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Lost in translation: voti più bassi quando si studia in una lingua straniera

Studiare in una lingua straniera è sempre più comune, soprattutto all’università. Ma ha un costo significativo in termini di voti, come dimostra uno studio. Le politiche educative dovrebbero tenerne conto, almeno quando si tratta di borse di studio.

Sempre più studenti studiano in una lingua straniera

Molti studenti intraprendono almeno una parte della loro formazione in una lingua che non è la loro lingua madre. È particolarmente vero per l’università. Paesi linguisticamente non omogenei – si pensi all’India – possono utilizzare, per l’istruzione terziaria, una lingua che non è quella madre per la maggior parte della popolazione. Anche la mobilità internazionale è oggi elevata: nel corso dell’ultimo anno accademico pre-Covid, il 2018-2019, sono partiti in Erasmus più di 45 mila studenti italiani. Se si aggiunge l’effetto della migrazione internazionale e la crescente tendenza in molti paesi a offrire corsi in inglese – a volte non senza qualche polemica -, la rilevanza del fenomeno diventa evidente.

Studiare le conseguenze è difficile

Qual è l’impatto sul rendimento degli studenti? Sembra ragionevole ipotizzare che lo studio in una lingua straniera comporti uno sforzo cognitivo che lo rende più difficile. Detto questo, non è facile dare una risposta credibile alla domanda. Si pensi a un confronto tra studenti locali e studenti internazionali che frequentano lo stesso corso di laurea in Inghilterra. Dati, ad esempio, i notevoli costi legati al trasferimento all’estero, è possibile che lo studente internazionale medio sia più motivato o più capace di quello locale medio. Le competenze e la motivazione sono notoriamente difficili da misurare, per cui un confronto di questo tipo risulterebbe errato. È infatti possibile che gli studenti stranieri ottengano risultati migliori negli esami rispetto agli studenti locali. Ciò non implica affatto che studiare in inglese sia più facile per gli studenti cinesi che per quelli britannici, ma semplicemente che, oltre alla lingua madre, ci sono altre differenze di partenza tra i due gruppi che non si riescono a misurare correttamente. 

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L’esperienza trilingue di Bolzano

Come risolvere il problema? In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Labour Economics (in Open Access) abbiamo sfruttato alcune caratteristiche peculiari della Libera Università di Bolzano, in Alto Adige-Südtirol. La maggior parte degli studenti che la frequentano ha come lingua madre l’italiano o il tedesco. Oltre agli studenti locali, molti provengono dal resto d’Italia o da paesi come la Germania o l’Austria. La maggior parte dei corsi di laurea dell’università sono trilingui, il che significa che gli studenti seguono corsi (e sostengono i relativi esami) in italiano, in tedesco e in inglese. Uno studente che frequenti una laurea in economia, per esempio, può studiare “Introduzione al management” in inglese, “Macroeconomia” in tedesco e “Microeconomia” in italiano, e ogni corso è offerto in una sola lingua. In questo contesto, possiamo osservare studenti di madrelingua italiana o tedesca che sono iscritti allo stesso corso di laurea e, dunque, frequentano gli stessi corsi, alcuni dei quali sono tenuti nella loro lingua madre, mentre altri sono tenuti in una lingua diversa che, in alcuni casi, è la lingua madre dei loro compagni, mentre in altri casi non lo è. Possiamo quindi verificare se la (mancata) corrispondenza tra lingua madre e lingua di insegnamento influisce sul rendimento, misurato dai voti negli esami.

Voti molto più bassi

Quello che troviamo è che la penalizzazione è piuttosto consistente: una perdita di circa il 9,5 per cento in termini di voto d’esame quando non si è madrelingua. La perdita si attenua, ma non scompare, anche quando c’è una competenza molto elevata, corrispondente a C1 o C2 nel quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Vediamo anche che la probabilità di non superare un esame è più alta quando c’è un disallineamento linguistico. Quindi, quando affrontano un corso che non è nella loro lingua madre, gli studenti hanno maggiori probabilità di non superare l’esame e, quando riescono a superarlo, il loro voto finale è considerevolmente più basso di quanto sarebbe stato altrimenti.

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Ci sono altri vantaggi, ma servirebbe adattare le politiche

Ciò non significa che studiare in una lingua straniera sia una cattiva idea. L’istruzione è – anche – un investimento, con costi iniziali (come tasse o affitto) e ritorni differiti (come maggiori opportunità nel mercato del lavoro e migliore salute). Lo studio in una lingua straniera dovrebbe essere considerato allo stesso modo: è più impegnativo, ma comporta anche ricompense più alte. Ad esempio, in termini di orizzonti personali e professionali più ampi. Quanto meno, chi è disposto a studiare in una lingua diversa dalla propria dimostra ai futuri datori di lavoro di non temere le sfide. D’altra parte, potrebbe essere sensato pensare a modi per tenere più conto della penalizzazione che documentiamo. Se, ad esempio, ottenere una borsa di studio dipende dai voti negli esami, gli studenti non madrelingua potrebbero essere penalizzati e, vista la crescente mobilità, questi problemi potrebbero diventare sempre più rilevanti.

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  1. Articolo molto interessante, forse perché solleva più domande delle risposte che mira a fornire. Per esempio, la penalizzazione di un (rappresentativo) madrelingua IT quando sostiene un esame in EN è simile a quella patita quando sostiene un esame in DE? (non mi meraviglierebbe che la seconda fosse più alta della prima). Come sostengono gli autori alla fine dell’articolo: è una vera penalizzazione quella dei voti? Se un sistema viva e perdura nella logica della “media dei voti”, forse sì; ma se vale, come sembra valere, la capacità di sostenere prove in diverse lingue (capacità di adattamento a learning environment eterogenei), migliori soft skills, esperienza ecc. allora una riduzione della media finale sembra essere il prezzo di un investimento “razionale” in capitale umano di migliore qualità rispetto ad esempio al conseguimento di una laurea nella propria madrelingua, magari in un corso di laurea online…Grazie.

    • Mirco Tonin

      Grazie mille del commento. Si, ci sono delle asimmetrie. Nell’articolo su rivista [ https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0927537122001099 ] scriviamo “We find that for German native speakers who take an exam in Italian, only those with lower proficiency in Italian get a lower grade compared to the exams in their mother tongue German. Conversely, Italian natives have a strong disadvantage in terms of grades for exams in German, with no significant difference between proficiency levels” e “German natives who are proficient in English appear to do somehow better compared to their performance in German exams. Italians experience a negative effect on grades when taking exams in English, but this is true only for low proficiency levels.” Tuttavia “German speakers are more prone to failure in exams in both Italian and English compared to exams in their mother tongue. On the other hand, native Italian speakers fail more often only in English, whereas they fail somewhat less in exams in German.”

      Pienamente d’accordo sulle conclusioni.

  2. Manzotin

    Da quando sto valutando l’idea di iscrivermi all’università (ho un già un lavoro e non sono più un ragazzino) sono molto propenso ad iscrivermi ad un corso di laurea completamente in inglese, anche perché ce ne sono un paio in particolare che hanno dei piani di studio che mi piacciono molto indipendentemente dalla lingua di insegnamento. Una delle motivazioni è ovviamente sfruttare il percorso di studi per il miglioramento della lingua, ma anche il voler affrontare una sfida più difficile per migliorarsi.
    Il problema dal mio punto di vista non è tanto se la vale la pena rischiare di fare qualcosa di troppo di difficile (scelta per forza personale), ma la preoccupazione che la difficoltà della lingua possa portare ad una preparazione più approssimativa, meno solida e meno approfondita nelle materie affrontate, cosa molto probabile ed in linea i voti più bassi riportati nello studio.
    Si potrebbe obiettare ipotizzando che i voti più bassi non riflettano una preparazione peggiore, ma solo una prestazione peggiore all’esame, ma è difficile se non impossibile da dimostrare, e il dubbio che rimane è che frequentare un corso di laurea in lingua straniera, nonostante sia formativo per la crescita personale generale, si possa scontrare col compromesso di dover accettare di avere una preparazione inferiore nelle materie affrontate (che per l’università dovrebbe essere l’obiettivo primario), compromesso difficile da valutare per fare delle scelte chiare.

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