Lavoce.info

Cambio di rotta sui treni regionali

Per ridare centralità al trasporto ferroviario regionale, va abbandonata l’idea dell’estrema capillarità. Bisogna invece migliorare l’organizzazione del servizio. Treni più veloci e più pieni significano costi di produzione più bassi e ricavi più alti.

Il treno non può arrivare dappertutto

Il Pnrr prevede miliardi di investimenti su ferrovie locali e turistiche. Come sempre accade, tutta l’attenzione va alla componente di capitale del trasporto pubblico (infrastrutture e – finalmente – anche materiale rotabile). Tuttavia, è bene ricordare che il successo in termini di utilizzo e di sostenibilità del trasporto pubblico locale (Tpl) passa in buona parte dalla componente di spesa corrente, cioè da come l’offerta di treni è organizzata in termini di rete, frequenze, velocità.
Proviamo qui a tratteggiare una visione del trasporto ferroviario regionale alternativa a quella dominante, che abbia come primo obiettivo l’efficacia, cioè trasportare tanti passeggeri e generare veri benefici ambientali. Se si vuole perseguire questo obiettivo, che è anche l’unico a cui corrisponde una spesa pubblica efficiente, occorre mettere da parte l’idea che la ferrovia debba servire tutti i territori. Il suggerimento può infastidire qualcuno, ma è inevitabile: che la ferrovia possa essere il modo di accesso universale è una chimera che non era vera nemmeno nel primo Novecento. Ciò non significa che bisogna rinunciare a un’accessibilità per tutti, ma semplicemente che questa non può avvenire con la ferrovia. Molto meglio che la ferrovia faccia il lavoro che le riesce meglio: trasportare grandi quantità di passeggeri (in questo caso) su distanze medio-lunghe.

Treni che si credono autobus

Ci sono treni che si credono autobus e, naturalmente, regioni che glielo fanno credere. L’esito è che così facendo si condanna il treno all’irrilevanza. I treni non sono autobus e hanno caratteristiche tecnico-economiche specifiche, di cui occorre tenere conto:

  1. Il costo per km percorso di un treno è molto più alto di un bus: da oltre 20 euro a non meno di 10 per un treno, contro i 2-3 per un bus extraurbano. Treni molto piccoli (1-3 carrozze) hanno una capacità perfettamente compatibile con un sistema di autobus
  2. La velocità commerciale di un treno regionale è potenzialmente più alta di quella di un bus extraurbano, ma per l’utente conta la velocità porta a porta, che a sua volta dipende dalla distanza di origine e destinazione dalle fermate e dalla frequenza di passaggio. Dunque, vi sono vari casi in cui un buon sistema di bus è migliore di un mediocre servizio ferroviario.
  3. La capacità delle linee e dei nodi ferroviari è spesso un problema. Per le linee importanti è scarsa perché i servizi sono tanti ed eterogenei per velocità. Per le linee minori lo è perché un binario singolo può ospitare poche corse/ora. Dunque, è quasi sempre cruciale scegliere come impiegare tale capacità nel migliore dei modi.
  4. In termini di impatto ambientale, un posto-km in treno emette (in media) meno di un bus, ma nel confronto con l’auto la differenza pesa poco. Dunque, il beneficio di un passeggero che dall’auto passa al bus è di un ordine di grandezza superiore rispetto a quello dal bus al treno. A maggior ragione se il posto-km del treno è in realtà semivuoto.
Leggi anche:  Fsc, il fratello minore delle politiche di coesione

I limiti del modello di offerta

Molte linee “minori” in Italia seguono un modello molto semplice, privo di “specializzazione”: basse frequenze, servizio a spola tra due centri maggiori, frequenti fermate in tutte le località intermedie. Qualche esempio in Tabella 1

È chiaro che questi treni, dalle bassissime velocità commerciali, sono del tutto inefficaci per collegare i capilinea. Ma sono altrettanto inefficaci per le località intermedie, dato che le distanze sono talmente brevi e le frequenze talmente basse, che l’auto, o addirittura un bus più frequente, risultano preferibili. Inoltre, tolte le grandi città, non vi sono mai problemi di accesso e parcheggio, dunque i 13km che separano Viadana da Remedello Sotto possono essere percorsi, porta-a-porta, in pochi minuti di auto e senza vincoli di orario. Come se non bastasse, talvolta anche l’orografia non aiuta: la stazione di Cantù non è esattamente a Cantù, così come quella di Enna non è affatto a Enna.
Questo modello di offerta, che è lo standard in metà del paese, non ha le carte in regola per essere efficace e purtroppo i numeri lo dimostrano. Usiamo l’esempio lombardo (Figura 1) solo perché disponiamo del dato completo, consapevoli che è la regione dove il problema è meno grave, dove più si è investito e dove maggiori successi sono stati raccolti.

Figura 1 – Mappa dei saliti per stazione in Lombardia nel 2019 (solo treni regionali). Il cerchio più piccolo rappresenta i saliti fino alle 9, quello più grande tutto il giorno. In rosso le località con meno di 250 passeggeri al giorno.

Fonte: elaborazione su Atlante Meta/Traspol e dati Regione Lombardia.

Come si vede chiaramente, lontano da Milano, sia in pianura che in montagna, i passeggeri nelle stazioni “minori” sono spesso nell’ordine delle decine al giorno: ogni fermata raccoglie due o tre passeggeri, ma peggiora le performance del collegamento rendendolo poco appetibile per i viaggiatori di estremità. Inoltre, quel servizio inefficace impiegherà notevoli risorse finanziarie ed esaurirà la capacità della linea.
A livello cumulato, lo squilibrio è ancora più evidente (Figura 2). Considerando l’insieme dei treni regionali di Lombardia ed Emilia-Romagna, l’80 per cento del traffico è concentrato nelle prime 109 stazioni. All’opposto, vi è un numero enorme di stazioni a scarsissimo traffico: 372 stazioni su 604 hanno avuto meno di 200 passeggeri/giorno, pari al 2,2 per cento del traffico delle due regioni.

Leggi anche:  C'è chi i nidi proprio non li vuole

Figura 2 – Cumulato dei saliti/giorno nelle stazioni di Lombardia ed Emilia-Romagna, nel 2019

Fonte: elaborazione su dati regionali.

Una proposta

Per ridare centralità al trasporto ferroviario, soprattutto nei territori intermedi di cui l’Italia è piena, sarebbe opportuno valutare una sorta di rivoluzione da parte delle regioni nella programmazione del servizio, che abbandoni l’idea di estrema capillarità e si concentri dove il treno meglio può giocarsela con il trasporto privato. Si dovrebbe perciò:

  1. Privilegiare nella programmazione una rete di servizi interpolo, con fermate ogni 20-30 km nei centri maggiori/poli intermodali, che abbia frequenze regolari e le migliori velocità commerciali permesse dalla linea;
  2. Superare una rete secondaria fatta di tante linee a spola, concatenando i percorsi e realizzando connessioni “nuove”;
  3. Effettuare servizi specializzati con fermate frequenti (suburbani) solo in corrispondenza delle aree metropolitane, dove cioè anche pochi km in treno sono appetibili;
  4. Fornire ai piccoli paesi che hanno perso qualche corsa/giorno del treno un migliore servizio di bus verso i nodi della rete, con coordinamento degli orari;
  5. Introdurre servizi espressi su più lunghe distanze verso le grandi città (“RegioExpress”).

Giova concludere ricordando che treni più veloci e più pieni significano sia minori costi di produzione che maggiori ricavi per l’azienda. E solo treni più pieni significano meno auto e meno impatti ambientali, dunque una reale sostenibilità. Quindi l’esercizio proposto non è a somma zero, ma genererebbe risparmi nei contributi, da reinvestire utilmente nel sistema.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Ponte sullo Stretto: una cattedrale nel deserto demografico

Precedente

Dal Covid una spinta al lavoro agile*

Successivo

Il Punto

36 commenti

  1. Savino

    Mi spiegate come si fa a preferire di vivere nel borgo facendo lo smart working e ragionare ritenendo ulteriori rami secchi certe linee? Ma li conoscete i disagi di chi è nato in zone interne? Ha diritto, costituzionale e comunitario, alla mobilità anche chi è nato in zone interne oppure deve solo migrare?

    • Paolo Beria

      I punti dell’articolo in merito alle sue considerazioni sono:
      1) l’accessibilità pubblica non è necessariamente “ferroviaria”
      2) i treni poco frequenti, lenti e che non vanno da nessuna parte non servono quasi a nessuno ed infatti pochissimi li usano.
      3) treni più veloci perchè fanno meno fermate, che vanno dove serve andare (es. le città medio-grandi) e magari anche più frequenti servono soprattutto alle aree interne. Invece che fare 5km in auto per prenderli se ne fanno 20, ma per avere una gamma di frequenze e destinazioni maggiore.

      • Giancarlo Chiavazzo

        Interessante la disamina, sarebbe tuttavia ancora più interessante se fosse impostata sulla mobilità integrata piuttosto che su un solo vettore. D’altra parte nel computo econometrico a fini comparativi andrebbero incluse anche le cosiddette esternalità, sia in termini di costi che di profitti. Ad es. oggi ci si confronta, ahi noi, con i costi de(gli effetti del) climate change, degli effetti sanitari connessi alla qualità dell’aria, ecc, … tant’è che si arriva ad adottare scelte estreme come quella di tpl gratis o a costi simbolici

  2. Giacomo Potenza

    Ottimo articolo, specie il punto di avere più Regioexpress onde ricalibrare l’offerta sulla media distanza. Ma in Europa, specie Germania, Austria o Svizzera c’è la tendenza al Takt cioè un orario ferroviario cadenzato con alte frequenze su molte linee e durante l’intera giornata a prescindere dalla domanda. Vogliono sussidiare treni mezzi vuoti in nome del Green Deal andando ad esaurire tutta la capacità della rete?

    • Paolo Beria

      Certamente la “via tedesca” è interessante e costosa. Ma qui non si sostiene che i treni non debbano essere cadenzati (anzi! W il cadenzamento) con gli eventuali problemi di bassi riempimenti fuori punta. Ma che cadenzando treni con meno fermate (quindi più veloci) e con più destinazioni perchè con percorsi più lunghi, è complessivamente benefico perchè fa risparmiare tempo a più persone, costi di esercizio e aumenta i ricavi.

      • Giacomo Potenza

        Assolutamente viva il cadenzamento. Ma il Takt arriva al paradosso di chiudere il mercato a nuovi entranti, con un mega accordo quadro affidato senza gara l’incumbent consuma tutta la capacità delle linee impedendo nuovi concorrenti. In Belgio siamo al paradosso del ministro dei trasporti (verde fiammingo) che pretende di avere un treno ogni mezz’ora da qualsiasi stazione del paese in nome del Green Deal. Il Belgio ha le dimensioni della Lombardia ma una rete ferroviaria molto densa con decine di stazione minuscole. Risultato far viaggiare treni vuoti nelle ore di morbida con costi di esercizio colossali da coprire con fondi pubblici. Cadenzamento si ma va modulato lungo la giornata.

        • Paolo Beria

          Completamente d’accordo. Diciamo che io do qui x scontato che stiamo parlando di regionali e non di lunga percorrenza, ma certamente si fa in fretta a saturare la capacità con il cadenzamento.

  3. Rick

    Un alternativa è quella di avere due classi di treni regionali: “veloce” e “standard”. Il primo ferma soltanto nei centri principali, il secondo copre il servizio punto a punto sulle fermate secondarie. Entrambe le linee con orario cadenzato.
    E’ quello che si è cercato di fare in Veneto: sulla Verona – Venezia (circa 120km) si ha il regionale veloce che effettua solo 7 fermate (di cui le prime 2 a Verona e le ultime 2 a Venezia) e il regionale “standard” che effettua 20 fermate. Tempo di percorrenza del primo: 1h.28, del secondo 2h.15.
    Stesso territorio, due esigenze diverse, due diverse classi di treno.
    In questo caso il problema è la capacità dell’infrastruttura, problema che si risolve costruendo infrastrutture nuove (linea AV Milano-Venezia), non riducendo l’offerta dei treni.

    • Paolo Beria

      Sì, questo è il modello specializzato che alcune regioni adottano e che funziona benissimo. Aggiunga anche i suburbani/metropolitani a Milano, Bologna etc.
      Ma purtroppo non è applicabile alle linee minori, per due motivi:
      1) la domanda è troppo poca per due treni e quindi si cerca di salvare capra & cavoli con un treno lento,
      2) la capacità per linee a binario singolo spesso non permette di specializzare.
      Da qui la mia tesi che varrebbe la pena di provare a cambiare modello per ridare centralità alle linee secondarie.

      • Rick

        La ringrazio della risposta. Il compito di una linea secondaria è quello di portare persone da tante piccole stazioni verso un singolo hub/grande città, non è quello di connettere più grandi città tra loro. La lentezza del treno è quindi una conseguenza inevitabile.

        Lei ha i dati sul traffico passeggeri in Lombardia: prenda una linea secondaria e provi a calcolare quante persone vanno da un capolinea all’altro e quante invece vanno da una piccola stazione intermedia verso uno dei due capolinea (o una grande città in mezzo). Poi cerchi di costruire un controfattuale dove chiude le piccole stazioni e provi a guardare se l’aumento della domanda tra i due capolinea (perchè il treno va più veloce) riesce a compensare la perdita di traffico dovuta all’eliminazione delle stazioni intermedie.

        • Paolo Beria

          Il compito di una linea secondaria è quello che le da chi programma il servizio e dipende dal territorio, dalla domanda e dalle caratteristiche dell’infrastruttura. Ci sono linee principali che ignorano tutte le piccole e medie località intermedie (che quindi vanno in bus). Es. la Milano-Bologna convenzionale ha pochissime fermate.
          Quindi no, il compito di una linea secondaria non è necessariamente quello di fare un servizio locale.
          Riguardo alla sua domanda specifica: purtroppo i dati di origine e destinazione non sono mai resi disponibili dalle aziende ferroviarie. Ma abbiamo i saliti e discesi di alcune regioni e in un sottoinsieme di queste abbiamo anche i dettagli per singolo treno. E spesso i pax che fanno pochi km verso i capoluoghi capilinea sono pochissimi, che è appunto l’idea di partenza del mio articolo.
          Qui un esempio sulla Mi-Mn: solo il 10% dei pax sale nelle stazioni minori per andare a MI, MN, CR e LO, mentre il 90% si concentra in sole 6 stazioni. https://twitter.com/beriapaolo/status/1491381118188519428
          Non dico che questo accade ovunque, ma in molti casi sì.
          La costruzione del controfattuale che suggerisce è quello che voglio fare, ma è piuttosto complicato proprio perchè non ci sono i dati di partenza. Ma prima o poi troverò il modo di farlo.

  4. Ele

    So che non sono più i tempi di mio Nonno, ex ferroviere, che diceva che le Ferrovie sono un servizio, e quando lo diceva gli brillavano gli occhi.
    Però da quando sono nate le Freccie attendo con ansia di vede che qualcuno rimetta mano alla strategia dei treni in Italia.
    Io mio parere è che treni come le Freccie sono ottimi e vanno incentivati, e ridotti di prezzo, per collegare tratte lunghe e citta principali, ma questo dovrebbe essere ben sincronizzato con una rete regionale, non troppo spezzettata in mille offerte, che faccia invece un servizio di “metropolitana di superficie” senza andare troppo distante.
    Intendo dire che l’articolo cita un caso emblmatico del nord “trento – venezia”. Provate voi a raggiungere addirittura Bolzano, con la sua bella offerta di treni turistici, se non avete l’auto! Un impresa titanica!
    Sulla quale tratta io vedrei adatto un treno veloce, tipo Freccia, che connette i centri principali Bonzano, Trento, Verona, Vicenza o Padova e Venezia e poi a queste fermate principali i collegamenti regionali fra Verona e Vicenza ad esempio per portare alle intermedie; percorsi più brevi, non che rifanno tutto il percorso, come avviene oggi in molte tratte co ridondanze inutili e dannose per l’efficiente gestione del traffico dei treni.
    Per me uno dei problemi del BUS è la strada, ovvero l’incertezza dell’orario e la tranquillità del viaggio, me lo rende difficile da prendere se penso a un viaggio alternativo all’auto.
    Uno dei problemi del treno è … che non passa mai!! I collegamenti locali in Veneto sono fatti da questi treni che vanno per tratte lunghssime e passano Ogni Ora sul punto locale. Se scendi dalla Freccia Milano Venezia a Vicenza … in ritardo!!! (sempre) e perdi il regionale che va a Treviso per 5 min, ti passano davanti tutti i santi del calendaio.
    Penso ci si dovrebbe anche interrogare di più su perchè la gente prende e prenderà il treno, a parte il Grean Deal, ci sono mille motivi, fra cui la tranquillità del viaggio non in strada o anche sempre più anziani in Italia, e sopratutto in zone decentrate, che Covid insenga non sanno come arrivare in ospedale senza aiuto …. e se l’aiuto fosse il treno?
    Permetta di chiudere dicendo che ammetto di vedere ancora il treno come un romantico mezzo che più muovere le masse (e le MERCI) verso qualcosa di meglio dell’autostrada! 🙂
    Io amo il treno e mi vengono le lacrime a vedere i binari coperti di alberi e sterpaglie della linea abbandonata che costeggia il Piave, che sarebbe un’ottimo e rapido mezzo turistico per raggingere Valdobbiadene e le colline.

    • Paolo Beria

      Le Frecce e Italo sono treni a mercato e le due compagnie potrebbero fare un servizio come quello da lei descritto anche domani. Non lo fanno perchè non lo ritengono sostenibile, ma non escludo che prima o poi esista. Da qualche anno c’è un Milano-Trento diretto, che non c’è mai stato.
      Tutto quello che è regionale, lo decidono le regioni, con logiche varie. Qualcuno fa come suggerisco io (Lombardia in parte della rete), altre si accontentano di servizi “omnibus” che talvolta non sono efficaci come ho cercato di raccontare.

  5. bob

    Il Re è nudo come giustamente sottolinea Savino. Possiamo fare tutti i calcoli del mondo ma se usiamo solo il parametro costi/ricavi (2+2=4) non credo che si possa risolvere il problema. Il problema è molto più ampio e la matematica da sola non lo risolve. Una domanda: cosa ne facciamo del territorio denominato Appennino dalla Liguria alla Calabria che conta attualmente si e no 3 milioni di abitanti? Aspettiamo l’estinzione degli ultimi abitanti e lo chiudiamo? Così il problema è tutto sommato risolto. Oppure decidiamo ( come dovrebbe fare un Paese evoluto e civile) considerare l’opportunità e farlo crescere? Credere che un Paese che da 50 anni non ha fatto nessuna programmazione di sviluppo, sia produttiva, logistica di gestione demografica e del territorio possa con la bacchetta magica risolvere andando a cercare ulteriori scorciatoie credo sia da ingenui cronici

    • Paolo Beria

      Guardi, le posso assicurare che non è un treno che può arrestare lo spopolamento di alcune aree montane.
      Comunque nel mio articolo non ho usato alcun parametro costi ricavi, se non dicendo che treni più pieni lo migliorerebbero. Nè ho detto di abbandonare le linee minori, ma anzi di ravvivarle usandole meglio.

      • bob

        ma i treni con chi li riempiamo? Provi ad implementare la Sua ipotesi nella tratta L’ Aquila-Terni?
        Con tutto il rispetto per il Suo lavoro, volevo solo sottolineare, che il problema è complesso e non si risolve con un intervento “singolo” “isolato”
        “..le posso assicurare che non è un treno che può arrestare lo spopolamento di alcune aree montane.” Ma può contribuire a fermarlo.
        Gli Europei-Americani lo capirono già nel 1842

        • Paolo Beria

          La linea Aquila-Terni mi sembra un ottimo esempio, anche se la conosco poco.
          Oggi i treni sono tutti del tipo che descrivo nell’articolo: regionali da 2h-2h15 di percorrenza, con una quindicina di fermate intermedie, ogni 1-2 ore irregolari. Suppongo un’utenza scarsa, soprattutto tra i due capoluoghi, dato che la velocità commerciale è di poco più di 40km/h. Ma un “regionale veloce” (il più veloce possibile a linea data) che collega, ad esempio, Perugia-Foligno-Spoleto-Terni-Rieti-l’Aquila secondo me un po’ di domanda la tirerebbe su visto che le sole città citate insieme fanno 460.000 abitanti.

  6. GGB Cattaneo

    Il ragionamento proposto nell’articolo è viziato dal pregiudizio che l’unico argomento che conti nella politica trasporti sia il risultato economico della singola azione. Questo presupposto funziona dal punto di vista del privato ma è antieconomico dal punto di vista del publico. Ho detto antieconomico e lo sottolineo, non posso dilungarmi ma se non lo si capisce forse si è sbagliato campo di studi

    • Paolo Beria

      La ringrazio per la sua arroganza. E non credo abbia capito il senso dell’articolo, dato che non sostengo certo che il risultato economico del TPL sia il driver della pianificazione né che “il privato” si debba occupare di TP (peraltro nessuna azienda ferroviaria pax è privata, Italo esclusa). Ma certo se non ha capito è perchè mi sono spiegato male io.

    • GGB Cattaneo

      Mi scuso dell’arroganza, ma troppo spesso si è usato il discorso economicistico per distruggere i servizi publici senza un reale guadagno in termini economici perché non sono state calcolate con accuratezza le ricadute, che per loro natura richiedono un calcolo molto più complesso. Comunque la sostituzione del ferro con l’auto nelle tratte secondarie è già in avanzata fase di attuazione…

  7. lorenzo

    Lungo e articolato ragionamento a proposito di risultati economici. Comunque saran fatti, i trasporti pubblici, da questo punto di vista non potranno mai essere competitivi con l’auto.
    Una domanda, sono mai stati fatti studi sul risultato economico-sociale di disporre di trasporti pubblici gratuiti?

    • Paolo Beria

      Non mi pare di aver parlato di risultati economici, ma di efficacia nel trasportare tanti pax e possibilmente toglierli all’auto. Ho solo detto, en passant, che un treno più pieno è anche più sostenibile (cioè richiede meno sussidi pubblici).
      Sul TP gratuito c’è qualche esperienza in Nord Europa e qualche città qua e là. Ma personalmente credo sia una via praticabile solo dove il TP è talmente poco usato da non generare ricavi significativi. Cioè dato che deve esistere come trasporto sociale, tanto vale che nessuno sia escluso.
      Ma nelle medie distanze o nelle città più grandi non è così e TP gratuito significherebbe un salto nella necessità di contributi pubblici che credo nessuna amministrazione si possa permettere. E comunque non vedo perchè io, che ho uno stipendio, dovrei non pagare treni e bus. Meglio intervenire sulle fasce di popolazione che effettivamente non hanno disponibilità.

  8. bob

    Prof. mi perdoni. Visto che leggo sul suo CV ” I campi di ricerca ……la pianificazione e la geografia dei trasporti…” modestamente credo che viene da se che il problema non si risolve solo con calcoli di costi o frequenza di fermate ma è molto più ampio. La ” geografia dei trasporti” non può prescindere dalla “geografia demografica. Lo sbilanciamento demografico di questo Paese è frutto di una non-politica scellerata degli ultimi 60 anni. Un Paese grande come un soldo di cacio a fronte di metropoli come Roma di 6 milioni di abitanti per non parlare di Milano o Napoli dovrebbe far riflettere. O no?

    • Paolo Beria

      Non credo di aver capito la domanda.
      Il trasporto ferroviario è quantitativamente del tutto irrilevante nella mobilità del 90% del paese per semplici motivi geografici. Ciò premesso, credo sia meglio utilizzare al meglio il patrimonio di rete, anche minore, e la spesa pubblica che oggi garantisce un’offerta talvolta poco efficace, per trasportare più passeggeri.

      • bob

        “Il trasporto ferroviario è quantitativamente del tutto irrilevante nella mobilità del 90% del paese per semplici motivi geografici.” No! Per semplici motivi di scellerate politiche. La Svizzera geograficamente è molto più complessa del nostro territorio. Mancanza assoluta di politiche lungimiranti, di vedute perfino visionarie all’occorrenza che sarebbero servite in una visione di bene comune e non di interessi di singoli signori ( che oltretutto non vivono neanche più in Italia).
        Si immagini cosa sarebbe oggi per il turismo la Ferrovia Verona-Caprino-Garda. Una metro di superficie che non solo renderebbe il territorio più salubre ma movimenterebbe turisti in primis ( pensi alla Ferrovia del Bernina) , studenti , lavoratori

        • Paolo Beria

          La Svizzera, che è molto più piccola dell’Italia, ha il 20% di quota modale del ferro, nonostante sia il paese “ferroviario” per eccellenza. Ma è un caso praticamente unico al mondo per un mix di motivi, non ultima la sua ricchezza. In Austria, seconda in classifica, il 13%. La Germania il 9%. Noi il 6%. Potremmo essere al 9-10% o con politiche più estreme di disincentivo dell’auto (magari con l’esito di spopolare ulteriormente le aree interne) oppure concentrandosi sulla domanda concentrata tra le città.
          Se invece avessimo tenuto in vita le linee secondarie chiuse, spendendo ulteriori risorse per la loro operatività, invece del 6% avremmo forse il 6,2%.

  9. Alberto

    Mi viene in mente un esempio a me vicino: esisteva fino alla fine dello scorso millennio una linea che collegava Svizzera ed alto Piemonte alla Liguria, la Domodossola Albenga.
    Soppressa, ora le alternative all’automobile sono due: un insieme di littorine regionali che fermano in tutte le stazioni dell’alessandrino, tempo tra le 4 e le 5 ore. Oppure la soluzione auspicata nell articolo, regionali veloci tra gli hub, quindi giunti a Novara puntare a Milano, poi Genova, infine la costa. Però… Anche la soluzione che ha portato impiega lo stesso tempo! Aggiungere cambi (compreso bus/treno) elimina ogni vantaggio in termini di tempo

    • Paolo Beria

      Beh, no, eliminare fermate e utilizzare al meglio la capacità con orari regolari permette di risparmiare tempo, anche sulla medesima linea. Il treno non deve essere necessariamente più veloce dell’auto per acquisire passeggeri. Su relazioni senza autostrade, una velocità commerciale del treno di 80km/h (non di punta, ma media tra capilinea) può già essere interessante per una parte dei viaggiatori (pendolari o spostamenti per motivi personali).

  10. oscar blauman

    Complimenti, messaggio chiaro. Nessun accenno pero’ a come il treno potrebbe cambiare tecnicamente o organizzativamente. Per esempio potrebbe trasportare auto, potrebbe consistere in auto che viaggiano su rotaie, potrebbero esserci dei posteggi con sharing, i treni potrebbero smembrarsi e ricomporsi in corsa per evitare le fermate, ecc. Non vedo l’alta velocita’ altrettanto attraente quanto la riduzione dei tempi delle fermate.

    • Paolo Beria

      No, non ne ho parlato perchè mi sembrava ci fosse abbastanza carne al fuoco così.

  11. quintino lequaglie

    Caro Ingegner Beria, la questione è molto complessa. Indubbio riequilibrare costi e ricavi ma non si può fare la “ferrovia corta” di Schimberni nè come Piemonte 2012. Se si taglia ancora non c’è più la rete. Gli italiani odiano la ferrovia. Le città non vengono pianificate in sua funzione ma essa è vissuta come disgrazia. Eloquente il neologismo “ricucire il tessuto urbano” forse coniato dalla stessa Rfi. Si proprio una ferita da suturare! Si spostano le stazioni lontano dai centri urbani, si creano insediamenti produttivi, nuovi ospedali, poli scolastici lontano dalle ferrovie esistenti ma si pretende che esse restino in esercizio! Manca una strategia complessiva dei trasporti e del territorio e manca competenza degli organi decisori che delegano all’organo di progettazione Rfi la decisione su tracciati ed itinerari delle nuove linee e priorità nel potenziamento delle esistenti.
    Risultato:
    -4 binari tra Torino e Modane e 1 solo che si si ferma a Pre st Didier
    -3 tunnel tra Paola e Cosenza e neanche uno tra Edolo e Tirano
    -pista ciclabile sul tracciato dismesso del ponente ligure ed Aurelia intasata
    -raddoppio Milano Mortara bloccato e nuove immense stazioni deserte
    etc, etc, che è sotto gli occhi di tutti che guardano dai finestrini
    La questione è molto complessa e purtroppo non può essere gestita dalla ns classe politica alla quale sostanzialmente non interessa essendo essa solo tesa al riscontro elettorale che solo opere faraoniche (ed inutili) possono ottenere da una platea distratta.

    • Paolo Beria

      Sono certamente d’accordo sul fatto che la pianificazione di trasporti (ferroviari) e territori è complessa ma è anche uno dei grandi fallimenti italiani.

  12. quintino lequaglie

    Caro Ingegnere, vorrei dire un’altra cosa. Lei cita una serie di linee come la Venezia – Trento o la Brescia Parma che da molti anni sono classificate come regionali, hanno scarso traffico viaggiatori e nessun traffico merci ed a stretto rigor di conti andrebbero subito disarmate. Mi permetto di dissentire per queste 2 linee, per le altre da Lei citate e per molte altre linee secondarie ancora in esercizio. Esse un tempo, molti anni fà, erano parte integrante di una vera e propria rete che lo Stato unitario aveva disegnato: una rete continua senza maglie scucite. Purtroppo questo disegno non era stato portato a compimento a causa principalmente di continue guerre e conseguenti debiti. Ulteriori rotture di maglie avvennero nel dopoguerra, specie negli anni 60, sotto dettatura dell’industria dell’auto. In questa rete parzialmente scucita rimangono comunque ad oggi tutta una serie di direttrici/itinerari in affiancamento, supporto ed integrazione delle direttrici principali. Per restare ai due esempi, la Venezia-Trento era linea di adduzione al Brennero per le merci provenienti dai porti dell’Adriatico oltre che viaggiatori/collettame al servizio della Valsugana e dell’Alto Vicentino e lo stesso dicasi per la Brescia-Parma via Pontremolese sui porti del Tirreno. Senza contare la sussidiaretà: c’era un guasto agli scambi di Domegliara o una piena dell’Adige a Ceraino? L’espresso Venezia Monaco veniva istradato via Bassano…
    Queste e tante altre linee secondarie con modesti investimenti potrebbero tornare alla originaria funzione, essere restituite al traffico merci ed a quello di media lunga percorrenza ed anche il trasporto locale resterebbe in vita. Fantasie? Si purtroppo fantasie poichè da decenni si quadruplicano i soliti itinerari, intasando alcuni territori e desertificando di ferrovie tutto il rimanente. Il fine ultimo è la “ferrovia corta” di Schimberni dove al posto della rete vi saranno alcuni (pochi) grossi cordoni annodati quà e là in corrispondenza delle grandi aree urbane.

    • Paolo Beria

      Forse sono fantasie, ma quello che lei dice è essenzialmente quello che sostengo nel mio articolo: la ferrovia della Valsugana, per come è oggi, serve a malapena alla Valsugana. Quella ferrovia, usata per dei regionali veloci (sacrificando alcuni “regionalini” da 5 saliti a fermata), invece servirebbe alla Valle per raggiungere efficacemente e in maniera un po’ più competitiva sull’auto gli attrattori principali (Trento e città di pianura) e magari anche qualche altra destinazione.
      Secondo me è meglio per tutti (e per l’ambiente) avere un passeggero che va da Trento a Venezia in treno che dieci studenti che vanno da Roncegno a Borgo Valsugana. Anche perchè, spesso, quei 10 studenti alla fine non esistono sono nemmeno perchè su quelle distanze a scuola ci vanno accompagnati dai genitori in auto (lo dico con statistiche alla mano, non in maniera astratta).

  13. Francesco

    Francamente dissento quasi totalmente con le soluzioni poste nell articolo.

    I servizi pubblici sono , per l appunto, servizi. Più si paga , più si ha in teoria, un servizio migliore. Però ormai c’è questa moda di pensare che un maggior investimento, anche in diseconomia, sia un problema sempre e comunque Insormontabile, e che ci porti nel giro di pochi mesi alla carestia.

    Ragionare sui nodi è una stupidata italiana. Io se non ho il treno sotto casa mica mi prendo l autobus per andare in un altro paesello e prendere il treno che passa magari solo alle 7. Prendo la macchina e stop. E come me fa il 90% dei pendolari.

  14. trovo l’articolo assai interessante.
    l’ esperienza di Au di un piccola società ferroviaria regionale e studioso mi porta a sostenere che: 1) i contratti di servizio Tpl ferro e gomma riflettono realtà urbane, poli generatori/attrattori, modalità e comportamenti di movimento delle persone (studenti, lavoratori, servizi, turismo) che nel corso del decennio sono completamente mutati eppure i modelli di servizio non ne tengono conto acuendo la dissociazione tra domanda e offerta di trasporto e servizi di mobilità; 2) i modelli regionali e/o sub-regionali erogazione dei servizi Tpl ferro e gomma spesso sono interconnessi in modo parziale, con ridondanze e sovrapposizioni dove, non di rado, si associano due debolezze dei servizi anziché re-immaginarne l’organizzazione; non si progetta, in sintesi, in una logica ecosistemica; 3) le aree interne e i territori marginali sono sprovvisti di soluzioni “on demand” o flessibili, per i servizi Tpl gomma, in modo da gestire diversamente le “ore di morbida” e gli spostamenti serali, in modo da far fronte contemporaneamente a bus vuoti, spreco di mezzi e personale e corrispondere alle esigenze (e diritti) di mobilità delle persone.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén