È vaga la formula “affari correnti” per limitare l’azione di un Governo dimissionario. In pratica, che cosa può fare e cosa no l’esecutivo guidato da Draghi in attesa del nuovo Governo? Solo la prassi costituzionale aiuta a definire meglio questo perimetro.
Avevamo già trattato il tema dei poteri del governo dimissionario ai tempi della crisi del Governo Monti. Vale la pena tornare sul punto oggi, con la crisi del Governo guidato da Mario Draghi, per comprendere se le prassi costituzionali siano confermate, oppure se la straordinarietà del momento consentirà al Governo dimissionario un più ampio ventaglio di poteri.
Riprendendo lo schema di allora, possiamo individuare otto punti da chiarire, considerando che il nuovo Governo non sarà verosimilmente in carica prima del mese di ottobre.
La continuità
Fino a che non verrà nominato il nuovo Governo, rimarrà in carica il Governo Draghi. Lo scioglimento delle Camere, firmato ieri dal Presidente della Repubblica, non tocca la vita del Governo. L’ordinamento, infatti, prevede che il decreto di accettazione delle dimissioni del Governo venga firmato contestualmente al decreto di nomina del nuovo Governo. Vi è, pertanto, continuità: il Paese non resta mai senza un esecutivo in carica.
Dimissioni e “affari correnti”
Ciò chiarito, è necessario domandarsi se un Governo dimissionario (come, oggi, il Governo Draghi) abbia tutti i poteri di un Governo nel pieno del suo mandato, oppure se questi siano limitati.
Quando il presidente Draghi è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni, il Presidente della Repubblica ne ha preso atto, precisando che “Il Governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Così si legge nel comunicato del Quirinale del 21 luglio 2022.
Cosa sono, dunque, gli “affari correnti”? Non ne esiste una definizione normativa, né alcuna norma prevede espressamente che il Governo dimissionario debba limitarsi agli “affari correnti”. L’espressione, dunque, è il frutto di una prassi costituzionale, che si è ripetuta senza significative eccezioni in tutti i comunicati quirinalizi post-dimissioni.
La dottrina
La dottrina costituzionalistica non offre una ricostruzione univoca dei poteri del Governo dimissionario. Alcuni autori offrono una lettura fortemente restrittiva, parlando di “organo straordinario” o di organo “meramente amministrativo”, e non più politico. L’opinione prevalente, tuttavia, è che la natura del Governo non muti e che la restrizione dei poteri derivi dalla prassi e dalla correttezza costituzionale. Come notano alcuni, poi, l’intensità della limitazione varia caso per caso, a seconda che il Governo sia stato espressamente sfiduciato in Parlamento (e che, dunque, sia stato accertato il venir meno di una maggioranza parlamentare), oppure che si sia spontaneamente dimesso.
Un unico limite espresso
Secondo alcuni, il Governo dimissionario non potrebbe chiedere la registrazione con riserva degli atti che la Corte dei conti, in sede di controllo, abbia ritenuto illegittimi. Tale previsione, peraltro dalla portata limitata, è contenuta nel Regio Decreto n. 2441 del 1923, che, essendo anteriore alla Costituzione, è di dubbia legittimità.
Gli autolimiti del governo: l’esempio di Prodi.
Nella vaghezza dei confini sopra descritta, molti Presidenti del consiglio, a partire dagli anni Ottanta (si veda, per esempio, la nota di Fanfani del 5 maggio 1983), hanno ritenuto di perimetrare il significato di “affari correnti”, adottando apposite direttive in occasione delle dimissioni. Un importante precedente è anche la direttiva del presidente Prodi, del 25 gennaio 2008. Nel preambolo si legge che “il Governo rimane impegnato nel disbrigo degli affari correnti, nell’attuazione delle determinazioni già assunte dal Parlamento e nell’adozione degli atti urgenti. Dovrà, in particolare, essere assicurata la continuità dell’azione amministrativa, con particolare riguardo ai problemi dell’occupazione, degli investimenti pubblici ed ai processi di liberalizzazione e di contenimento della spesa pubblica». Limiti, certo, ma tutt’altro che a maglie strette. Ciò è confermato da corpo della direttiva, che consente al Governo l’adozione di atti imposti dal rispetto di vincoli europei, l’effettuazione di nomine “strettamente necessarie”, l’approvazione di decreti legislativi in scadenza e di decreti-legge in casi di urgenza. In effetti il Governo Prodi, pur essendo dimissionario a causa di un voto di sfiducia del Parlamento, dovette occuparsi di questioni politicamente assai delicate: su tutte, la gestione della crisi in Kosovo (con concessione delle basi alla Nato) e l’emergenza rifiuti in Campania.
Le direttive sono vincolanti?
Una curiosità: la magistratura amministrativa si è pronunciata sulla portata vincolante delle direttive in tema di “affari correnti”. Davanti al Tar della Puglia, infatti, è stata contestata la validità di un provvedimento di revoca, adottato dall’allora ministro Pecoraro Scanio, non conforme con le previsioni contenute nella direttiva Prodi. I magistrati amministrativi hanno annullato l’atto di revoca, fondando l’illegittimità proprio sulla violazione della direttiva del Presidente del consiglio e della prassi costituzionale (cfr. Tar Puglia, Bari, sentenza n. 996 del 22 aprile 2008).
La Direttiva di Mario Draghi del 21 luglio 2022
Come si è detto, i Presidenti del Consiglio dimissionari adottano normalmente una direttiva, indirizzata ai Ministri, Vice-Ministri e Sottosegretari del Governo, volta a delineare il significato di “affari correnti”. Così ha fatto anche il Presidente Draghi, nella sera del 21 luglio.
In linea con quanto era lecito attendersi, la direttiva dà alla nozione di “affari correnti” un perimetro molto ampio.
In particolare viene specificato che il Governo può adottare tutti gli atti urgenti, sia legislativi, sia regolamentari, sia amministrativi, che siano “necessari a fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da Covid-19”, nonché quelli funzionali all’adozione “del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnr) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc)”.
Viene, poi, precisato che il Governo continuerà a partecipare alle attività internazionali, compresi i vertici previsti in sede di Unione europea, Onu, Nato, G7 e G20.
In conclusione: cosa cambierà?
La presente crisi di Governo, forse, segnerà un nuovo benchmark nella definizione di “affari correnti”. La situazione contingente, la direttiva del Presidente del Consiglio ed i moniti del Presidente della Repubblica portano infatti a ritenere che il Governo Draghi, seppur dimissionario, avrà un margine di azione molto ampio, forse più di tutti i Governi che lo hanno preceduto.
Con riferimento al Pnrr, in particolare, i vincoli assunti con l’Unione europea imporranno all’esecutivo di proseguire nell’attuazione del Piano.
Tutto questo in presenza di un Parlamento sciolto. Sotto un certo profilo, quindi, il Governo avrà più libertà di azione di prima. Risultato paradossale, per chi, nel dibattito parlamentare di questi giorni, ha agitato in modo del tutto inconferente lo spettro dei “pieni poteri”.
Da adesso in poi, il primo interlocutore del Governo dimissionario sarà il Presidente della Repubblica. In alcuni casi, tuttavia, sarà necessario un passaggio parlamentare per supportare l’attività dell’esecutivo (ad esempio per la conversione di eventuali decreti-legge). E le Camere dovranno riunirsi, anche se sciolte.
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Savino
Anche su questo aspetto urge una riforma costituzionale e regolamentare, che preveda, fino al passaggio di consegna, la possibilità di essere pienamente operativo anche da parte dell’Esecutivo uscente. Secondo me, all’Italia farebbe bene avere un Cancellierato meno vincolato al Parlamento, insieme alla istituzionalizzazione dei partiti/gruppi politici. In tal modo, vi sarebbero Governi più stabili nella durata e si risolverebbero più facilmente le problematiche oggetto del presente articolo.
Laura Cravanzola
Secondo me, un governo dimissionario, a parte occuparsi dei DL in scadenza, dovrebbe essere vincolato a regole costituzionali che prevedano decisioni basate su larghe intese a votazione palese, prive di valenza politica ma solo di merito.