Il Regno Unito ha il secondo primo ministro in meno di due mesi. Per arrivare alla nomina di Sunak il partito conservatore ha modificato le regole elettorali interne. Difficilmente però riuscirà a evitare una sconfitta alle prossime elezioni.
BoJo non si ricandida
A volte ritornano. Ma Boris Johnson, spesso definito “pagliaccio” dagli avversari e tuttavia ancora assetato di potere, non è un personaggio di Stephen King e invano ha interrotto la vacanza ai Caraibi con la famiglia attuale, per il meritato riposo dopo tutte le fatiche che lo avevano costretto a festa dopo festa a Downing Street. Un buon numero di deputati tory hanno dichiarato pubblicamente che si sarebbero dimessi dal partito e chiesto l’ammissione al gruppo parlamentare laburista per convincerlo che non avrebbe avuto possibilità di ottenere la fiducia dei colleghi per tornare al numero 10.
La mera idea che molti influenti leader del partito abbiano apertamente espresso l’intenzione di re-installare Boris Johnson al governo è un indice della profonda turpitudine morale in cui sono discesi i tory. La scelta di Rishi Sunak come nuovo leader, senza che nessuno lo abbia potuto votare – né i deputati, né i membri del partito, né tantomeno gli elettori – è avvenuta perché un gruppo di deputati influenti si è convinto che sia l’unica persona in parlamento con un pizzico di competenza e non intenzionato a lanciarsi in folli scommesse ideologiche con l’economia dell’intero paese, in nome di mal compreso liberismo.
Due settimane in cui i sondaggi prevedevano una disfatta di dimensioni canadesi sono bastati ai già poco convinti deputati tory per sbarazzarsi di Liz Truss, facendomi così perdere le cinque sterline che avevo scommesso con un collega. I lettori sanno che le mie capacità predittive sono scarse, ma davvero non pensavo, con aspettative così basse come quelle con cui ha iniziato il suo mandato, che avrebbe potuto fare peggio. E, invece, ecco la sterlina in caduta libera, lo spread alle stelle, i fondi pensione sull’orlo del baratro. E pensare che il mini-budget era piaciuto tanto. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato così deleterio? Il fatto che Sunak lo avesse previsto e dichiarato in un dibattito trasmesso in diretta dalla Bbc ha probabilmente convinto abbastanza deputati, e soprattutto quelli in posizioni chiave per indirizzare la scelta del leader, che era la sola possibilità, se non di vincere le prossime elezioni, almeno di evitare un tracollo elettorale peggiore di quello sofferto da John Major nel 1997.
I motivi della scelta di Sunak
Ma come si è giunti a un primo ministro che non vincerebbe un’elezione diretta contro ogni rivale né nel gruppo parlamentare, dove ci sono troppi rappresentanti della destra sovranista, né tra i membri del partito, che senza dubbio voterebbero per Boris Johnson appena gliene venisse data la possibilità? Per usare termini tecnici, come si è riusciti a imporre Rishi Sunak, che non è un Condorcet winner? La scelta di Sunak come leader offre una profonda lezione agli studiosi di scienze politiche, e per comprenderla bisogna andare indietro di un secolo esatto.
Nel 1922, i tory misero fine alla coalizione con i liberali di Lloyd George, e così si trasformarono in uno più efficaci partiti dell’intera storia mondiale della democrazia, che ha occupato il numero 10 di Downing Street per circa due terzi del secolo da allora trascorso, con 15 primi ministri (di cui cinque negli ultimi sei anni).
Oggi, un’istintiva, quasi inconscia, capacità di bilanciare le necessità, da un lato, di mantenere almeno una parvenza di legittimità costituzionale, dall’altro di togliere il partito dalle grinfie di Johnson ed evitare il destino dei repubblicani negli Stati Uniti, ancora prigionieri della popolarità di Donald Trump tra la base elettorale, ha giustificato il cambiamento delle regole elettorali interne con la scusa di non voler imporre al paese una lunga pausa governativa vista la situazione di crisi, dimenticandosi di averlo fatto senza remore appena due mesi prima. Il comitato del 1922, il cui nome deriva appunto da quell’anno chiave, ha così aumentato da 30 a 100 il numero di deputati che devono appoggiare una candidatura per renderla valida. La soglia alta rispondeva a due necessità: garantire a Sunak la nomina a leader e al tempo stesso impedire a chiunque altro di raggiungerla, date le corrette aspettative che l’ego di Johnson l’avrebbe costretto a mettersi in corsa e che un certo numero di deputati avrebbero sostenuto Penny Mordaunt come candidato della destra anti-Johnson (entrambi sono arrivati a circa 90 nomine), evitando che i membri del partito potessero esprimere la loro scelta ed eleggessero di nuovo un leader improponibile all’elettorato.
E così, dopo soli 50 giorni, abbiamo visto un altro trasloco al numero 10. Sunak, è il primo prime minister di origine asiatica, nato a Southampton 42 anni fa da una coppia di professionisti indù, i cui nonni si trasferirono dal nativo Punjab in Africa orientale nella prima metà del secolo scorso. Ha studiato al Winchester college, una delle più antiche ed esclusive scuole private del Regno, e poi PPE a Oxford, dove era al Lincoln College, per poi trasferirsi a Stanford, dove oltre a conseguire un MBA, ha anche incontrato la moglie, la cui ricchezza famigliare gli consente di essere il deputato più ricco, con circa 800 milioni di euro di patrimonio.
Il suo inizio non è stato privo di polemiche. L’opposizione ha chiesto un’indagine parlamentare sulla sua decisione di riportare al ministero dell’Interno Suella Braverman, fanaticamente contraria a ogni forma di immigrazione, solo sei giorni dopo che era stata licenziata dalla stessa posizione per aver inviato dall’e-mail personale materiale confidenziale, violando il codice di condotta ministeriale. L’opposizione, che domanda elezioni anticipate, non mancherà certo di enfatizzare le posizioni di Sunak nel suo ruolo di ministro dell’Economia, criticate aspramente anche dall’Economist: dal vantarsi di aver cambiato la formula per distribuire fondi pubblici alle regioni in modo da spostare risorse dalle zone povere a quelle ricche, dall’aver portato il debito pubblico alla più alta percentuale del Pil del dopoguerra, dall’aver permesso all’inflazione di crescere a livelli mai visti in questo secolo, fino alla strampalata idea di incentivare il pubblico a mangiar fuori durante il picco della pandemia, che, lungi dal salvare bar e ristoranti, ha contribuito nell’estate del 2020 alla diffusione del Covid in una popolazione largamente non-vaccinata. Il terrorizzato divieto di nominare la Brexit imposto da Keir Starmer ai suoi colleghi laburisti lascerà ai lib-dem il compito di ricordare agli elettori l’appoggio che Sunak ha dato alla decisione di lasciare la Ue, i cui costi diventano sempre più evidenti a una parte sempre crescente della popolazione.
Insomma, le prossime elezioni dovranno tenersi entro la fine del 2024, e ostinandomi a far previsioni nonostante la mia provata capacità di sbagliarle, dubito davvero che i tory riusciranno a raggiungere la soglia di 326 deputati necessari per la maggioranza assoluta a Westminster.
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