La riforma degli Its è legge. Prevede la loro espansione, con possibili sovrapposizioni con le lauree professionalizzanti offerte dagli atenei. Ridefinizione della governance e diritto allo studio sono elementi critici da affrontare nei decreti attuativi.
La riforma degli Its
L’incombente automazione dei processi produttivi e la continua specializzazione dei profili richiesti nel mercato del lavoro in Italia fanno emergere con maggiore forza il ruolo della professionalizzazione dell’istruzione terziaria nel nostro paese.
Il 12 luglio 2022, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge sull’Istituzione del sistema terziario di istruzione tecnologica superiore, che riforma la normativa sugli Istituti tecnici superiori (Its) e prevede lo stanziamento, mediante i fondi Pnrr, di 1,5 miliardi di euro fino al 2026 (48,4 milioni annui). Il principale obiettivo dei finanziamenti riguarda l’incremento dei percorsi formativi legati alla formazione professionalizzante terziaria, nel tentativo di favorire il processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro nel paese.
La professionalizzazione dell’istruzione terziaria si riscontra anche nel mondo universitario, con l’istituzione dei corsi di laurea professionalizzanti (Dm n. 987/2016), avviati nell’anno accademico 2018/2019 (Dm n. 60/2017) e riformati con il Dm n. 446/2020.
L’istituzione degli istituti tecnici superiori risale al 2007 (legge n. 40) e si proponeva la promozione, stabile e organica, della diffusione della cultura tecnica e scientifica e del sostegno delle misure per la crescita del paese. I percorsi sono stati attivati per la prima volta nel 2010 e oggi gli Its presenti sul territorio sono 117. Secondo il monitoraggio di Indire, relativo a 89 fondazioni sulle 103 che hanno terminato i percorsi nel 2020, gli iscritti sono 6.874, ovvero il 53,8 per cento degli idonei. A un anno dal diploma, lavora il 79,9 per cento dei diplomati Its, il 90,9 per cento di questi in un’area coerente con il percorso intrapreso.
Numero e distribuzione degli Its
Rispetto agli atenei statali e non statali legalmente riconosciuti (Tabella 1), la distribuzione di Its nel paese vede, in generale, una loro maggiore presenza nelle regioni del Nord e del Sud e una minore presenza nel Centro, con l’eccezione della Toscana. Se invece paragoniamo il numero di Its a quello degli istituti Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica), la carenza dei primi, soprattutto al Centro-Nord, è netta.
Allo stato attuale, il numero e la distribuzione degli Its non sembrano essere adeguati per rispondere alle crescenti esigenze legate all’offerta formativa che emerge nei territori. In determinate regioni, ciò può comportare, per gli studenti, la necessità di trasferirsi, con potenziali sperequazioni sulla base del background familiare. Va poi aggiunto che, se nel caso dei corsi universitari sono previste misure specifiche di diritto allo studio per gli studenti più svantaggiati dal punto di vista economico, agli studenti degli Its sono offerti meri contributi per il sostenimento dei canoni di locazione, su libera iniziativa di ciascuna fondazione, con una potenziale disparità di trattamento nei servizi educativi. Lo stesso problema si propone per i tirocini formativi presso le aziende, che non sempre prevedono un rimborso spese se non nella fase finale in vista del successivo contratto.
Negli Its italiani, nel 2020, sono stati elaborati oltre 260 percorsi afferenti a sei aree tecnologiche. La maggior parte è erogata in Lombardia (21,1 per cento), Veneto (15,3 per cento), Puglia (8,8 per cento) ed Emilia-Romagna (8,4 per cento); fanalino di coda, invece, sono Calabria (1,9 per cento) e Sardegna (1,5 per cento).
Interessante appare l’istituzione del Comitato nazionale Its Academy, volto al coordinamento a livello nazionale delle azioni e delle linee programmatiche di sviluppo degli istituti nel territorio, d’intesa con le regioni, con l’obiettivo di riequilibrare l’offerta formativa. Sarà fondamentale che il riequilibrio risponda sia alle esigenze del tessuto produttivo, sia ai bisogni della componente studentesca in termini di accessibilità al sistema formativo.
Il Comitato nazionale dovrà anche promuovere misure per l’inclusione di genere, che appaiono fondamentali perché le studentesse Its sono il 27,6 per cento, una percentuale addirittura più bassa di quella che si riscontra nel mondo universitario Stem, del 40,1 per cento. Sarebbe opportuno operare anche per offrire maggiori stimoli all’interno del mercato del lavoro, con l’obiettivo di rafforzare le politiche attive sul lavoro: tra i laureati Stem, a cinque anni dal conseguimento del titolo, è occupato il 94,7 per cento degli uomini, contro l’88,6 per cento delle donne.
Finanziamento e governance
Per raggiungere gli obiettivi previsti, la riforma introduce un sistema di accreditamento iniziale e periodico, come condizione per l’accesso al finanziamento pubblico. Almeno il 30 per cento delle risorse statali sarà assegnato su base premiale in riferimento alla percentuale di diplomati e del tasso di occupazione. Fino al 5 per cento della quota premiale sarà attribuito in base alle studentesse iscritte e diplomate. Il finanziamento su quota premiale e sui risultati della valutazione periodica è applicato anche al sistema universitario, dove è arrivato a coprire il 20 per cento. Non vogliamo qui soffermarci sulle criticità nel riparto dei fondi per il finanziamento dell’università, però va considerato che il metodo applicato tende a favorire gli atenei del Nord. Sarebbe bene che la ripartizione dei fondi per gli Its seguisse un destino diverso, pure evitando di incorrere in un sistema distorsivo nella dualità Its-Lp (lauree professionalizzanti).
La riforma si occupa anche della ridefinizione della governance degli istituti e, in vista delle decisioni di sviluppo del pacchetto di istruzione terziaria professionalizzante, prevede il coinvolgimento nella Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) dei presidenti degli Its, che tendenzialmente dovrebbero essere – nel nuovo assetto –espressione del mondo delle imprese. Per la prima volta, il mondo imprenditoriale potrebbe così partecipare a un organismo decisivo nella formazione universitaria. È un punto cruciale, su cui fare molta attenzione a causa dei potenziali risvolti negativi che una scelta del genere potrebbe comportare.
I reali cambiamenti si vedranno attraverso i decreti attuativi che verranno elaborati nel corso dei prossimi mesi. Seguiremo molto attentamente la vicenda.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
L’importante è non destinare anche questi poveri ragazzi al reddito di cittadinanza, ma a cospicue e meritocratiche carriere. L’importante è l’alfabetizzazione, tecnologica, e non solo, del Paese.
Fabrizio Bertorino
Sono stupito nel leggere in tabella il numero di ITS attribuito al Trentino-Alto Adige (zero). Non ho dati per la Provincia di Bolzano, ma per quella di Trento personalmente negli anni ho insegnato in tre differenti corsi. Forse ha ingannato il diverso nome che la Provincia dà ad essi: Alta Formazione Professionale (AFP)?
Cristina Specchi
Caro Fabrizio, grazie per avere condiviso questo dato con noi e con i lettori. Gli istituti di alta formazione professionale sono istituiti legati alle province autonome di Trento e di Bolzano e sono equiparati, in termini di validità nazionale e di effetti, agli ITS, purché nel rispetto degli standard minimi definiti nella normativa relativa agli ITS. Avendo concentrato la nostra attenzione sulla riforma che ha coinvolto gli ITS individuati dal Ministero nonché delle fondazioni oggetto di monitoraggio e studio da parte di INDIRE, abbiamo posto uguale a zero il numero di ITS presenti in Trentino-Alto Adige. La decisione è altresì dovuta al fatto che le suddette provincie provvedono alla finalità della riforma nell’ambito delle proprie competenze attribuite dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, su cui a priori è complesso fare previsioni. Sicuramente l’aggiunta di questo dato può favorire una migliore comprensione del fenomeno alto-atesino, su cui potrebbero essere interessanti specifici approfondimenti.