di sotto dei minimi legali alla fine del 2020, in assenza delle misure pubbliche di sostegno, sarebbero state 153.681 (26 per cento dell’universo delle società di capitali) mentre 1.383.020 sarebbero stati i posti di lavoro a rischio. In seguito, abbiamo analizzato i quattro principali interventi a sostegno delle imprese, decidendo di tralasciare quello legato alle garanzie sui crediti (Fondo di garanzia) perché non costituisce un esborso diretto da parte dello stato e perché i potenziali costi si potrebbero manifestare negli anni successivi, con i fallimenti delle imprese.

Il primo intervento è l’introduzione della cassa integrazione Covid-19, il cui costo complessivo è di circa 32 miliardi di euro, in linea con i dati riportati dall’Inps. Il numero di imprese salvate dal fallimento è pari a 15.725 (10 per cento delle imprese altrimenti in default) mentre 280.924 sarebbero stati i posti di lavoro in pericolo (pari al 20 per cento di quelli a rischio). Il costo (medio) stimato per il salvataggio di una singola impresa è di 2 milioni di euro, che si traduce in un costo stimato per dipendente di 113 mila euro. Interessante sottolineare che l’ammissione alla cassa integrazione non è stata limitata alle sole imprese in difficoltà: l’accesso, previo il pagamento di una addizionale, era consentito anche a quelle che non avevano avuto subito una contrazione del fatturato nel 2020.

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Il secondo meccanismo analizzato è la sospensione degli ammortamenti, che permette alle società di optare – volontariamente – per una sospensione o dilazione dei costi legati ad ammortamenti e riduzioni di valore dell’attivo immobilizzato. L’intervento, di natura meramente contabile, allevia il bilancio delle imprese da costi non finanziari. Tra tutte, è risultata la misura “meno costosa” per lo stato sia al livello di singola impresa “salvata” (577 mila euro) sia per gli effetti sui dipendenti (50 mila euro per dipendente). Ciononostante, sono difficili da stimare i suoi effetti di lungo periodo e i connessi costi indiretti derivanti dalla minore trasparenza dei bilanci per le decisioni discrezionali da parte delle società.

Il terzo e quarto meccanismo di sostegno, cioè il contributo finanziario per compensare la riduzione dei ricavi e i costi per affitti, costano allo stato circa 3 miliardi ciascuno. I due strumenti hanno avuto due effetti molto diversi in termini di supporto alle imprese. Il contributo per mancati ricavi avrebbe permesso di salvare poco più di 2 mila imprese e il costo per singola azienda sarebbe stato pari a 1,5 milioni, mentre quello per ‘salvare’ un posto di lavoro sarebbe stato di 265 mila euro. Il contributo ha riguardato un numero elevato di imprese con ricavi inferiori ai 5 milioni, che rappresentano la maggioranza delle società italiane, e prevedeva come requisito per l’accesso ai fondi una riduzione dei ricavi pari al 30 per cento nel mese di aprile 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Uno dei rischi è che molte delle imprese che ne hanno usufruito potrebbero aver recuperato le perdite dei mesi iniziali nel corso del 2020: anche in questo caso possiamo notare che pur con costi elevati per lo stato, l’incidenza sulle imprese in effettiva difficoltà risulta minima.

Abbiamo stimato in 49 miliardi il costo complessivo per lo stato di tutti gli interventi diretti: i relief mechanisms avrebbero permesso di salvare il 28 per cento delle imprese in crisi e il 40 per cento dei posti di lavoro. È importante sottolineare che le stime non considerano i costi nell’ipotesi alternativa di non intervento (cassa integrazione, minori entrate fiscali).

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Le tabelle 1 e 2 riportano rispettivamente il costo di ciascun intervento (tabella 1) e la relativa efficacia in termini di numero di imprese e posti di lavoro “salvati” (tabella 2).

Infine, abbiamo stimato il costo di due interventi alternativi e di ampio spettro: il primo consiste in un contributo per ricapitalizzare le imprese con patrimonio netto al di sotto dei minimi legali per effetto della crisi. L’intervento sarebbe costato 39 miliardi di euro e avrebbe permesso di riequilibrare patrimonialmente il 100 per cento delle imprese altrimenti in default. Il secondo intervento prevede invece un contributo una tantum one-off che ripiani tutte le perdite subite dalle imprese nel corso del 2020, di fatto cancellando l’effetto del Covid-19. In questo caso, il costo sarebbe stato pari a 93 miliardi, cioè il 5 per cento del Pil o circa la metà dei fondi del Pnrr.

La scelta di politiche efficienti ed efficaci è fondamentale nel caso di crisi sistemiche improvvise. L’obiettivo dell’analisi è misurare l’impatto delle misure di sostegno ipotizzate dal governo, con un approccio basato su micro-dati relativi al quasi-universo di società italiane. La metodologia adottata consente una stima ex-ante dell’allocazione delle risorse (i dati sono disponibili in tempo reale, perché in possesso del governo) e sterilizza da potenziali inefficienze dovute a interventi privi di meccanismi stringenti di selezione all’accesso.

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