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Permessi di emissione: un sistema da ripensare

Il Sistema per lo scambio di quote emissione è un pilastro della politica europea sul clima. Con l’accelerazione sulla transizione ecologica è però arrivato il rialzo del prezzo dei permessi. Senza un intervento, c’è il rischio di deprimere l’economia.

Come funziona il sistema EU Ets

Il pilastro della politica climatica europea affonda le sue radici nella direttiva 2003/87/Ce che, dal 2005, ha istituito il sistema per lo scambio delle quote di emissione (EU Ets), il più grande al mondo, con l’intento di ridurre nel continente le emissioni di gas serra provenienti dagli impianti e settori ad alto consumo di energia. L’EU Ets si basa così sul principio “cap and trade” che stabilisce un tetto massimo alle emissioni consentite, cui corrisponde un equivalente numero di quote a disposizione degli operatori obbligati. Le quote (EUA, EU Allowances) – ognuna delle quali consente al possessore di emettere una tonnellata di CO2 o di altro GHG – possono essere allocate a titolo oneroso o, in limitati casi, a titolo gratuito. Nel primo caso attraverso aste pubbliche alle quali partecipano soggetti accreditati. Chi si aggiudica EUA inferiori alle proprie esigenze di emissione può comprarne da chi ne ha invece in eccesso. Collegati alle aste ufficiali sono, infatti, i relativi mercati secondari e finanziari con scambio di contratti a termine i cui prezzi hanno ovviamente influenza anche sul primario.

L’accelerazione sulla transizione ecologica

L’impegno europeo crescente nella transizione ecologica, suggellato dall’adozione del nuovo pacchetto di interventi “FitFor55”, non ha però soltanto promosso la creazione di una posizione di leadership per il nostro continente nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, ma ha anche provocato una serie di conseguenze apprezzabili sul livello dei prezzi di alcuni settori strategici. E se le tensioni non sono sempre ascrivibili solo agli obiettivi della Commissione, gli effetti sul mercato delle emissioni appaiono invece a essi profondamente connessi.

Come sottolineato di recente anche dal presidente di Confindustria, il sistema delle aste Ets ha così visto notevolmente aumentare la quotazione delle EUA. Tanto che il prezzo di 8,34 euro del gennaio 2018 è salito a 90,79 a febbraio 2022 (+988,6 per cento).

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Figura 1 – Prezzi EUA

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati EEX e ICE

La corsa è dovuta a una serie di fattori che partono, appunto, dalla scelta della Commissione Ue di accelerare la politica di transizione. In questo scenario, anche l’offerta di quote è andata contraendosi. Dal 2013, infatti, il tetto massimo di emissione è stato ridotto dell’1,74 per cento ogni anno e del 2,2 per cento dal 2021. Va poi aggiunta la previsione di una riserva che, dal 2019, assorbe il 24 per cento delle quote in eccedenza rispetto agli 833 milioni di unità totali in circolazione, con corrispondente ritiro delle quote in asta l’anno successivo. Nel solo terzo trimestre 2021, le quote in asta sono state così diminuite del 28,6 per cento rispetto al 2020. I volumi sono invece cresciuti, soprattutto sul segmento a termine che a fine 2020 ha toccato i 7 miliardi di volumi. Anche qui il prezzo è cresciuto di conseguenza, passando dai 32,8 euro del 31/12/2020 ai 94,7 del 24/2/2022.

Figura 2 – ICE ECX EUA volumi scambiati (milioni)

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati Gse

Nonostante i partecipanti in asta non abbiano registrato incrementi (mediamente 23,2 partecipanti), più apprezzabile è stato il ruolo crescente dei fondi di investimento che hanno aumentato le posizioni del 78,5 per cento in due anni, influenzando il mercato in maniera sempre maggiore. Una situazione che ha contribuito al rally dei prezzi e che pesa oggi sulle aziende obbligate.

La riforma necessaria

Appare quindi necessario un intervento di correzione per non deprimere il contesto economico. D’altra parte, l’Italia è il terzo paese per proventi dalle aste e dal 2014 sono confluiti alla Tesoreria oltre 6 miliardi di euro, che salgono a oltre 9 miliardi considerando gli interessi. Tali proventi possono oggi finanziare misure compensative legate all’incremento dei costi energetici.

Più in generale, andrebbe garantita una minore rarefazione dei partecipanti al mercato, salvaguardandone un funzionamento più trasparente e arrivando a una maggiore separazione/diversificazione del sistema Ets in relazione ai diversi settori produttivi, per tutelarne le asimmetriche esigenze.

Non rinviabile è poi la riforma della riserva di stabilità, che spinge ormai a trattenere le quote con impatto distorsivo sul mercato. In tal senso va raddoppiato il parametro delle 833 milioni di unità (TNAC) oltre il quale opera, prevedendo che, in caso di riduzione dell’offerta, possa rilasciare al mercato quote superiori agli attuali livelli. La dinamica registrata mostra, infatti, che esiste un livello di costo EUA oltre il quale il mercato non può spingersi senza mettere a rischio la convenienza a produrre delle imprese.

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Ma è anche opportuno chiedersi se il sistema – giunto nella sua IV fase – stia centrando gli obiettivi per i quali era stato pensato. Le emissioni di CO2 da combustione di energia e processi industriali hanno segnato un record nel 2021, superando i 36 Gt (+6 per cento). Se è vero che il dato è trainato da paesi non rientranti nel sistema EU Ets, non si può ignorare una correlazione positiva elevata tra crescita economica ed emissioni climalteranti, con buona pace dei sostenitori del decoupling.

Figura 3 – Variazioni % annue (livelli di emissione di CO2 e Pil, dati globali)

Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati Iea e World Bank

Il peso dell’Ue sulle emissioni totali è poi di appena 2,7 Gt – il 7,4 per cento del totale – e anche ipotizzando una neutralità europea avremmo livelli d’emissione globali ben lontani dagli obiettivi degli accordi sul clima e da quelli di riduzione del 7,6 per cento indicati dal rapporto dell’UN Environment Programme.

Certo, l’attuale sistema appare preferibile rispetto ad altre forme di imposizione – lasciando al mercato la possibilità di autoregolarsi – ma sono forse gli stessi obiettivi di fondo l’elemento sul quale occorre interrogarsi. Si è parlato molto delle meraviglie della transizione, senza però chiarirne rischi e costi che, invece, oggi la realtà presenta, ricordando che non esistono pasti gratis anche quando gli obiettivi sono tra i più nobili.

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  1. Paolo

    A che serve un sistema di prezzi di mercato di cui si chiede il calmieramento sia quando il prezzo è troppo basso (come nel 2018) sia quando è troppo alto (come oggi)? Tanto vale dire che più di 50 €/Ton non ce lo si può permettere e fissare tale valore per tutti, risparmiando inutili costi di gestione e sbarrando la porta a speculazioni finanziarie.

    • Marco

      Più che chiedere di calmierare il prezzo si può però lavorare sull’offerta, in funzione degli andamenti della domanda, a cominciare da una revisione ed adeguamento dei meccanismi di funzionamento della riserva di stabilità. Senza contare che i prezzi delle EUA, più che risentire di un aumento di volumi sul primario, sono oggi fortemente influenzati dagli scambi sul secondario e sul sistema finanziario, dove tanti operatori hanno aumentato le posizioni lunghe “leggendo” la stretta sul segmento. Ecco, se si decide di accelerare alcuni processi, sarebbe bene farlo adeguando anche i meccanismi dei mercati collegati per evitare distorsioni che, altrimenti, graverebbero oltremodo su un sistema produttivo che fa già i conti con margini in diminuzione per una serie di fattori.

  2. La direttiva ETS è oggi in fase di discussione al Parlamento Europeo, insieme alla direttiva gemella CBAM. La prima (ETS) prevederà una progressiva riduzione delle “free allowances”, che porteranno ad un aumento nel costo produttivo delle materie prime all’interno della Unione Europea. La direttiva gemella (CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism) aumenterà in maniera equivalente il costo della materia prima in ingresso nella Unione Europea. L’effetto netto sarà un aumento del costo di produzione di tutte le industrie che usano la materia prima in questione (acciaio, alluminio, cemento per citarne alcuni). Si impone, quindi, non solo un ripensamento sullo strumento ETS, ma anche una migliore calibrazione degli strumenti ad essi collegati (CBAM) per evitare un effetto domino (negativo) sulla produzione in Europa. Se, infatti, a parità di marca e modello, fosse più conveniente produrre al di fuori della UE, una entità economica razionale non impiegherebbe molto a spostare tutta la produzione al di fuori della UE. Con buona pace degli obiettivi di industrializzazione Europea.

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