Buona parte del mondo politico si dice pronta a ridare ossigeno alle vecchie province. Sarebbero necessarie per colmare il vuoto istituzionale che si è creato dopo il loro depotenziamento dovuto alla riforma del 2015. Ma come eleggere i rappresentanti?
Elettività e democraticità
Il dibattito nato a seguito della volontà, espressa da alcune forze politiche, di riesumare il sistema di governo intermedio precedente alla legge di riforma Delrio del 2015 comporta, inevitabilmente, anche una specifica riflessione sulla opportunità e necessità di assicurare ai (contro) riformati enti di “area vasta” un governo direttamente eletto dai cittadini.
La base di partenza ci viene fornita dalla recente constatazione di principio della Consulta, nel momento in cui viene affermata la “conseguente e perdurante operatività delle province e l’attribuzione a esse di determinate funzioni fondamentali non di mero coordinamento” (sentenza n. 240/2021).
In via preliminare, occorre verificare se la connotazione di ente autonomo e territoriale di governo implica per ciò stesso che le tre istituzioni locali dotate di copertura costituzionale (comuni, province e città metropolitane) debbano necessariamente essere regolate in maniera identica, anche per quanto attiene al meccanismo di elezione dei componenti degli organi di governo. La natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’articolo 114 della Costituzione, come “costitutivi della Repubblica”, e il carattere autonomistico a essi impresso dall’articolo 5 non implicano l’automatica indispensabilità che gli organi di governo di questi enti siano direttamente eletti. L’assenza di un principio cogente circa la modalità di elezione, legittima il legislatore a optare tra il metodo diretto e quello indiretto.
Né appare necessariamente correlata al sistema rappresentativo, che si esprime anche nella partecipazione popolare nei diversi enti regionali e locali, l’equazione “elettività-democraticità” ed “elettività-autonomia”, quale corollario del più ampio concetto di “sovranità popolare”. La Consulta ha già avuto occasione di affermare che la “sovranità popolare”, richiamata dal 2° comma dell’articolo 1 della Costituzione, non può essere confusa con le volontà espresse nei numerosi “luoghi della politica”, né si può ridurre la “sovranità popolare” alla mera “espressione del circuito democratico” (sentenza n. 365/2007).
L’elettività, pertanto, costituisce solo un modo per conferire la titolarità di un ufficio, e non coincide con il principio costituzionale di “autonomia locale”. Nel quadro costituzionale, quest’ultima si pone come complesso di istituti atti a garantire la libertà di scelta ordinamentale nell’ambito delle attribuzioni conferite ex lege, ma non già a presidiare le stesse fin dal momento della formazione dell’ente. La nozione di democrazia, infatti, non può essere ridotta al mero fenomeno elettivo diretto – quasi che, una volta scelti i rappresentanti, ne sia stata assicurata la realizzazione.
La stessa Consulta ha affermato che i soggetti istituzionali rientranti nel novero degli enti locali devono essere individuati “sulla base di più complesse coordinate istituzionali, quali la territorialità e la rappresentatività diretta o indiretta degli interessi comunitari” (sentenza n. 164/1990) e che “non vi è un principio costituzionale per cui i servizi pubblici debbono essere erogati solo da soggetti che siano rappresentanti diretti della collettività servita” (sentenza n. 286/1997).
L’elezione di 2° grado
Se è certamente vero che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo degli enti territoriali è strumento essenziale dell’autonomia, cui hanno riguardo gli articoli 5 e 128 della Costituzione, nulla impedisce che ciò non possa realizzarsi anche in caso di elezioni di 2° grado. Anche in quest’ultima ipotesi è garantita, per mezzo della individuazione elettiva dei componenti dell’organo di 1° grado, la composizione dell’ente in conformità e armonia con le scelte dell’elettorato che occupa il relativo territorio e, conseguentemente, non può escludersi la possibilità di siffatte elezioni che, del resto, sono previste dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello stato. L’esponenzialità dell’ente provincia, in questo schema, è quindi garantita dai rappresentanti dei componenti dei comuni associati o consorziati. Del resto, l’elezione indiretta nelle province e nelle città metropolitane, introdotte nell’ordinamento dalla riforma Delrio (che oggi viene rinnegata da più parti), ha superato indenne il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 50/2015) anche con riferimento alla Carta europea dell’autonomia locale che, nel richiedere che i membri delle assemblee siano “freely elected”, si limita, sostanzialmente, a esigere un’effettiva rappresentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate.
In ultima analisi, dietro l’euforia politica sottesa alla sopravvenuta e impellente esigenza di ridisegnare l’ente intermedio nel sistema delle autonomie locali, si sta celando il falso mito dell’elezione “necessariamente” diretta dei suoi organi di governo, non per rispondere alle istanze dei territori ma a quelle, “ringalluzzite”, della politica locale.
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Giacomo
Al di là dell’aspetto giuridico, però, non mi aspetto che un presidente di provincia eletto da un’elezione di secondo grado si dia molto da fare. Gli conviene darsi da fare per il suo comune, quello dal quale dipende la sua elezione di primo grado.
Piero Borla
Condivido l’idea che l’impellente desiderio di una nuova elettività diretta degli organi provinciali deriva non da considerazioni di governabilità locale ma da fisiologica tendenza alla moltiplicazione delle poltrone. Il punto è : quale sia la migliore configurazione del rapporto fra l’ente amministrazione provinciale e le amministrazioni comunali. L’attuale sistema, dell’elezione di 2° grado, appare indovinato. Esso può rappresentare una soluzione alla necessaria razionalizzazione del livello comunale, che non sarà risolto con il puro e semplice accorpamento di comuni. Una buona politica sarebbe attribuire, ne corso del tempo, funzioni e risorse alle provincie, con facoltà per i capoluoghi e dei comuni maggiori di svincolarsi, devolvendo in tal caso la giusta quota di risorse,
Maurizio Angelini
Sono elettori attivi e passivi nelle elezioni di secondo grado tutti i sindaci e i consiglieri comunali eletti. Ma eletti per il governo di un Ente che ha dimensioni e competenze diverse rispetto alla Provincia o città metropolitana