Il primo Codice europeo contro la disinformazione del 2018 aveva come nozione fondante la metafora di internet quale nuovo mercato delle idee, importata dagli Stati Uniti. Trasportata in un sistema valoriale diverso, non poteva che fallire.

La metafora importata

Tomàs allora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa. Con le metafore è meglio non scherzare”. Cosa c’entri la sottovalutazione del linguaggio metaforico da parte del protagonista del romanzo più conosciuto di Milan Kundera con il nuovo (o meglio rafforzato) Codice di condotta europeo contro la disinformazione, che ho consegnato il 16 giugno scorso alla vice-presidente della Commissione europea Vera Jourova, nella mia qualità di coordinatore indipendente dell’esercizio di scrittura da parte dei 34 firmatari, è una domanda più che ragionevole.

Per provare a dare una risposta (che sarà articolata in due articoli autonomi) se non convincente, quanto meno plausibile, bisogna iniziare ricordando che con la pubblicazione, nel 1980, del volume Metaphors We Live by, George Lakoff e Mark Johnson osservavano non solo che la metafora ha un ruolo costitutivo nel linguaggio, anche giuridico, ma anche che ogni metafora avrebbe un «campo d’origine» («a source domain»), un «campo di destinazione» («a target domain»).

La premessa è necessaria perché il Codice di condotta contro la disinformazione costituisce una reazione a un errato esercizio di traslazione o importazione di una delle più famose metafore del costituzionalismo statunitense – free market place of ideas – da parte dell’Unione europea, nel 2018, quando ha deciso di adottare la prima strategia contro la disinformazione a livello continentale e dunque un primo codice di condotta, nello stesso anno. Opinione prevalente, del gruppo di lavoro di allora, di cui chi scrive faceva parte e a quella scelta si oppose, fu proprio quella di importare in Europa, dall’humus del costituzionalismo statunitense, in cui era nata e cresciuta, la metafora di internet quale nuovo mercato delle idee.

Facciamo un passo indietro. La metafora del free market place of ideas era stata usata per la prima volta nel 1919 in una dissenting opinion del giudice Oliver Wendell Holmes a una decisione della Corte Suprema e sottintendeva il fatto che, nella competizione in un libero mercato delle idee, anche le peggiori (e quindi anche quelle false) potessero avere cittadinanza, nella certezza che le migliori (e in fondo, la verità) avrebbero comunque prevalso. Fin dal 1997 (sentenza Reno vs. American Civil Liberties Union), la Corte Suprema ha utilizzato la metafora del libero mercato delle idee per definire internet un new free market of ideas. Quindi una fiducia cieca nella capacità autocorrettiva del “mercato” a fare emergere, attraverso una free competition di idee e opinioni (anche quelle false), la verità, o comunque a isolare la disinformazione senza la necessità di alcun intervento che prevedesse il coinvolgimento di istituzioni pubbliche.

Leggi anche:  Sulle telecomunicazioni il Rapporto Draghi ha luci e ombre

La metafora fa propria, dunque, una visione fortemente radicata nel costituzionalismo americano, fondata sulla capacità autocorrettiva del “mercato delle idee” e che si basa sul predominio assiologico del Primo emendamento, fiducia nello strumento tecnologico come “amplificatore” delle libertà preesistenti, grande rilevanza di profilo attivo, con riguardo alla libertà di espressione, di chi diffonde il proprio pensiero. 

In Europa, al contrario, visto il sistema valoriale assai differente sia per quanto riguarda il ruolo giocato “alla pari” dalla libertà di espressione con le altre libertà fondamentali, sia con riferimento al concetto di abuso del diritto (sconosciuto al costituzionalismo statunitense) e all’attenzione al profilo passivo del diritto a essere informato se non in modo veritiero, quanto meno verificabile, un’importazione dell’idea di internet quale new free marketplace of ideas nelle vesti di bussola di orientamento per (non regolare) il fenomeno della disinformazione non poteva che comportare (e portare a) una crisi di rigetto.

Una questione di contesto

La crisi è dovuta anche a un errato esercizio di trasferimento o traslazione dei campi di esperienza che abbiamo visto caratterizzare, anche etimologicamente, il concetto di metafora. Si è visto infatti che il concetto ha due elementi costitutivi, il campo di provenienza e il campo di destinazione. Nel nostro caso, evidentemente, il campo di provenienza della metafora importata del libero mercato delle idee è quello relativo al libero gioco di mercato tipico del diritto alla concorrenza; quello di destinazione fa invece riferimento al pluralismo di idee che dovrebbe caratterizzare lo spazio e il discorso pubblico, nel mondo analogico e in quello digitale. Ebbene, è evidente che affinché l’importazione di una metafora possa funzionare, gli elementi costitutivi dei due campi rilevanti non possono essere stravolti.

Nel caso dell’importazione europea della metafora, invece, si ha un netto stravolgimento del campo di provenienza (il source domain), tra i periodi in cui la metafora è elaborata per la prima volta da Holmes nel 1919 e poi ripresa dalla Corte Suprema nel 1997 e quello in cui, assai dopo, nel 2018, è stata presa in prestito dalla Commissione europea nella sua prima strategia e nel suo primo Codice di condotta contro la disinformazione. Quando Holmes scriveva la sua dissenting opinion, il contesto statunitense era caratterizzato da un periodo lassez faire, a forte traino liberale, in cui effettivamente vi erano tutte le caratteristiche, quanto al campo di provenienza della metafora, di un mercato libero e concorrenziale. Così come, quando nella traslazione dal mondo degli atomi a quello dei bit la Corte Suprema riprendeva la metafora definendo, a fine anni Novanta, internet il new market place of ideas, faceva effettivamente riferimento al momento fondativo per la nascita e lo sviluppo del cyberspazio, un “mercato” a quei tempi davvero libero, che aveva fatto illudere i pionieri del web che potesse davvero essere indipendente dal mondo reale. Al contrario, quando nel 2018 la metafora è importata forzatamente dalla Commissione europea nel Vecchio Continente al fine di elaborare la prima strategia europea contro la disinformazione, l’assetto economico (campo di provenienza della metafora) che caratterizzava (e tutt’ora caratterizza) il web era – ed è – tutt’altro che libero, per via dell’emersione e del consolidamento dei poteri privati.

Leggi anche:  Francesco Daveri, un amico che non si dimentica

Nel prossimo articolo analizzeremo come tale importazione forzata abbia portato a una crisi di rigetto, a un parziale fallimento del primo Codice del 2018 e alla necessità di elaborarne uno nuovo, che è stato appunto presentato il 16 giugno scorso alla Commissione.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Italia al bivio: intervista a Romano Prodi*