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Il ruolo della credibilità nella risposta della Bank of England alla crisi

Le recenti vicende economiche britanniche evidenziano l’importanza della credibilità delle istituzioni per i mercati. Una prima lezione da trarne riguarda l’importanza dell’indipendenza della banca centrale.

Le recenti vicende della sterlina

Per i mercati, si sa, la credibilità è tutto. È la variabile chiave cui essi guardano per decidere quanti margini di manovra concedere alle politiche economiche di quei Paesi che presso di loro collocano quantità importanti di debito pubblico. Le recenti vicende della sterlina ne sono una dimostrazione. A leggerle attentamente, esse offrono utili lezioni per ogni governo interessato a una buona conduzione delle proprie finanze, in primo luogo riguardo all’importanza dell’indipendenza della banca centrale.

Ripercorriamo brevemente i fatti. Il nuovo Governo britannico, guidato da Liz Truss, dà pubblico annuncio di una manovra fiscale incentrata sul taglio delle tasse alle fasce di reddito più alte e sul congelamento dei prezzi dell’energia; manovra che costa all’incirca 60 miliardi di sterline da finanziare in deficit. I mercati la bocciano, e non perché di colpo si scoprono sensibili ai problemi della disuguaglianza sociale, ma perché ritengono che il pacchetto di misure espansive, nell’attuale contesto inflazionistico, costituisca la premessa per una politica fiscale non in linea con l’obiettivo di sostenibilità del bilancio. Ne seguono una svendita dei titoli di stato e una crisi valutaria che la Banca d’Inghilterra affronta stampando sterline, acquistando i titoli, stabilizzandone i prezzi, e consentendo il recupero della sterlina.   

Quello che è particolarmente interessante di questa storia è che il crollo di credibilità che ha investito il Governo di Sua Maestà non ha invece intaccato la “Vecchia Signora”, il cui intervento a salvaguardia della valuta nazionale è risultato efficace. È stata la credibilità riconosciuta alla Banca d’Inghilterra a togliere le castagne dal fuoco, grazie al grado d’indipendenza che separa la Banca d’Inghilterra dal Governo. I mercati, infatti, non hanno dubitato che, compiuto l’intervento di salvataggio, la Banca sarebbe tornata a tener fede al suo impegno antinflazionistico di medio termine. È stato molto chiaro in tal senso il segnale del Governatore Andrew Bailey, che ha dichiarato che il Monetary Policy Committee alla successiva seduta di novembre non avrebbe “esitato a variare i tassi d’interesse nella misura necessaria per tornare sostenibilmente all’obiettivo d’inflazione di medio termine del 2 per cento. E non soltanto alcuni operatori gli hanno creduto; altri ritengono che l’aumento dei tassi possa essere anticipato. 

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La credibilità è tutto

Riconoscendo la credibilità della Banca, i mercati le hanno consentito di intervenire evitando che l’iniezione di nuova moneta causasse ulteriore svalutazione e, anzi, invertendone la tendenza. Così i mercati hanno sfiduciato il Governo e il suo debito, ma hanno dato fiducia alla Banca d’Inghilterra e la moneta da lei emessa (d’altra parte, perché mai accettare quest’ultima se ne avessero atteso un deprezzamento?). Si è quindi trattato di un vero e proprio decoupling, che solo l’indipendenza della banca centrale ha permesso, preservandone la credibilità. Certo, la banca centrale non ha potuto evitare la crisi; né, da sola, essa potrebbe alla lunga supplire a un quadro di policy giudicato insostenibile. Ma ciò non invalida, anzi conferma, l’esigenza di istituzioni credibili e indipendenti, soprattutto quando si naviga su mercati aperti.    

Per comprendere sino in fondo i benefici della credibilità e dell’indipendenza della banca centrale, consideriamo due contro-scenari alternativi. Supponiamo, dapprima, che la Banca d’Inghilterra non godesse della credibilità riconosciutale. In tal caso, la scelta di stampare sterline per acquistare titoli di stato (soprattutto a fronte delle elevate aspettative d’inflazione) avrebbe peggiorato il valore della sterlina, possibilmente innescando una spirale “svalutazione-inflazione-svalutazione” che prima o poi avrebbe reso inevitabili delle correzioni di policy in senso restrittivo. E le correzioni sarebbero state tanto più restrittive quanto meno credibili fossero ritenuti Governo e Banca.   

Supponiamo poi che, pure in assenza d’inflazione, il Governo decidesse di perseguire il suo programma di variazione strutturale del bilancio e che la Banca fosse obbligata a monetizzare permanentemente la relativa spesa in deficit (come auspicano avvenga di norma i simpatizzanti della finanza funzionale). Seppure, in prima battuta, l’inflazione avrebbe potuto anche non risentirne, la crescita attesa indefinita dello stock di moneta avrebbe indotto un aumento della speculazione sugli asset finanziari e sulla sterlina, che avrebbe provocato deprezzamento valutario e maggiore inflazione importata. Anzi, scontando tali conseguenze, i mercati ne avrebbero accelerato il decorso. Questa volta la loro sfiducia si sarebbe rivolta egualmente a Governo e Banca.  

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Lezioni di policy

I governi di altri Paesi – soprattutto quelli che si sono consegnati ai mercati con grandi emissioni di debito e quelli che programmano di farlo – traggano utili insegnamenti circa il perimetro di azione disponibile per le loro scelte di politica economica, e cioè lo spazio oltre il quale le politiche divengono inefficaci e possono anche retroagire negativamente sugli obiettivi prefissati.

Quello spazio è endogeno ai mercati: quanto meno credibili essi giudicano (a torto o a ragione) le politiche economiche di un Paese, tanto più stretto risulta lo spazio entro cui le vincolano. Si può discutere se ciò sia giusto o ingiusto, ma con mercati così grandi e forti, questa è la realtà con cui i governi devono fare i conti.

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  1. Andrea Terzi

    Questa narrativa travisa i fatti.
    Il pasticcio comincia proprio a casa della Bank of England che annuncia a metà settembre che oltre ad alzare i tassi comincerà a vendere il portafoglio titoli del QE, salvo poi affermare che il QT non ha fini di politica monetaria, salvo poi annunciare che torna ad acquistare per salvare alcuni operatori troppo esposti, salvo poi sospendere gli acquisti (e licenziare il Cancelliere), salvo poi rivedere il piano di vendita annunciando che quando venderà i titoli non venderà più quelli a lunga scadenza…
    Inoltre, come chi lavora sui mercati finanziari può confermare, la crisi dei gilts origina da aspetti strutturali del mercato UK a cominciare dalla leva finanziaria dei gestori di Liability-Driven Investment.
    Altro che Bank of England credibile e mercati guardiani della sostenibilità!

    • Biagio Bossone

      Il cercare di comprendere come funziona una realtà non implica necessariamente che chi lo faccia consideri quella realtà come giusta o desiderabile. I mercati hanno criteri per giudicare la credibilità di un’istituzione o di un paese. E, giusti o sbagliati che questi criteri siano, chi si affida ai mercati (come fanno governi e operatori che presso di loro collocano ingenti quantità di debito) viene giudicato in base a quei criteri e con essi si deve misurare.
      In tal senso, l’indipendenza della banca centrale diventa un valore imprescindibile. Proprio “chi lavora sui mercati finanziari” tutto ciò la sa benissimo e sa anche quanto condizionante sia la forza dei mercati: che piaccia o no, essi definiscono il perimetro dello spazio di policy disponibile ai governi che a loro consegnano i propri destini.
      La crisi delle gilts deriva da un pacchetto di policy giudicato (a torto o a ragione) “non credibile” dai mercati internazionali dei capitali e solo la credibilità della BoE (sempre agli occhi dei mercati) ha parzialmente risolto il momento difficile.
      E’ un fatto che la forza dei mercati sia riuscita persino a far cadere il premier di un governo di un paese peraltro nient’affatto trascurabile…
      Altra cosa è poi concludere che mercati così forti siano una buona cosa.
      Personalmente, credo di no, ma questo lascia il tempo che trova quando ai mercati ci si è affidati “mani e piedi”. A quel punto, con le loro regole si è costretti a giocare.

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