Il Pnrr mette gli infermieri al centro degli investimenti per la sanità. È una grande occasione per valorizzare la professione con vantaggi per tutti, dagli infermieri stessi ai medici, dai pazienti alle casse dello stato. Non mancano però gli ostacoli.
Perché l’infermiere è una figura centrale
L’infermiere di comunità è uno degli elementi su cui punta il Piano nazionale di ripresa e resilienza. La nuova figura dovrebbe avere un ruolo strategico per potenziare l’assistenza domiciliare, attrezzare le centrali operative territoriali di personale sanitario qualificato e gestire case della comunità e ospedali di comunità. È una grande sfida che potrebbe rivelarsi un vantaggio per tutti: per la professione infermieristica, per i cittadini, per i medici, per le casse dello stato
L’assistenza sanitaria ai cittadini migliorerebbe perché l’infermiere ha una preparazione assistenziale più specifica, più orientata all’umanizzazione delle cure e alla costruzione di rapporti empatici con i pazienti. La professione infermieristica ne risulterebbe valorizzata perché, guadagnando rispetto e reputazione, avrebbe un maggiore riconoscimento sociale, accreditandosi come una professione stimolante, in grado di attrarre giovani di talento. Dare più spazio agli infermieri permetterebbe ai medici di concentrarsi sulle attività strettamente diagnostico-terapeutiche, liberandoli da attività assistenziali per cui non sono preparati, così da avere più tempo da dedicare a compiti specialistici, come per esempio la definizione dei piani terapeutici, la diagnosi e la terapia e la condivisione tra colleghi dei casi più complessi.
Tutto questo avrebbe grandi vantaggi anche sul piano economico. Un infermiere costa al Sistema sanitario nazionale poco più della metà di un medico: progressivamente, una parte dei medici che vanno in pensione potrebbe essere sostituita da infermieri, concentrando i primi sulle attività strettamente cliniche e i secondi su quelle assistenziali. Ciò contribuirebbe alla ricerca di una difficile sostenibilità economica, messa sempre più a rischio dai vincoli sulla spesa pubblica da un lato e dalla crescita dei bisogni dall’altro.
Infine, la valorizzazione della professione infermieristica aiuterebbe a risolvere il problema della mancanza di medici (comunque meno drammatica se confrontiamo l’Italia agli altri paesi europei) e, soprattutto, di infermieri (nettamente più accentuata): formare questi ultimi, almeno con una laurea triennale, è infatti più rapido.
Insomma, la ragione vuole che sia dato più spazio alle professioni infermieristiche, cogliendo l’opportunità del Pnrr e del Dm 71 approvato di recente.
La riqualificazione dei profili sanitari
La riqualificazione dell’infermiere va vista anche come opportunità di ampliamento degli spazi per gli operatori socio-sanitari (Oss). L’idea, sperimentata in alcune regioni, è di istituire i “super Oss”, ossia operatori più qualificati, che possono svolgere alcune mansioni generalmente affidate agli infermieri. In sintesi, si punterebbe a una riqualificazione per tutti i principali profili sanitari, tra l’altro giustificata dai cambiamenti epidemiologici (pazienti più anziani e fragili con maggiori esigenze sul piano socio-sanitario) e tecnologici (necessità di maggiore specializzazione dei medici).
In termini pratici, tutto ciò significa dare più autonomia a infermieri e Oss, comunque sotto la supervisione e la responsabilità clinica dei medici, e assegnare loro nuove mansioni.
La possibilità riconosciuta agli infermieri di fare prelievi del sangue anche senza la presenza di un medico, realizzata di recente in diverse realtà, ne è un esempio. Un cambiamento un po’ più radicale consisterebbe nel definire una lista di farmaci particolarmente sicuri e renderli prescrivibili anche dagli infermieri, eventualmente con un sistema di supervisione a posteriori del profilo prescrittivo dei singoli infermieri da parte di un medico. Si tratta di una pratica comune in molti paesi europei.
Gli ostacoli al cambiamento
Quindi, la strada da percorrere è chiara? In realtà no: sono fortissime le resistenze a cambiamenti di questo tipo. Ne voglio indicare tre.
Il primo è di ordine politico, nel senso proprio dei sistemi di rappresentanza. Il Ssn è un’istituzione pubblica, la cui guida è in mano alla politica e non al mercato (che probabilmente risolverebbe naturalmente alcune delle questioni prospettate). In Parlamento e nei Consigli regionali, le professioni infermieristiche sono largamente sotto-rappresentate, mentre quelle mediche sono sovra-rappresentate (in termini di rapporto tra consistenza dei corpi professionali e numero degli eletti). Ciò fa sì che il tema della valorizzazione delle professioni infermieristiche non sia messo all’ordine del giorno nell’agenda politica.
Il secondo tema è di ordine culturale generale: l’infermiere è ancora visto spesso come un “paramedico” che segue gli ordini dei medici senza una piena dignità professionale. È un sentire comune, soprattutto tra le persone più anziane che sono mentalmente legate all’infermiere di 30 anni fa: non laureato, spesso “promosso sul campo” da posizioni professionali poco qualificate e totalmente subordinato al medico. Occorre cambiare questa cultura perché gli infermieri di oggi sono radicalmente diversi. E occorre farlo anche attraverso campagne di comunicazione sociale che promuovano il valore del lavoro infermieristico.
Il terzo punto è di ordine più psicologico e riguarda la mancanza di autostima degli infermieri stessi, frutto chiaramente anche delle due problematiche precedenti, che li porta a non sapere affermare con convinzione e determinatezza le loro ragioni. Gli infermieri si sentono spesso professionisti di serie B, lasciando la scena completamente agli attori primari, i medici. Per rimediarvi serve un lavoro profondo all’interno della professione e delle sue rappresentanze sindacali e professionali.
In sintesi, Il Pnrr è una grande occasione per rilanciare una professione fondamentale per lo sviluppo del Ssn. Le ragioni per il suo rilancio sono forti, occorre renderle operative a tutti i livelli.
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