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Mercato del lavoro: dalla Spagna una riforma al passo coi tempi*

In Spagna è stata approvata una riforma del mercato del lavoro che affronta in maniera organica e complementare diversi aspetti. Ridà centralità alla contrattazione collettiva e riduce la precarietà. E in una fase di lunga crisi dà risposte adeguate.

La Spagna indica un percorso di riforma

Appena passato il primo maggio, appare utile riflettere su un concreto percorso riformatore che dà nuova centralità al lavoro salariato.

L’esempio arriva dalla Spagna. Dopo la definizione nel 2021 di una legge sui rider, da cui in parte nasce l’iniziativa della Commissione europea di regolazione del settore, l’introduzione nel 2020 di un reddito minimo vitale e l’aumento del salario minimo legale, il paese è oggi uno dei contesti internazionali più vivi nel ridefinire un quadro di regole nel mercato del lavoro post-pandemia. Per la prima volta dallo Statuto dei lavoratori del 1980, la riforma approvata non offre soluzioni in termini di maggiore liberalizzazione, come è successo invece con tutte quelle precedenti promosse dai governi socialisti e conservatori. Al contrario, si realizza una riconfigurazione del mercato del lavoro recuperando spazi di maggiore rigidità.

Gli obiettivi principali sono essenzialmente quattro 1) riconfigurare la gerarchia dei processi di contrattazione; 2) definire regole più stringenti sui lavoratori impiegati medianti processi di esternalizzazione; 3) ridurre drasticamente la quantità di lavoro temporaneo; 4) normalizzare lo strumento delle integrazioni salariali (Erte).

La riforma è il risultato di un lungo processo concertativo tra sindacati maggioritari Ugt e Ccoo e l’associazione degli industriali spagnoli Ceoe, nove mesi di trattative in cui è stato modificato radicalmente il precedente assetto del mercato del lavoro spagnolo, pur non abrogandolo totalmente (riforma Rajoy del 2012).

I punti essenziali della riforma

Sul primo punto, la riforma interviene sulla cessazione della validità dei contratti collettivi di settore una volta scaduti. Precedentemente, alla data di cessazione, venivano sostituiti con contratti decentrati aziendali, che riducevano drasticamente i livelli salariali di settore a parità di orario. Con la nuova riforma si riconfigura, invece, una maggiore centralità e ultrattività dei contratti collettivi, che rimangono validi una volta scaduti fino a quando non ne venga concordato uno nuovo, recuperando così il primato dell’accordo di settore su quello aziendale. Il contratto aziendale potrà essere applicato dall’impresa solo ove preveda condizioni retributive più favorevoli di quello di settore.

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Per quanto riguarda la riduzione della precarietà del mercato del lavoro spagnolo, fattore centrale nella definizione di alcune delle riforme richieste dall’Europa per l’approvazione del Next generation plan (nello specifico il governo vi destinerà il 3,4 per cento dei fondi rinvenienti dal Pnrr spagnolo, pari a 2,363 miliardi), la riforma si muove essenzialmente in tre direzioni. Una radicale limitazione delle forme di esternalizzazione del lavoro mediante appalti a imprese multiservizi (contratti interinali), un adeguamento dei salari dei lavoratori esternalizzati a quelli dei lavoratori interni coinvolti e la riduzione a tre delle precedenti molteplici forme contrattuali a tempo determinato. Due sono forme di contratto contingente formativo: formazione alternata retribuita e tirocinio professionale. La prima è rivolta a giovani sino a 30 anni di età (con esclusione delle professioni richiamate dal Catálogo de Cualificaciones Profesionales), con durata massima di 24 mesi. La retribuzione sarà determinata su base individuale e non potrà essere inferiore al 60 per cento e 75 per cento rispetto a quanto previsto dall’accordo collettivo per un lavoratore della medesima categoria (e comunque non potrà mai essere inferiore al minimo salariale su base giornaliera). Il secondo contratto formativo ha una durata massima compresa tra 6 mesi e 1 anno, e potrà essere svolto entro i 3 anni successivi all’ottenimento della relativa abilitazione. Al di là dei contratti formativi è previsto un unico contratto a tempo determinato strutturale, caratterizzato da una più stringente e circoscritta causalità riconducibile a circostanze produttive specifiche eccezionali o sostitutive. Viene introdotto anche un inasprimento delle sanzioni per le irregolarità nell’applicazione di questi contratti, con sanzioni pecuniarie fino a 10 mila euro per ogni dipendente interessato, e una più rapida trasformazione in tempo indeterminato. Al di fuori di queste situazioni, il contratto a tempo determinato non può essere utilizzato.

La nuova legge ridisegna lo strumento delle integrazioni salariali, molto usate durante la fase pandemica, estendendolo in maniera organica. In caso di crisi e dopo l’autorizzazione da parte del Consiglio dei ministri, le imprese possono attivare le integrazioni salariali per un massimo di un anno e con esenzioni contributive che diminuiscono dal 60 al 20 per cento; in caso di ristrutturazione settoriale la misura si può attivare per sei mesi, estendibili a un anno, con esenzioni del 40 per cento. Di fatto, si tratta di un meccanismo automatico che corresponsabilizza imprese e governo nel mantenimento dell’occupazione e nelle trasformazioni dei settori produttivi tutelando il tessuto imprenditoriale, il patrimonio delle imprese in termini di competenze e il reddito dei lavoratori, oltre che la loro stessa relazione lavorativa.

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L’insegnamento che si può trarre dall’esperienza spagnola è che in una fase di crisi perdurante, di caduta dei salari e di aumento dell’inflazione, una riforma del lavoro dovrebbe affrontare in maniera organica e complementare diversi aspetti, livelli minimi salariali, riduzione della precarietà, dinamiche della contrattazione collettiva, rigenerando un vetusto quadro normativo del mercato del lavoro, non più adatto alla fase economica e storica attuale, sempre più caratterizzata da una cesura dalle precedenti dimensioni della globalizzazione, con una condizione economica sempre più vicina a quella di una economia di guerra. Non a caso il principale strumento di integrazione salariale in Italia fu generato nel pieno della crisi del secondo conflitto bellico mondiale.  

*Le opinioni espresse non rappresentano necessariamente quelle dell’Istituto di appartenenza.

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  1. Savino

    La centralità va data alle nuove generazioni e le organizzazioni sindacali dovrebbero fare molti passi indietro. In Italia, invece, continuiamo a pensare ad un mondo del lavoro fatto da 60enni e ad una sindacalizzazione sfrenata ed istituzionalizzata (si pensi ai CAF e ai Patronati che gestiscono diritti che dovrebbe dare lo Stato con suoi Uffici).

    • QW

      le riorme le disegnano i governi, non i sindacati, meglio iniziare a individuare i responsabili di 30 anni di politiche del lavoro di chiara marca neolib, con in risultati che ben conosciamo per le giovani generazioni…(i sindacati han le loro responsabilità, a volte drammatiche, ma le decisioni le prendono parlamento e governi.. meglio ricordarselo..)

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