La guerra in Ucraina mette in secondo piano le esigenze legate alla transizione verde. Ma i rischi legati al cambiamento climatico richiedono politiche pubbliche ambiziose. Gli ostacoli non mancano lungo un percorso da condividere a livello globale.
La transizione ecologica in tempo di guerra
I forti aumenti dei prezzi dell’energia e le implicazioni geopolitiche legate all’invasione russa dell’Ucraina mettono in secondo piano le esigenze legate alla transizione verde. I governi, soprattutto quelli europei, in questo momento privilegiano l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo e allo stesso tempo avere accesso a fonti di energia a costi contenuti, il che implica, in parte, un ritorno ai combustibili fossili come il carbone.
L’esigenza di ridurre le emissioni sembra relegata in un futuro da individuare. Tanto forte è la crescita dei prezzi dell’energia che alcuni governi europei sono intervenuti per calmierarli, il che è incoerente con le necessità climatiche, che richiedono invece un incremento dei costi legati alle emissioni di CO2 e quindi anche un aumento dei costi dell’energia.
Gli impegni europei
Cosa rimane degli ambiziosi impegni di riduzione delle emissioni di gas serra che i governi hanno annunciato? L’Unione europea sembra voler rispondere alla domanda con l’intenzione di accelerare la transizione verde. Con il piano RePowerEU, rilasciato con una comunicazione il 18 maggio scorso, la Commissione europea ha ribadito l’impegno di ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere l’obiettivo di emissioni nette pari a zero nel 2050, come sancito dalla European Climate Law del 29 luglio 2021. Il piano include una serie di misure per favorire l’efficienza energetica e la diversificazione delle fonti di energia, accelerare l’adozione di fonti rinnovabili, per ridurre il consumo di carburanti fossili nell’industria e nei trasporti, e per aumentare gli investimenti pubblici.
Tuttavia, dare seguito a tutti questi impegni non sarà facile. Richiede, oltre alla formulazione di una strategia dettagliata, che preveda una gamma di misure declinate a livello settoriale, la necessità di stabilire una governance chiara per gestire il processo.
I Ministeri delle Finanze e, più in generale, le politiche di bilancio hanno una particolare responsabilità nel processo di transizione, in quanto sono strumentali nel rendere gli obiettivi concreti attraverso misure fiscali. Ci sono due grandi aree di misure che avranno effetti sui bilanci pubblici: quelle per sostenere il processo di “mitigation”, cioè di riduzione delle emissioni (carbon pricing, investimenti pubblic, incentivi fiscali e così via); e quelle per sostenere il processo di “adaptation”, cioè per fare fronte sia in via preventiva che ex-post ai danni causati dagli eventi climatici estremi (tornadi, allagamenti, incendi e così via).
Un percorso a ostacoli
Nonostante la consapevolezza della sfida sia ben chiara ai governanti, al momento anche i paesi più virtuosi producono emissioni superiori a quelle che sarebbero coerenti con gli obiettivi annunciati. Per raggiungere gli obiettivi, che sono necessari per evitare rischi di cambiamenti climatici severi e irreversibili, i governi – e le politiche di bilancio in particolare – devono rapidamente aumentare l’ambizione dei loro interventi. Si pone dunque il problema di costruire un pacchetto di politiche pubbliche che, da un lato, renda le emissioni sempre più costose (e quindi estenda il ruolo del carbon pricing oltre i settori coperti dall’EU Emission Trading System), ma dall’altro contribuisca – attraverso investimenti pubblici e incentivi – alla crescita della capacità produttiva di energie a basse emissioni e all’efficientamento energetico. Le misure, però, difficilmente potranno essere le stesse per tutta l’economia, ma dovranno adattarsi alle specifiche caratteristiche ed esigenze dei diversi settori produttivi.
Questo percorso si scontra con almeno tre ostacoli. Il primo è l’ulteriore aumento dei debiti pubblici necessario per finanziare le spese connesse alla transizione verde. Il secondo sono le difficoltà politiche conseguenti alla necessità di un aumento del costo delle emissioni, che ha effetti inflazionistici e redistributivi. Il terzo è legato all’incertezza politica dovuta all’alternarsi di maggioranze con preferenze e sensibilità diverse riguardo la transizione verde. Tutto ciò si traduce in un percorso lento e dispendioso di risorse pubbliche.
Una possibile via per contenere le inefficienze è che i paesi incorporino gli obiettivi climatici come prioritari nelle leggi nazionali (per esempio, alcuni stati hanno approvato una Climate Law), e che queste norme definiscano anche i criteri ai quali i governi si devono attenere. Per esempio, quello del Do not significant harm è un criterio intelligente, che forse avrebbe consentito ai governi di calmierare i prezzi dell’energia solo per le categorie più esposte. Inoltre, bisognerebbe affidare il controllo del raggiungimento degli obiettivi stabiliti nelle leggi a istituzioni indipendenti, come i Climate Councils. Si tratterebbe comunque ancora solo di un primo passo, perché l’esperienza dei Fiscal Council ci insegna che il loro ruolo di controllori ha un’efficacia a volte limitata e, in secondo luogo, qualsiasi sforzo a livello nazionale può dare frutti solo se condiviso a livello globale.
Insomma, nonostante gli annunci, non ci siamo ancora incamminati veramente sul sentiero della transizione verde.
*Questo articolo è una sintesi dell’intervento che verrà effettuato al convegno “Una politica fiscale per l’Europa unita”, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, venerdì 27 maggio 2022. Diretta streaming disponibile qui. Slides della presentazione disponibili qui.
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