Quali sono stati i costi dell’attività economica durante la pandemia? Al crescere del numero di lavoratori considerati “essenziali” aumenta il numero di contagi e decessi, seppure in modo diverso fra settori. L’importanza degli investimenti in sanità.

Il 31 marzo 2022 terminerà lo stato di emergenza che ha visto l’introduzione di misure estreme per combattere l’epidemia da Covid-19. A due anni di distanza appare opportuno interrogarsi sui costi e benefici di questi interventi. Uno dei più discussi è stato il lockdown che ha portato a forti restrizioni alla mobilità e all’attività economica.È forse stata la più estrema delle misure, imposta su tutto il territorio nazionale a partire dal 22 marzo 2020. L’intervento prevedeva il divieto di mobilità tra comuni e di lasciare il domicilio se non per motivi di primaria necessità o lavorativi. Solo i settori considerati vitali per l’economia del paese e il sostentamento dei suoi cittadini, identificati da specifica documentazione del Consiglio dei ministri, erano autorizzati a proseguire la loro attività, i cosiddetti settori “essenziali”. La loro apertura, da un lato, ha consentito al paese di non fermarsi completamente e di continuare a provvedere ai bisogni dei cittadini, limitando quindi tensioni sociali. Dall’altro, però, ha verosimilmente rappresentato una fonte di contagi che ha favorito il diffondersi della pandemia. Il più classico dei trade off tra economia e salute.

Figura 1 – Densità settori essenziali (2019)

Nota: Centinaia di lavoratori per kilometro quadrato edificato. Fonte: Elaborazione su dati Inps.

Quantificare esattamente il contributo dei settori esclusi dal lockdown alla diffusione dei contagi è un punto fondamentale per valutare l’efficacia delle politiche restrittive. In un recente articolo, realizzato grazie alle ricche basi dati Inps, abbiamo affrontato il tema. L’analisi sfrutta la densità dei settori essenziali (nel privato) e compara nel tempo province che presentavano una diversa densità di lavoratori in settori essenziali (lavoratori per chilometro quadrato edificato). La figura 1 mostra la diffusione di queste attività sul territorio nazionale sulla base dei lavoratori in esse impiegate.

L’impatto degli essenziali

Quanto è costato mantenere aperti i settori essenziali? Secondo i nostri calcoli, non poco. Le nostre stime indicano che mantenere aperte le attività essenziali ha fatto sensibilmente aumentare sia i contagi che la mortalità: circa un terzo (46 mila) dei contagi e un decimo (13 mila) dei decessi riportati tra il 22 marzo e il 5 maggio 2020 sono ascrivibili all’apertura di questi settori.

L’impatto non è stato omogeneo sulle diverse fasce della popolazione e tra aree geografiche. La mortalità per gli individui sotto i 60 anni ha subito solo piccoli incrementi, mentre l’effetto è stato più rilevante per le fasce d’età più avanzate, soprattutto gli over 80. In termini geografici, invece, gli effetti delle attività economiche essenziali sono stati più forti nelle regioni settentrionali e molto più contenuti nel Meridione.

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Come si sarebbe potuta ridurre la mortalità?

Si tratta di costi elevati ed è opportuno valutare come la politica avrebbe potuto agire per ridurre l’impatto negativo delle attività rimaste aperte. Una delle possibilità più ovvie sarebbe stata quella di estendere la chiusura anche ai settori essenziali. Appare una scelta difficile per definizione: sono attività giudicate necessarie per fornire servizi cruciali per i cittadini e sostenere lo stato nella lotta all’epidemia. Se comunque si fosse voluto chiuderle, sarebbe stato opportuno concentrarsi su quelle che avrebbero potuto causare un aumento maggiore dei contagi. Per identificarle, abbiamo analizzato l’impatto della densità di lavoratori appartenenti a diversi settori essenziali su contagi e mortalità.

Gli effetti (figura 2) sono estremamente eterogenei: alcuni settori (servizi a persone e imprese, attività bancarie, commercio al dettaglio e all’ingrosso e servizi professionali) e la sanità hanno contribuito alla diffusione dei contagi molto più di altri, in particolare della manifattura, che non ne ha quasi causato di ulteriori.

Figura 2 – Effetto dei lavoratori essenziali su contagi e mortalità, per settore

Nota: Effetto di cento lavoratori essenziali per chilometro quadrato edificato per settore. Riportiamo l’effetto di una deviazione standard nelle variabili. Casi e Mortalità misurati come incidenza su 100 mila abitanti. Fonte: Elaborazione degli autori.

Restringere il campo degli interventi a queste attività avrebbe avuto grandi vantaggi: per ridurre il numero di morti di un’unità al giorno sarebbe stato necessario estendere il lockdown a circa 40 mila lavoratori essenziali, mentre se ci si fosse concentrati sui settori di maggiore impatto sarebbe bastata l’estensione a duemila lavoratori.

Un’alternativa alla chiusura di attività essenziali sarebbe stata quella di svolgere un monitoraggio più stringente sull’applicazione di altre misure, come distanziamento sociale e utilizzo di mascherine, in modo da alleviarne l’impatto complessivo. Anche in questo caso, conoscere le attività a maggiore rischio avrebbe permesso di utilizzare le risorse pubbliche in modo più efficiente.

Pur senza ulteriori estensioni delle chiusure o monitoraggi più stringenti, si sarebbe potuto fare affidamento sul sistema sanitario per ridurre la mortalità, dato un certo numero di contagi. In questo caso, quali sarebbero stati gli elementi più rilevanti? Abbiamo stimato che un caso di Covid-19 in più nel giro delle due settimane precedenti avrebbe causato circa 0,023 morti in più al giorno. Il numero si riduce sensibilmente al crescere dei medici di base e dei letti ospedalieri per abitante: un incremento di 0,10 medici di base per mille abitanti e di 35 posti letto ospedalieri per 10 mila abitanti (una variazione pari a una deviazione standard nelle due misure) riduce la relazione tra casi di Covid e mortalità del 44 per cento e del 35 per cento, rispettivamente. Ne segue che la possibilità di identificare i casi potenzialmente più gravi tramite la medicina sul territorio e una maggiore capacità di ricoverarli in strutture ospedaliere sembrano essere elementi importanti su cui investire per rendere il sistema sanitario più resiliente a questo tipo di eventi estremi.

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In conclusione, i risultati del nostro studio permettono di guardare all’esperienza Covid con sguardo critico e dettagliato e mostrano i costi e i benefici di uno dei principali interventi di politica sanitaria durante la pandemia. Mantenere aperti i settori essenziali ha avuto costi sanitari importanti che alcune possibili azioni mirate avrebbero ridurre: concentrarsi sui settori che più hanno contribuito a diffondere il virus avrebbe portato a un uso più efficiente delle risorse e a costi inferiori. Anche più alti investimenti nel settore sanitario avrebbero aiutato a ridurre l’impatto della pandemia sulla mortalità. Un più consistente investimento sulla medicina territoriale e sulla capacità ospedaliera avrebbe migliorato il trade-off tra salute ed economia, riducendo i costi in termini di mortalità delle aperture delle imprese.

I nostri risultati illustrano l’importanza di un’accurata conoscenza degli effetti delle politiche pubbliche e della loro valutazione per guidare il legislatore verso le scelte migliori su questioni, come queste, fondamentali per il benessere umano e sociale.

*Questo articolo esce in contemporanea sul Menabò di Etica ed Economia. Le opinioni in esso contenute sono esclusivamente degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell’INPS.

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