Orban vince, per la quarta volta, le elezioni politiche ungheresi, confermandosi a larga maggioranza a capo del governo. I suoi oppositori lamentano pratiche scorrette: dal controllo dei mezzi d’informazione a trucchetti elettorali. Cosa c’è di vero?
Quattro vittorie per Orban
Il 3 aprile 2022 il presidente ungherese uscente, Viktor Orban, ha vinto la sua quarta elezione politica consecutiva. Il partito di Orban, Fidesz, ha ottenuto ben 135 seggi su 199, il 67,8 per cento del totale: una larga maggioranza, anche se in linea con i risultati precedenti. Nel 2010, quando Orban vinse le elezioni per la seconda volta (era già stato primo ministro tra il 1998 e il 2002), il partito conquistò il 68,1 per cento dei seggi; nel 2014 e nel 2018, i seggi conquistati furono il 66,8 per cento del totale (si veda la tabella allegata). Vittorie schiaccianti, facilitate da un sistema elettorale misto proporzionale e maggioritario, che lasciano poco spazio per le recriminazioni degli avversari. I quali, tuttavia, hanno lamentato diverse pratiche scorrette da parte dei vincitori. Tra le altre, il controllo dei mezzi di comunicazione, la riduzione della dimensione del parlamento, riforme elettorali sempre più maggioritarie e l’uso di gerrymandering. L’Osce (Organizzazione per sicurezza e la cooperazione in Europa), che le ha osservate da vicino, parla di elezioni “ben amministrate e organizzate in maniera professionale”. Tuttavia, conferma anche alcune delle lamentele sollevate. Nello specifico, la distribuzione molto variabile di elettori tra i diversi collegi. Una pratica nota con il nome di gerrymandering. Ma cosa si intende, in particolare, con questo termine?
Gerrymandering, una pratica antica e diffusa
ll (ri)disegno dei collegi elettorali è una pratica spesso utilizzata per rafforzare o indebolire alcuni gruppi elettorali. Per esempio, un gruppo può essere rinforzato aumentandone la densità all’interno di un collegio; al contrario, può essere indebolito disperdendo i suoi elettori in una molteplicità di collegi. Negli Stati Uniti, dove la loro riorganizzazione avviene ogni dieci anni da parte dei parlamenti degli stati, i collegi elettorali (uninominali) possono assumere le forme più strane; tanto è vero che questo tipo di attività viene indicata con la parola “gerrymandering” – traducibile come “la salamandrizzazione di Gerry” – dalla forma assai curiosa di un collegio elettorale ridisegnato dal governatore del Massachusetts, Elbridge Gerry, nel 1812. Anche in Italia, in occasione del penultimo ridisegno dei collegi elettorali, questo pericolo sarebbe potuto emergere. E, c’è da scommetterci, qualche pensierino il legislatore lo avrà fatto anche più di recente, quando, dopo la riforma costituzionale che ha ridotto i parlamentari, sono stati ridefiniti nuovamente i collegi elettorali in vista delle elezioni politiche del 2023.
Una critica fondata?
Il rapporto dell’Osce sulle elezioni in Ungheria è piuttosto preciso su queste pratiche. La variazione nel numero di elettori da un collegio a un altro in Ungheria può arrivare addirittura al 33 per cento. La legge elettorale stessa riconosce, almeno sulla carta, che collegi con una deviazione rispetto alla media della popolazione dei collegi stessi superiore al 20 per cento dovrebbero essere ridisegnati. E si tratta già di un livello enorme. A titolo di confronto, infatti, i criteri proposti dall’Osce stessa prevedono una deviazione rispetto alla media inferiore al 10 per cento, solo in casi particolari elevabile al 15 per cento. Tuttavia, anche per quei collegi fuori norma nel 2018, nulla è stato fatto in occasione delle elezioni di quest’anno. Nonostante richieste specifiche (a volte addirittura ignorate) da parte dell’opposizione. Secondo calcoli svolti da The Economist, dopo aver conquistato il potere nel 2010, Orban avrebbe concentrato i voti degli oppositori nei collegi più grandi mentre avrebbe distribuito i propri in quelli più piccoli. Il risultato è che, sempre secondo il periodico inglese, alle elezioni del 2022 Fidesz avrebbe potuto conquistare la maggioranza dei seggi con il 43 per cento dei voti, mentre all’opposizione sarebbe servito addirittura il 54 per cento. La tabella allegata riporta i voti conquistati per la parte proporzionale dalle due liste più votate, dalle elezioni del 1998 in poi. Come si può vedere, il gerrymandering, se ha avuto effetti, ha esacerbato una tendenza che vedeva Fidesz (e alleati) già avvantaggiati dalla conformazione dei collegi elettorali. In vista delle prossime elezioni del 2026, non resta che augurarsi che almeno le previsioni della legge elettorale ungherese (devianza inferiore al 20 per cento) siano rispettate.
Tabella 1 – Voti (parte proporzionale, V) e seggi totali (S) in Ungheria, prima e seconda lista (percentuale)
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Oscar Bazzotti
Se, poi, ci spostassimo dal Nuovo al Vecchio Continente, troveremmo gli inglesissimi “rotten boroughs”. Quindi, tutto si può dire di Orban tranne che non conosce la storia … Chissà se i suoi ammiratori italiani stanno ripassando anche questa lezione.