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Prezzo dell’energia: una crisi diversa dalle altre

La crisi energetica di oggi sembra diversa da quelle del passato. A determinarla contribuiscono vari fattori, dalle mire imperiali russe alla transizione energetica cinese. Superarla richiede un sempre maggiore coordinamento, almeno a livello europeo.

Il ruolo della Russia

Il tema del caro energia ritorna ciclicamente nel dibattito politico e in particolar modo in quello europeo. La questione è tra le più sentite in questo momento, quando le economie stanno faticosamente uscendo da un biennio caratterizzato da una difficile pandemia e da ciò che ne consegue. Giova chiedersi, per iniziare, se questa situazione di prezzo debba essere considerata davvero straordinariamente elevata o se, come spesso accade, ci fa velo il fatto che sia più vivido quello che stiamo vivendo rispetto al passato, magari non tanto lontano.

Il prezzo del petrolio (Brent, per comodità) può essere utilizzato come esempio. Senza necessità di ricostruire la storia e considerando unicamente gli ultimi 20 anni, è possibile affermare che non viviamo certamente un periodo in cui il prezzo del petrolio (e di tutte le commodities connesse) è particolarmente elevato. Se il prezzo del Brent oscilla in questi ultimi mesi intorno ai 70 dollari/barile, dobbiamo ricordare che, in termini reali, ha ampiamente superato i 100 dollari/barile nel 2011 – 2013.

Resta dunque da chiederci che cosa ci sia di diverso in questa crisi e perché appare così profonda rispetto alle tante che abbiamo vissuto.

Un elemento distintivo – e probabilmente ansiogeno per il mercato – è la complessità. Nelle crisi passate, le motivazioni – anche se opache – hanno riguardato strettamente la dinamica domanda/offerta di petrolio. Niente che non si potesse comprendere alla luce dei non sempre chiarissimi communiqué dell’Opec. Questa volta invece si incrociano piani diversi, interconnessi, ma insieme autonomi, che mettono il mercato in gravi ambasce.

Vi è innanzitutto un problema politico che riguarda la volontà imperiale della Russia di Putin, volontà esercitata innanzitutto con l’annessione della Crimea ed ora con la pressione esercitata verso l’Ucraina e la Bielorussia. La debolezza, certamente più politica che militare degli Stati Uniti, non aiuta a mettere un freno all’espansionismo russo ed una certa acquiescenza nella gestione del gasdotto Nord Stream non sembra aiutare la politica di chi vuole ergere un muro all’espansionismo russo.

D’altra parte, la Nato non è stata a guardare. Paesi ex Urss (come tutti i paesi baltici), una volta riacquistata l’indipendenza, hanno aderito alla Nato, aggiungendosi a paesi (Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia) che del cosiddetto blocco sovietico facevano parte. Per onestà di analisi è giusto dunque ricordare come il virus dell’espansionismo abbia colpito la Russia di Putin, ma anche la Nato in chiave anti-russa.

Non vanno infine dimenticate tutte quelle considerazioni che vengono dalla Francia di Macron (ma che appartengono ad una antica tradizione francese che data oltre 50 anni) e che vede con le dovute cautele una Russia neo-imperiale come l’ultimo baluardo tra l’Europa, ormai chiaramente sotto assedio, e la Cina. Gli europei peraltro soffrono di miopia e tendono a dimenticare che Russia e Cina hanno un confine in comune, confine sul quale si è discusso negli ultimi 200 anni, e non è un caso che il nonno dell’attuale dittatore nord-coreano sia stato cresciuto nelle scuole di partito dell’URSS e promosso dittatore in Corea ovvero un cuneo sovietico e poi russo nella Cina.

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Gli obiettivi della Cina

Riflessi sul mercato dell’energia arrivano anche dal comportamento della Cina, che è una importante concausa della nostra attuale crisi anche da altri punti di vista. Per esempio, ha deliberatamene complicato la supply chain di una infinità di prodotti anche di basso e talvolta bassissimo valore, creando innumerevoli problemi di disponibilità a industrie europee come quella automobilistica, che di queste forniture ha assoluta necessità.

Il mercato del gas naturale soffre anche dell’incertezza legata alle previsioni di transizione ecologica della Cina. L’obiettivo di neutralità carbonica annunciato da Pechino manifesta la sua determinazione a promuovere lo sviluppo verde e a basse emissioni di carbonio. Il paese mira a raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e la neutralità entro il 2060. Tutto questo significa evidentemente meno domanda di carbone, più rinnovabili e più gas e, date le dimensioni del paese, non può che farsi sentire sul mercato.

Rispetto al tema gas naturale va segnalato inoltre che di recente la Russia ha firmato un contratto di 30 anni per la fornitura di gas alla Cina attraverso un nuovo gasdotto e – elemento distintivo ed interessante – regolerà le nuove vendite di gas in euro. Con questo contratto la Russia rafforza un’alleanza energetica con Pechino. Gazprom, che ha il monopolio delle esportazioni russe di gas tramite uno specifico gasdotto, ha accettato di fornire 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla principale società energetica statale cinese CNPC. Il programma prevede il completamento del piano previsto anni fa con realizzazione di un gasdotto che collegherà la regione dell’Estremo Oriente russo con la Cina nord-orientale, i cui lavori dovrebbero iniziare tra due o tre anni.

Peraltro la Russia invia già gas alla Cina tramite il gasdotto Power of Siberia che ha iniziato a funzionare nel 2019. Il paese di Putin fornisce anche 16,5 miliardi di metri cubi di gas sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL). E’ interessante osservare inoltre che la rete Power of Siberia non è collegata ai gasdotti che inviano gas all’Europa e questo ha permesso di evitare le polemiche connesse alle discussioni su l’aumento dei prezzi del gas a causa della scarsità di forniture. Secondo i piani precedentemente elaborati, la Russia mirava a fornire alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas tramite gasdotto entro il 2025. Il nuovo accordo, che ha coinciso con una visita del presidente russo Vladimir Putin alle Olimpiadi invernali di Pechino, aggiungerebbe altri 10 miliardi di metri cubi, aumentando così le vendite di gas alla Cina con contratti a lungo termine.

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Il gas russo e l’Europa

A gennaio, le forniture russe di gas all’Europa si sono ridotte del 40 per cento rispetto alle attese, recuperando leggermente (-20 per cento) negli ultimi giorni. Non è sbagliato sostenere che la Russia tragga qualche vantaggio del suo potere di oligopolista se consideriamo che il 50 per cento delle importazioni extra-europee verso l’Ue vengono dalla nazione di Putin. È anche vero però che i paesi che acquistano gas dalla Russia, la Germania per esempio, nell’ultimo semestre lo hanno riveduto a paesi terzi ricavandone profitti notevoli. Inoltre, ironia della sorte, anche esportando meno gas, quest’inverno il forte aumento dei prezzi sarà probabilmente sufficiente a non ridurre le entrate di Mosca. Che, paradosso finale, dalla crisi potrebbe addirittura guadagnarci.

L’Europa, e l’Italia in particolare, possono rispondere alla riduzione di importazioni dalla Russia in diversi modi. Aumentare le importazioni da paesi già collegati da gasdotti (Algeria, Libia, Olanda, Qatar come Gnl). Da non dimenticare il Tap, che porta 10 miliardi di metri cubi all’anno e che abbiamo evitato di bloccare per un soffio. L’Italia potrebbe poi incrementare la produzione domestica, che vale attualmente il 10 per cento dei consumi. Analisi indipendenti suggeriscono che questi 7 miliardi di metri cubi prodotti potrebbero diventare 10 senza troppa fatica e arrivare a 20 con opportuni investimenti..

Secondo Assorisorse, sotto i mari italiani ci sarebbero riserve di oltre 90 miliardi di metri cubi di metano a basso costo: l’estrazione costerebbe a 5 centesimi al metro cubo, mentre l’importazione costa fra i 50 ed i 70.

Un’altra questione da tener presente per quanto riguarda il costo della transizione è legata alla dinamica del mercato dei permessi negoziabili CO2. Il loro prezzo ha raggiunto i 100 dollari a tonnellata, raggiungendo un livello mai visto. 

In definitiva: questa è una crisi diversa dalle altre, con molteplici aspetti alcuni dei quali ancora in divenire, che necessita sempre di maggiore coordinamento almeno a livello europeo.

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10 commenti

  1. pieffe

    Questa storia delle mire imperiali della Russia mi sembra poco credibile; non ne ha le possibilità, a cominciare da quelle militari. La guerra in Afghanistan è stata una lezione molto chiara. La Russia riesce appena a dare una mano alle minoranze russe distribuite nei paesi ex sovietici (Georgia, Moldavia, ora Ucraina), che naturalmente sono attratte verso il paese madre; o a reprimere le spinte separatiste (Cecenia). Peraltro, Stati Uniti e Unione Europea non dimostrano molta coerenza, visto l’atteggiamento di indifferenza verso situazioni analoghe (Sahara occidentale, Cipro), per non parlare della Palestina. Il problema dell’Europa occidentale è quello di essere un’area sovrappopolata, con consumi elevatissimi e scarse risorse naturali. E’ inevitabile che sia costretta a chiedere a chi lo ha ciò che le serve (petrolio, gas, …), senza molto potere negoziale. Ma c’è un problema in più rispetto al passato; la concorrenza della Cina, che ha le stesse esigenze e molti soldi in più.

  2. Savino

    Bisogna chiarirsi le idee in modo definitivo e prendere delle decisioni: vogliamo inquinare o curare il pianeta? vogliamo le comodità o la salubrità? il gas inquina come il petrolio o è sostenibile come l’elettrico naturale o l’idrogeno? Perchè non utilizzare le nostre materie prime, se ci sono? Perchè opporsi a tutto salvo poi ritenersi portatori di progresso, comportandosi come tali? Si ritiene, per caso, che i tanto di moda smartphone non inquinino? Anche Greta Thunberg e i suoi seguaci sbagliano su questo poichè non fanno una vita proprio sobria all’insegna della sostenibilità.

  3. Paolo

    Francamente dall’articolo non si è capito molto nè su cosa sarebbe opportuno fare, nè se quel che il governo ha fatto finora sia da approvare o criticare.
    Aggiungo che il prezzo del gas è ormai sganciato dal Brent da molti anni, quindi dire che la crisi è “contenuta” rispetto al passato perchè il prezzo del petrolio in passato è stato maggiore è quantomeno fuorviante: il prezzo del gas sull’hub TTF olandese non è stato mai così alto da quando esiste, e il petrolio per produrre elettricità in Italia non si usa praticamente più, mentre il gas ha un ruolo fondamentale (di maggioranza relativa, e dominante a causa del meccanismo del prezzo marginale più alto).
    La crisi riguarda tutta la produzione industriale (che consuma elettricità e gas), non tanto la logistica (che consuma petrolio).

  4. L

    È un problema tutto Unionista, non c’entra la Russia (che ha lo stesso potere di 10 o 20 anni fa), non c’entra la Cina (che compra da altri fornitori, anche il gas russo viene dalla zona del Pacifico).

    Hanno distrutto gli altri fornitori come la Libia.
    Hanno scoraggiato accordi a lungo termine con la Russia che pure li voleva.
    Hanno creduto che le rinnovabili sostituissero le altre fonti.
    Hanno non-progettato la dismissione del nucleare (ne estenderanno l’uscita fino a quando non esploderà una centrale, magari in Francia).
    Hanno aggiunto costi inutili come le quote CO2.

    L’unione europea deve morire, è giusto così.

  5. Marco Catellacci

    Gli autori dovrebbero sapere che la quantità di gas naturale estraibile da sotto l’adriatico è ridicola rispetto ai nostri consumi attuali.
    I dati presentati da Assorisorse non sono credibili, chi lavora nel settore sa che sono sempre sovrastimati rispetto alle reali quantità estraibili con le tecnologie e i costi attuali.
    Mi aspettavo un articolo con basi più solide.

    • Marzio Galeotti e Alessandro Lanza

      Ricapitoliamo:

      Nel 2020 l’Italia ha prodotto circa 4 miliardi di metri cubi di gas, consumandone in totale circa 70 miliardi.
      Va ricordato che però che venti anni fa la produzione italiana ammontava a quasi 16,8 miliardi di metri cubi, mentre i consumi erano simili a quelli attuali.
      Assorisorse sostiene sommessamente – come fanno eni ed Enel peraltro – che la produzione interna, che ha visto una rapida riduzione per ragioni economiche. politiche e geologiche potrebbe essere incrementata fino a 6/8 miliardi senza fare troppo sforzo.
      Ricordo infine che sul’Alto Adriatico esiste una moratoria imposta dall’allora Ministro Ronchi con il Governatore Galan che impedisce
      la ricerca, la coltivazione e la produzione perché vi erano sospetti o rischi di subsidenza nell’area veneziana.

      Per concludere il gas metano c’è e potrebbe anche essere prodotto a prezzi competitivi.
      Le stime sono sufficientemente accurate. Manca unicamente la volontà politica

      • Paolo

        Prendendo per valida la stima (forse ottimistica, visto che proviene da una fonte non esattamente neutrale) del raddoppio della produzione entro un anno, resta da capire:
        1- quali meccanismi si metteranno in campo per garantire che questo metano estratto non verrà a sua volta venduto in borsa al prezzo di borsa (altrimenti con 4 mld in più sui 500 scambiati annualmente al TTF non ci sarà alcun effetto sul prezzo)
        2- cosa fare nei 12+ mesi che mancano a vedere raddoppiata la produzione, visto che gli aumenti ci sono adesso
        3- se valga davvero la pena costruire nuove infrastrutture per un flusso che le riserve conosciute potranno alimentare per meno di 10 anni ai ritmi di estrazione previsti

      • bob

        “Manca unicamente la volontà politica..” Signori la volontà politica è mancata 30 anni fa quando si è andati a chiedere a mia zia novantenne se era giusto o no avere il nucleare. Le scelte di questa portata in un Paese serio si fanno con altri criteri e soprattutto con altra lungimiranza oltre che con uno spessore culturalmente onesto significativo dei politici. Se per estrarre gas in Adriatico decide quello che pomposamente con linguaggio “borbonico”viene chiamato
        ” Governatore ” a mio avviso viene meno il concetto di sistema-Paese . Risultato: una Babele di Pro-Loco (21) il cui interesse elettorale del politico di turno al massimo è salvaguardare il rivenditore di bombole di gas

  6. Marcello

    “Secondo Assorisorse, sotto i mari italiani ci sarebbero riserve di oltre 90 miliardi di metri cubi di metano a basso costo: l’estrazione costerebbe a 5 centesimi al metro cubo, mentre l’importazione costa fra i 50 ed i 70.”

    considerando che importiamo 70 miliardi di metri cubi, se lo estraessimo TUTTO (mi sembra alquanto improbabile) ci basterebbe giusto per un anno e qualche mese; anche il costo di estrazione sarebbe bello che sia verificato invece di essere ripreso da un’associazione in conflitto di interessi… da un articolo de Lavoce.info mi aspetterei un grado di approfondimento maggiore

  7. Luciano Leonetti

    Articolo che si dimentica di almeno quattro fattori decisivi:

    1) Il contesto che influenza i mercati e’ volutamente ansiogeno, perche’ l’economia eccessivamente finanziarizzata e cartolarizzata vive di questo: se l’annuncio (solo l’annuncio) della partenza di qualche nave metaniera dagli USA per l’Europa fa abbassare il prezzo del metano di oltre il 4% evidentemente siamo ad un punto in cui le presunte dinamiche di domanda e offerta e le crisi assortite sono solo delle scuse per le speculazioni finanziarie.
    E’ dal 2008 che si dice che bisogna porre un freno alla preponderanza dei derivati rispetto al mercato reale. Da allora il ruolo dei derivati e’ aumentato, la regolamentazione ulteriormente diminuita e la tassazione non e’ cambiata. In cambio, il mercato e’ stato inondato di liquidita’ e le piattaforme di trading online, che si basano sulla compravendita di derivati, ormai sono pubblicizzate ovunque.
    La “casino economy” e’ il primo fattore che nelle crisi energetiche precedenti non c’era.

    2) Gli investimenti infrastrutturali davvero pericolosi per l’indipendenza energetica europea non sono citati: i giacimenti russi che riforniscono la Cina e quelli che riforniscono l’Europa sono diversi e non sono collegati fra loro: quando la bretella di collegamento sara’ pronta e solo allora i russi avranno davvero un’arma energetica in mano. Fino ad allora loro dipendono da noi piu’ di quanto noi dipendiamo da loro. Infatti i russi non hanno alzato i prezzi del gas: sono quelli che importano gas russo a rivenderlo a prezzi gonfiati

    3) Il sistema europeo dei prezzi spot del gas e quello della fissazione del prezzo dell’energia sono alla base dei rialzi dei prezzi energetici: ci guadagnano gli operatori della borsa del gas di Amsterdam, le aziende energetiche che hanno comprato gas a 1 e ora lo rivendono a 5 (prime le aziende tedesche, ma anche quelle italiane, francesi), i norvegesi che vendono gas a prezzi mai visti e tutti quelli che operano sul mercato spot, fra cui le principali aziende energetiche europee

    4) Nel nostro piccolo, e’ il nostro stesso governo che favorisce la speculazione delle aziende della filiera energetica italiane (quasi tutte pubbliche) a danno dei consumatori: i) non mette un tetto al prezzo dell’energia prodotta in modi diversi dall’uso di gas acquistato sul mercato spot (l’unico ad essere aumentato di prezzo; infatti, in Francia ad EDF e’ stato imposto il prezzo bloccato sull’energia prodotta col nucleare e venduta sul mercato interno), ii) non tassa gli extraprofitti della filiera energetica, iii) non impone alle proprie aziende di investire gli utili per sviluppare altre produzioni (fossili o rinnovabili) invece di distribuirli (ENI, ENEL, Italgas, SNAM, ACEA, A2A hanno tutti utili distribuiti superiori al 5%, una cosa rarissima tra le aziende energetiche mondiali, dovuta al fatto che non investono quasi niente, seguendo il luminoso esempio di Autostrade per l’Italia).

    Last, but not the least, il ruolo drammaticamente e colpevolmente negativo che ha avuto ENI fino ad ora: i) ha incluso nel rinnovo dell’accordo con Gazprom la possibilita’ di vendere direttamente sul mercato italiano (e il governo gliel’ha permesso), ii) ha gestito come il peggiore degli speculatori la decima flotta metaniera del mondo (sarebbe bastato ritardare alcune consegne di GNL in Estremo Oriente per ribassare il prezzo del gas in Europa) nei momenti peggiori, iii) distribuisce da anni oltre il 5% degli utili, il che vuol dire che investe molto poco e nell’anno della massima crisi energetica annuncia di voler usare gli extraprofitti per un buyback azionario invece che per aumentare la produzione di energie rinnovabili o coltivare nuovi giacimenti iv) rifiuta di dichiarare il prezzo a cui vende il gas comprato a prezzo fisso dalla Russia (perche’ cosi’ fan tutti), v) Pretende che crediamo che nel breve termine sia non sia possibile aumentare la produzione di GNL in Nigeria e Mozambico e solo adesso promette, a babbo morto. di investire per la aumentare la produzione in Angola e Congo.

    Conclusione: tra le tante cose nuove e diverse di questa crisi energetica c’e’ la pervicace ostinazione a creare le condizioni per massimizzare la volatilita’ dei prezzi: si chiamano in causa il COVID, i cinesi, i russi, le cavallette, ma si dimenticano le basi: i mancati interventi sull’uso eccessivo dei derivati, il fatto che dietro l’apparente unita’ d’intenti europea ci sono i guadagni di alcuni e la perdita di altri e la colpevole volonta’ di non cambiare le cose, il comportamento di aziende pubbliche simile a quello delle piu’ rapaci e ottuse aziende private (minimi investimenti, sfruttamento di posizioni oligopolistiche, opera di lobby a danno dei consumatori).

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