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Eppur si muove: mobilità intergenerazionale in Italia*

La mobilità intergenerazionale per reddito in Italia è superiore a quella degli Stati Uniti, anche se inferiore a quella dei paesi scandinavi. Si confermano i divari fra territori: il Nord è una terra di opportunità uguali e abbondanti, non così il Sud.

Nuovo interesse per la mobilità intergenerazionale

Nell’ultimo decennio, è cresciuta l’attenzione alla mobilità intergenerazionale, e per buoni motivi. Gli indicatori di mobilità fanno luce sulla possibilità che a individui con condizioni iniziali diverse, che sono al di fuori del loro controllo, siano date pari opportunità di successo. In quanto tale, la mobilità è considerata una proxy per una società equa e fluida.

In questo periodo, la letteratura empirica sulla mobilità intergenerazionale nel reddito ha avuto una rinascita, poiché gli economisti hanno potuto accedere a grandi set di dati amministrativi in alcuni paesi. Le ampie banche dati hanno portato a stime precise degli indici di mobilità intergenerazionale e hanno consentito di analizzare il fenomeno a livello geografico disaggregato all’interno dei paesi. La variazione è stata sfruttata per conoscere quali fattori socioeconomici sono fortemente correlati alla mobilità del reddito tra le regioni.

L’analisi per l’Italia

Con un nostro lavoro, contribuiamo a questa recente serie di studi e analizziamo un nuovo set di dati che ci consente di sviluppare la prima indagine sistematica sulla mobilità intergenerazionale del reddito per l’economia italiana. Il nostro punto di partenza è il dataset statistico delle dichiarazioni dei redditi individuali gestita dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Da lì abbiamo estratto un campione di due coorti di italiani nati rispettivamente tra il 1942-1963 (genitori) e il 1979-1983 (figli). Sono stati abbinati genitori e figli puntualmente attraverso le dichiarazioni dei redditi, anonimizzando il dataset. Il nostro set di dati finale contiene 1,7 milioni di coppie genitori-figli con informazioni dettagliate sul reddito negli anni 1998-2000 per i genitori e 2016-2018 per i figli, quando hanno raggiunto un’età di 34-38 anni.

Il nostro studio è organizzato in tre parti: statistiche nazionali, differenziali di mobilità tra le province italiane e confronto tra l’Italia e altri paesi.

Iniziamo con l’analisi della mobilità intergenerazionale in Italia a livello nazionale. Ordiniamo i genitori in base alla loro posizione nella distribuzione del reddito nazionale e quindi classifichiamo i figli in maniera analoga.

La tabella 1 mostra la matrice di transizione nazionale stimata tra i quintili di reddito. Su 100 figli i cui genitori si trovano nel quintile più basso della distribuzione del reddito, solo 11 raggiungeranno il 20 per cento più ricco, una volta adulti. Al contrario, per ogni 100 figli nati da genitori a reddito più elevato, almeno 33 rimangono nel quintile più alto della distribuzione del reddito da adulti.

Guardando la posizione dei genitori e quella attesa dei figli, i nostri dati suggeriscono che la mobilità verso l’alto è maggiore per i figli maschi, evidenziando quindi un chiaro gender bias in termini di opportunità. La mobilità risulta più elevata anche per il figlio o la figlia primogenito/a. Inoltre, si ha una maggiore mobilità verso l’alto per i figli che, una volta adulti, migrano in altre regioni italiane. Pertanto, la mobilità geografica va di pari passo con la mobilità di reddito.

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I divari territoriali

Nella seconda parte del lavoro esploriamo quindi le differenze geografiche nella mobilità intergenerazionale nelle 110 province italiane. I risultati mostrano un’enorme variazione Nord-Sud, come illustrato nella figura 1. Rispetto al Sud dell’Italia, le province del Nord (soprattutto le regioni del Nord-Est) sono più egualitarie e offrono più mobilità di reddito verso l’alto. Al Nord, i figli di genitori con background familiare differente sono più simili nei loro risultati economici da adulti, e i figli di genitori poveri si trovano in una situazione economica migliore da adulti. Il livello di mobilità verso l’alto nel nord Italia supera quello dei paesi scandinavi. Non sorprende quindi che la migrazione si riveli un elemento determinante per una maggiore mobilità intergenerazionale.

Figura 1 – Cartogramma della probabilità di transizione stimata dal 20 per cento più basso al più alto della distribuzione del reddito nazionale per provincia. Le aree scure sono più mobili

Per dare un’idea delle differenze di mobilità possiamo confrontare la provincia di Milano (classificata 7a per mobilità verso l’alto) con quella di Palermo (classifica 106a), entrambe province molto grandi. La probabilità di passare dal 20 per cento più povero al 20 per cento più ricco della distribuzione nazionale del reddito è del 22 per cento per i figli che crescono a Milano e dell’8 per cento per quelli che crescono a Palermo.

I fattori determinanti

Successivamente, indaghiamo quali indicatori socioeconomici sono più strettamente associati alla mobilità verso l’alto a livello provinciale. Utilizziamo quasi 50 indicatori di produttività, condizioni del mercato del lavoro, struttura demografica, livello di istruzione, instabilità familiare, criminalità e apertura economica di fonte Istat. Inoltre, usiamo diverse misure del capitale sociale e un insieme unico e molto dettagliato di indicatori della qualità della scuola (Tuttoscuola 2007). Estraendo i componenti principali per ciascuna categoria al fine di ridurre il numero di variabili, troviamo che la mobilità provinciale è fortemente correlata, con segno positivo, alle condizioni locali del mercato del lavoro e alla qualità scolastica, in particolare alla qualità della scuola materna e al livello dei servizi scolastici. Si ha una forte correlazione negativa invece con gli indicatori di instabilità familiare.

Infine, confrontiamo il livello di mobilità intergenerazionale in Italia con quello stimato in altri paesi. La mobilità nel nostro paese è molto maggiore rispetto agli Stati Uniti (il paese con minore mobilità di reddito tra quelli con studi disponibili), ma inferiore rispetto a quella dei paesi scandinavi. In Italia si osserva inoltre una forte persistenza nei redditi più alti, dove la mobilità di reddito è persino più bassa che negli Stati Uniti. La mobilità intergenerazionale in Italia è inoltre superiore a quella del Canada e di poco inferiore a quella dell’Australia.

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In sintesi, i nostri risultati contengono alcune buone notizie e alcune cattive notizie. Da un lato, dipingono un quadro un po’ meno pessimistico della mobilità intergenerazionale a livello nazionale, rispetto a molti studi precedenti che tendono a rappresentare l’Italia come una società paralizzata. D’altra parte, rivelano una forte disuguaglianza nel grado di mobilità verso l’alto all’interno del paese: il nord sembra essere una terra di opportunità uguali e abbondanti e il sud un luogo in cui le posizioni nella società persistono nel susseguirsi delle generazioni. Il miglioramento della qualità della scuola e delle opportunità del mercato del lavoro per i giovani potrebbero essere decisivi per determinare una maggiore mobilità verso l’alto tra le generazioni.

Un controllo ulteriore

All’interno del lavoro si tiene conto di alcuni limiti dei dati effettuando opportuni test di robustezza. Per quanto riguarda la sovrastima della mobilità intergenerazionale dovuta al fatto che nei nostri dati genitori e figli compaiono in fasi diverse del ciclo vitale (life-cycle bias), vengono svolti due esercizi – includendo anche l’informazione di un diverso dataset di fonte Inps. Le correzioni che risultano dagli esercizi vanno nella direzione attesa, ossia la mobilità stimata è più ridotta. Tuttavia, le conclusioni non cambiano, e le stime di mobilità verso l’alto risultano particolarmente robuste. Rispetto all’effetto dei redditi evasi, non catturati dai dati delle dichiarazioni fiscali, vengono utilizzate le risultanze della letteratura economica di settore per riproporzionare adeguatamente i redditi degli autonomi: i risultati dopo questo esercizio non cambiano significativamente, mostrano solo una lieve riduzione della mobilità di reddito. Una simile analisi di robustezza viene effettuata per tener conto dei redditi di capitale, che in buona parte non sono inclusi nelle dichiarazioni Irpef, tramite un’imputazione di dati dall’indagine SHIW di Banca d’Italia. Gli effetti sulla mobilità di reddito sono sostanzialmente nulli.

*Tutte le opinioni e le conclusioni qui espresse sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle delle loro istituzioni.

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  1. Savino

    I giovani stanno portando avanti il Paese e i vecchi lo stanno sciupando con la loro corruzione. I giovani meridionali si stanno facendo valere migrando e stanno migliorando la propria condizione rispetto al degrado culturale e al familismo a-morale del proprio territorio e dei loro padri. Il problema di questa nazione non sono i giovani e le cose possono solo migliorare con il ricambio tra generazioni, da quelle corrotte a quelle consapevoli preparate e ligie.

  2. Marco

    Lavoro molto interessante! Ci sono alcune cose a me poco chiare. Come si é tenuto conto che parte dei genitori nel 98-2000 erano già in pensione e quindi più facile che fossero arretrati nei quintili di reddito (si pensi a baby pensionati)? Come si é tenuto conto che nel 2016 lavoravano molte più donne, immigrati e i lavori sono più precari e quindi é più facile essere in un quintile superiore, inoltre questa superiorità può avere poco senso se la società è tutta più povera (si pensi che oggi il Pil é più basso del 2008). Grazie e ancora complimenti.

  3. Andrea

    Articolo ed analisi molto interessanti, sarebbe possibile conoscere a che reddito corrispondono i quantili della matrice di transizione?

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