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Spazi di manovra

Le stime del Fondo monetario internazionale sull’aggiustamento del saldo primario strutturale per stabilizzare il rapporto debito/Pil nel 2020 al livello del 2012 mostrano un quadro favorevole per l’Italia. Perché molto è già stato fatto. E allora si aprono spazi per una manovra fiscale anti-ciclica.
L’ITALIA VISTA DALL’FMI
Il dibattito politico è oggi incentrato sulla possibilità di una manovra fiscale espansiva. Di quali misure si comporrà la manovra è per il momento ignoto, ma il Governo sembra intenzionato a partire dall’eliminazione – o sensibile riduzione – dell’imposta sul patrimonio immobiliare (Imu), nella componente sulle prime abitazioni. Non è questa la sede per discutere se l’intervento come prefigurato sia desiderabile o no. Vale invece la pena di puntualizzare – attenendosi all’evidenza dei numeri – se esista uno spazio per un intervento fiscale espansivo e in tal caso tentare di quantificarlo.
Il Fiscal Monitor di aprile 2013, rilasciato dal Fondo monetario internazionale, illustra la recente evoluzione della finanza pubblica italiana in rapporto agli altri paesi industrializzati.

Figura 1. Aggiustamento richiesto del saldo primario strutturale (% del Pil).


Fonte: Fondo monetario internazionale, Fiscal Monitor aprile 2013

 
La figura 1 mostra le stime del Fondo riguardo l’aggiustamento del saldo primario strutturale (ovvero corretto per il ciclo economico) che dovrebbe stabilizzare il rapporto debito/Pil nel 2020 al livello del 2012. La figura riporta la parte di aggiustamento già effettuata (periodo 2011 – 2013) e quella da perseguire nei prossimi sette anni (periodo 2014 – 2020). Per l’Italia l’aggiustamento necessario alla stabilizzazione del debito è pari (nel 2011) al 4,6 per cento del Pil, una misura non distante da quanto necessario in Francia e in Belgio, e notevolmente inferiore rispetto ad altri paesi Ocse: per il Giappone, per esempio, la misura è pari al 15.3 del Pil.
Il punto più interessante è però un altro. In Italia, una gran parte dell’aggiustamento evidenziato dal Fondo è già avvenuta (circa il 72 per cento sarà portato a termine entro la fine del 2013). In altri paesi invece, l’aggiustamento è sostanzialmente rimandato ai prossimi anni.
GLI SCENARI

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 Figura 2. Sensitività dell’aggiustamento a diversi scenari

  Fonte: Fondo monetario internazionale, Fiscal Monitor, aprile 2013

 L’evidenza è dunque quella di un posizionamento relativo italiano piuttosto favorevole rispetto alla media Ocse. Il quadro è addirittura più chiaro considerando la sensitività delle proiezioni a medio-lungo termine. Per ogni paese, la figura 2 mostra l’aggiustamento strutturale primario (in percentuale del Pil) e il saldo primario strutturale (in percentuale del Pil) da mantenere mediamente nel periodo 2013-30 affinché il rapporto debito/Pil nel 2030 sia pari al 60 per cento. Per ogni paese si prendono in considerazione diversi scenari: lo scenario base è rappresentato da indicatori di colore blu, scenari più pessimisti da indicatori rossi e scenari lievemente più ottimisti da indicatori verdi (gli scenari si differenziano per le diverse assunzioni sul differenziale crescita-tassi d’interesse a lungo periodo; per dettagli si veda il Fiscal Monitor).
Sebbene all’Italia sia richiesto un livello di saldo primario strutturale mediamente più alto degli altri Paesi (questo poiché lo stock di debito italiano è più alto che altrove), l’Italia è il Paese meglio posizionato in termini di aggiustamento richiesto. Addirittura, negli scenari più favorevoli (ovvero ipotizzando una crescita lievemente più alta dello scenario base o tassi d’interesse lievemente più bassi), l’aggiustamento richiesto è negativo e pari a circa 2 punti percentuali di prodotto interno lordo.
Riassumendo, l’Italia è meglio posizionata rispetto agli altri paesi Ocse con deficit (o debito) elevato e nel migliore scenario non sembra necessitare di ulteriori manovre correttive. Anzi, sembra esservi uno spazio – stimabile in circa un punto percentuale di Pil – per un’azione anticiclica.

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10 commenti

  1. Libero pensiero

    Buongiorno, grazie per l’analisi. Ciò conferma la serietà del (necessario) sacrificio richiesto agli Italiani. Ma venendo al punto cruciale, come si riparte/ quali sono i ritorni sugli investimenti/margini in Italia? competitività, crescita? occorrerebbe liberalizzare progressivamente tutti i comparti che ancora oggi beneficiano di anacronistiche protezioni, introdurre sistemi (KPIs) di misurazione della performance, con una visione a medio lungo periodo. Bisognerebbe puntare sul digitale, anche come driver per la semplificazine amministrativa/burocratica, un serio ripensamento del sistema di incentivi, ed una seria razionalizzazione della spesa pubblica, per evitare il “ciclico” riprodursi dei soliti noti problemi. Meglio sarebbe parlare di IRAP…cordiali saluti

  2. Gentile Federico,
    Grazie per il suo commento. Il mio intervento – volutamente – non esprime ragioni di merito su come agire per rilanciare la competitivita’ italiana. Vuole solamente sottolineare che – guardando i numeri – vi e’ un margine di manovra fiscale. Pero’ credo che lei abbia ragione sul punto che solleva. Bisogna anche mettere in campo riforme strutturali che agiscano a fondo sulla competitivita’ del Paese. Mi riservo i dettagli magari in un prossimo intervento.
    Cordialmente,
    RT

  3. Piero

    Ma se il pil in Italia sta crollando, i conti non tornano. Con un pil in discesa non vi sono politiche di bilancio da fare se non diminuire le spese, diminuzione che a loro volta faranno scendere di più il pil.
    Si deve agire sulla crescita, occorre la leva monetaria.

    • Gentile Piero,
      Lei ha ragione. Tuttavia, l’analisi e’ condotta in termini ‘strutturali’ quindi e’ gia’ depurata dall’effetto negativo della discesa del PIL.
      In ogni caso concordo con lei che il focus dell’azione politica futura deve rimanere la crescita e le riforme strutturali che servono al Paese.
      A presto,
      RT

  4. Maurizio Cocucci

    Interessante analisi che dimostra come una seria e virtuosa politica di bilancio sia possibile e non una utopia. Occorre tagliare la spesa pubblica e ridurre la pressione fiscale e questo dipende solo dalla volontà politica. Occorre infatti ridurre drasticamente gli sprechi, la corruzione e la collusione politica-affari, oltre che contrastare senza sconti l’evasione fiscale e rivedere il nostro welfare. Anzichè criticare i Paesi che ci suggeriscono (anche se qualcuno preferisce usare il verbo ‘impongono’) una politica di austerity, che non significa ridurre un livello di spesa ma di compensarlo con un equivalente importo di entrate, potremmo invece ‘importare’ molte cose. Dalla Germania potremmo ad esempio copiare il loro sistema federale, dai Paesi scandinavi il loro welfare, dalla Francia l’efficienza dell’apparato pubblico (statale e locale), dalla Gran Bretagna la loro alta disciplina morale.
    E’ inutile cercare la scorciatoia di una politica monetaria espansiva che servirebbe solo a foraggiare questo sistema malato che ci costa oltre metà del PIL (intendo il PIL reale, non quello rettificato con la stima dell’evasione fiscale) e in cambio non ci restituisce adeguati servizi.

    • Gentile Maurizio,
      Sottoscrivo a pieno ogni riga del suo commento. Credo sia esattamente come dice lei. Mi auguro che questo possa essere il cammino.
      A presto,
      RT

    • Piero

      La principale evasione italiana e’ relativa al l’imposta sul valore aggiunto, per il resto e’ in linea con l’Europa.
      Per quanto concerne l’iva, l’evasione si riferisce al salto dell’Iva sulle importazioni che principalmente provengono dalla Germania, oggi stiamo,ancora nel regime transitorio, la tassazione avviene nel paese di destinazione, al contrario se si adottasse il regime definitivo, ossia la tassazione nel paese di origine, l’evasione che si crea a causa di tale meccanismo scompare immediatamente, ma non so se la Germania esporta in Italia gli stessi ammontari di beni.
      In effetti e’ la Germania che si oppone al passaggio del regime definitivo della tassazione nel paese di origine, accampa la scusa che con tale regime gli stati si dovrebbero scambiare l’iva riscossa nel loro stato che non è di loro competenza, la Germania afferma che il passaggio e’ ancora prematuro ( non si fida degli altri stati).

  5. Piero

    Oggi leggo la notizia che la Fed acquisterà massicciamente i titoli di stato italiani e spagnoli, al fine di ridurre lo spreed, sicuramente e’ un fine nobile, a mio avviso la verità e che tali titoli come investimento finanziario sono i titoli più sicuri e più redditizi, acquistare in modo massiccio i titoli dei paesi Italia e Spagna farà crescere il loro valore con laute plusvalenze per chi procede all’acquisto, anche la Bce nel 2012 ha chiuso il bilancio in utile con le plusvalenze dei titoli spagnoli e italiani acquistati da Trichet con il profana Smp.
    Gli americani, ancora una volta ci liberano dall’attacco dei tedeschi, oggi fatto con strumenti economici, le guerre oggi si combattono solo con la supremazia economica,il più forte comanda.

    • Maurizio Cocucci

      Al momento è solo una affermazione fatta tempo fa e qualche volta ribadita da Ben Bernanke, che ha dichiarato che la Fed ‘potrebbe’ acquistare titoli del debito pubblico dei Paesi europei in difficoltà, in primis appunto quelli di Spagna e Italia. Ma non credo sia per altruismo. Vi sono alcuni ragionevoli motivi che rimanderebbero a precise strategie di interesse per gli USA, tra cui il fatto che a loro serve una Europa in crescita e non in recessione. Poi c’è il fatto che gli USA sono alle prese con una bilancia commerciale costantemente in passivo e acquistare titoli europei significa tenere alto il valore dell’euro e questo è utile per ridurre appunto il disavanzo. Dal punto di vista tecnico loro acquisterebbero sul mercato primario i titoli, pagandoli in euro acquistati dalla BCE (verosimilmente con contratti swap). Loro lo possono fare perchè alla BCE non è concesso dai trattati l’acquisto sul mercato primario dei titoli del debito pubblico degli Stati, però va anche detto che sarebbe comunque una operazione che non causerebbe inflazione in quanto la BCE controllerebbe in ogni caso la base monetaria. Insomma la Fed si comporterebbe come qualsiasi altro investitore istituzionale. Diverso è se lo facesse la BCE, alla quale però va anche dato atto che quando ce n’era bisogno ha provveduto ad acquistare sul mercato secondario titoli di Stato per oltre 200mld di euro, di cui la metà italiani.

      • Proprio questo e il problema la Bce impedisce ottusamente l’aumento della base monetaria, sterilizza tutti gli interventi espansivi, l’intervento sul secondario dei 200 mld fatti nel 2011 da Trichet sono stati rinnegati da Draghi, l’ultimo al contrario di Trivhet si è appiattiti sulla linea tedesca in modo del tutto sfacciato.
        Siamo già arrivati alla resa dei conti, l’Itala in difficoltà già ha versato al fondo salva stati circa 40 mld, per fare cosa? Dare i soldi alle banche spagnole, ritengo che lla fine conviene anche a noi chiedere l’intervento, tanto i compitini dobbiamo farli lo stesso, l meno i soldi che versiamo ritornano in Italia, in alternativa c’è l’uscita dall’euro.
        Chi dice il contrario deve dire cosa fare con i numeri e non con le teorie.

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