Lavoce.info

Dipendenti e autonomi: il confronto sul cuneo fiscale

Confrontare il cuneo fiscale di dipendenti e autonomi non è semplice perché la struttura delle aliquote contributive è molto variegata. Ma i calcoli mostrano che è la flat tax a produrre una chiara iniquità tra le due tipologie di lavoratori.

La giungla contributiva

Il confronto sugli oneri fiscali (tributari e contributivi) di un lavoratore dipendente e di un autonomo va fatto tenendo conto anche dei contributi a carico del datore di lavoro, come ha ben spiegato un recente articolo di Massimo Bordignon. Qui chiariamo ulteriormente il tema, con qualche esempio numerico sul cuneo complessivo delle due tipologie di lavoro.

Il confronto non è semplice, in quanto la struttura delle aliquote contributive è molto variegata, sia per i lavoratori dipendenti, sia per i lavoratori autonomi. Per entrambe le categorie non si applicano solamente le aliquote cosiddette Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti), ovvero quelle utilizzate per la determinazione del montante contributivo su cui sarà calcolata la pensione, ma anche aliquote aggiuntive, destinate al finanziamento di altri istituti, come quelli rivolti ai casi di malattia o di maternità. Differenziati (e variabili negli anni) sono anche i minimali e i massimali contributivi tra le varie categorie di lavoratori, così come alcune agevolazioni in funzione dell’età, o altre caratteristiche, e la ripartizione del carico tra lavoratore e datore di lavoro. Per esempio, per un collaboratore e figure assimilate (soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie) l’aliquota complessiva è il 35,03 per cento (di cui 33 per cento Ivs), dove un terzo è formalmente a carico del lavoratore e due terzi sono a carico del committente.

Nel caso di artigiani e commercianti con età superiore a 21 anni vi è un minimo contributivo, rispettivamente, di 3.905,76 euro (3.898,32 Ivs e 7,44 maternità) e 3.983,73 (3.976,29 Ivs e 7,44 maternità) e aliquote contributive del 24 e del 24,48 per cento fino a 48.279 euro di reddito, incrementate di un punto percentuale per redditi superiori. Inoltre, questi lavoratori, se optano per il regime forfettario, possono avvalersi di una riduzione contributiva del 35 per cento, che tuttavia non è fiscalizzata. Trattamenti ancora diversi hanno i lavoratori autonomi iscritti a un ordine professionale e alle relative casse previdenziali. Ad esempio, la cassa dei dottori commercialisti prevede, oltre a un contributo fisso, un contributo soggettivo (applicato alla differenza tra ricavi e costi) con aliquote scelte dal professionista in misura pari o maggiore all’aliquota minima e uno integrativo (applicato ai ricavi). Analogo è il trattamento della cassa forense per gli avvocati.

Sono sufficienti questi pochi casi per mostrare come sia impossibile trovare un esempio esaustivo per comparare il cuneo fiscale per i dipendenti e per gli autonomi, poiché ogni singola fattispecie richiede un calcolo separato.

Il cuneo fiscale

La tabella 1 confronta, a titolo di esempio, il cuneo fiscale per un lavoratore dipendente e per un lavoratore autonomo. Per quanto riguarda il dipendente, si ipotizza che sia impiegato nell’industria in genere e che lavori in una azienda con più di 50 dipendenti. L’aliquota complessiva è del 38,85 per cento, di cui 9,49 per cento a carico del lavoratore e 29,36 per cento a carico del datore di lavoro. Si considera anche l’accantonamento netto per il Tfr e la riduzione dei contributi a carico del lavoratore previsti dall’ultima legge di bilancio (3 punti per percentuali fino a 25 mila euro e 2 punti da 25 a 35 mila), anche se in vigore solo per il 2023. Per quanto riguarda il lavoratore autonomo, si assumono due ipotesi relative al carico contributivo: i) un libero professionista iscritto alla gestione separata Inps e non assicurato presso altre forme di previdenza obbligatoria, con una aliquota complessiva del 26,23 per cento, a carico del lavoratore; ii) un lavoratore autonomo con una aliquota contributiva del 17,4 per cento, che secondo l’Istat è l’aliquota contributiva media che caratterizza i lavoratori autonomi.

Per calcolare l’Irpef si è ipotizzato, come in un nostro precedente articolo, che non vi siano carichi familiari e detrazioni per oneri e, nel caso del lavoratore autonomo, un coefficiente di redditività del 78 per cento dei ricavi (nei nostri esempi il 22 per cento di costi rispetto ai ricavi vale anche per il regime ordinario). Per quanto riguarda le addizionali locali, si considera l’addizionale regionale del Piemonte e l’addizionale comunale di Torino. Le addizionali aumentano il carico fiscale sul reddito da lavoro dipendente, ma non gravano su quello di lavoro autonomo se il contribuente opta per il regime forfettario della flat tax. Sulla base di queste ipotesi si è calcolato, a partire da tre diverse soglie (20, 40 e 60 mila) di costo del lavoro (ovvero il reddito al lordo di imposte e contributi), il carico tributario e contributivo complessivo, ovvero il cuneo fiscale.

Leggi anche:  Più tasse sulle successioni per meno tasse sul lavoro

Il lavoratore autonomo paga l’aliquota contributiva sulla differenza tra ricavi e costi, ovvero il suo reddito lordo. Sottraendo i contributi così determinati dal reddito lordo, ottiene la base imponibile dell’imposizione diretta. In tutti e tre i casi ipotizzati conviene la flat tax degli autonomi anziché l’Irpef ordinaria. Per il dipendente, la base di calcolo per i contributi del lavoratore, del datore di lavoro e dell’accantonamento per il Tfr è la retribuzione lorda (il reddito al lordo dei contributi del lavoratore, dell’Irpef e le relative addizionali). Il costo del lavoro è ottenuto sommando alla retribuzione lorda sia l’accantonamento netto per il Tfr, sia i contributi a carico del datore di lavoro. Solo così la situazione contributiva tra il dipendente e l’autonomo può essere paragonata correttamente, a differenza di altre analisi che considerano unicamente i contributi dovuti dal lavoratore dipendente.

In modo simile, svolgendo i medesimi passaggi per ogni livello di costo del lavoro, la figura 1 presenta l’andamento del cuneo fiscale nei tre casi analizzati per ogni livello di costo del lavoro. Poiché il minimale contributivo dei dipendenti è solitamente fissato per ora lavorata, si ipotizza una base contributiva minima di 11 mila euro per i dipendenti, di 15 mila euro per gli autonomi con aliquota pari al 17,4 per cento e di circa 16 mila per gli autonomi con l’aliquota contributiva del 26,23 per cento, percepiti per l’intero anno. La figura considera valori di costo del lavoro fino a 100 mila euro, pertanto non è ancora applicato il massimale contributivo.

Figura 1 – Il cuneo fiscale (tributario e contributivo)

La figura 1 evidenzia che vi sono fasce di costo del lavoro dove il cuneo fiscale è maggiore per gli autonomi. In particolare, fino a circa 30-35 mila euro se l’autonomo paga il 26,23 per cento di aliquota contributiva e fino a circa 20-25 mila se l’autonomo paga l’aliquota del 17,4 per cento. Successivamente, il cuneo fiscale, a parità di costo del lavoro, è sempre più elevato per i dipendenti. L’andamento complessivo è il risultato di due effetti: per bassi valori di costo del lavoro la differenza è imputabile alla presenza del bonus 100 euro per i dipendenti e al fatto che in questa fascia di costo del lavoro è più conveniente il regime Irpef ordinario per i lavoratori autonomi; per valori di costo del lavoro più elevati, invece, prevale il vantaggio dovuto alla presenza della flat tax; infine, per valori di costo del lavoro ancora più elevati, quando si è ormai usciti dal regime della flat tax (il che accade per redditi pari a 66.300 euro, data la soglia di 85 mila euro di ricavi e l’ipotesi di un coefficiente di redditività del 78 per cento), il cuneo fiscale dei dipendenti è più elevato, ma molto simile, almeno col confronto con gli autonomi che pagano l’aliquota del 26,23 per cento; quelli che invece pagano una aliquota contributiva del 17,4 per cento sono caratterizzati oggi da un costo del lavoro molto inferiore (o da un reddito superiore, a parità di costo del lavoro). Va tuttavia sottolineato che a fronte di diversi contributi sarà diverso il montante contributivo su cui sarà calcolata la pensione: se oggi un lavoratore autonomo paga aliquote contributive troppo basse maturerà diritti pensionistici corrispondentemente inferiori per il futuro, ma questa in molti casi (laddove è fissato solo un minimo contributivo) è una sua scelta. La vera differenza sta nella flat tax, che anche considerando il cuneo fiscale complessivo, si conferma il fattore di maggiore ed evidente iniquità tra le due tipologie di lavoratori.

Leggi anche:  C'è un rischio nel contradditorio prima dell'accertamento

Oltre agli effetti distributivi considerati, il confronto mostra la convenienza per il datore di lavoro a stabilire, per quanto possibile, rapporti di lavoro autonomo invece che dipendente, con possibili proliferazioni di “finte” partite Iva. A questi effetti distorsivi, che minano l’efficienza del mercato del lavoro, vanno poi aggiunti quelli sulla concorrenza e gli incentivi all’evasione che possono derivare dall’esenzione del pagamento dell’Iva per i forfettari. Se a ciò si sommano i costi elevati per la finanza pubblica, è chiaro come il bilancio non possa che essere profondamente e totalmente negativo.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Jobs act: cancellarlo non risolve i problemi del lavoro

Precedente

Tregua o privilegio fiscale?

Successivo

Clausole di non concorrenza: perché proibirle

  1. Savino

    La natura imprenditoriale non può essere massificata ed estesa a chi può solo essere dipendente. Per l’art. 2082 del codice civile è l’imprenditore che deve rischiare quantificandosi la remunerazione dei fattori produttivi. Oggi il trend è far rischiare i poveri disgraziati con lavori precari e funzionalmente da dipendente che magicamente diventano autonomi. E’ deleterio continuare ad inventarsi soluzioni non costituzionali come la flat tax senza risolvere i problemi delle pseudo partite IVA alla radice della loro natura giuridica e fiscale e dei diritti che spettano loro per la evidente natura di lavoro alle dipendenze altrui.

  2. Pregg.mi,
    ci permettiamo di segnalarVi che non è corretto confrontare la nostra simulazione con la Vostra, in quanto le finalità che entrambi abbiamo perseguito sono differenti.
    Nella nostra elaborazione, infatti, abbiamo comparato, a parità di reddito/retribuzione, il carico fiscale (e non il cuneo fiscale) che grava su un lavoratore dipendente e su un lavoratore autonomo.
    Proprio perché i 2/3 circa dei contributi previdenziali in capo a ciascun lavoratore dipendente per legge sono a carico dell’imprenditore, nel calcolo del prelievo fiscale del dipendente non sono stati considerati.

    Andrea Vavolo
    Ufficio studi CGIA

  3. Andrea Giovannini

    Ritengo che l’innalzamento a 85k dei compensi e fatturati per l’accesso al regime forfetario sia stato un errore; l’evidenza è però che trattasi di mera scelta politica.
    Mi permetto di trasferire tante perplessità quando tale misura sia commentata quale chiaramente iniqua, a maggiore ragione quando la stessa sia posta in relazione con il lavoro subordinato, come nel caso dell’articolo, la cui stima e l’apprezzamento nei confronti dei redattori non è in discussione.
    Sono mondi differenti, in campo lavorativo.
    A mio parere, sarebbero pure da evitare semplificazioni del tipo la proliferazione di “finte” partite IVA e gli incentivi all’evasione che possono derivare dall’esenzione del pagamento dell’IVA per i forfettari. Nel primo caso un’impresa seria e lungimirante conosce i rischi di tale previsione e se ne allontana, nel secondo le spese che possono essere “incentivanti” sono davvero minime, se non insignificanti.
    Il lavoratore autonomo che sceglie il regime forfettario è soggetto poco o minimamente organizzato, con costi ed attrezzature modeste, la cui scelta professionale deriva dal fatto che i servizi prestati, per loro natura, non sono in genere continuativi; oppure la scelta è effettuata per intraprendere una libera professione, dopo anni di studio e pratica, fattispecie che non può essere esercitata se non autonomamente.
    Nell’articolo, gli esempi dell’avvocato o del commercialista mi permetto di definirli non appropriati.
    Nel campo artigianale la scelta è effettuata da mini aziende operanti individualmente in rami tipo l’edilizia; nel commercio la scelta è quasi assente.
    Tanti avrebbero preferito – se fosse data loro la possibilità – una scelta differente, del tipo del lavoro subordinato, assistito dalle maggiori tutele.
    Le tabelle vanno inoltre aggiornate quando non si specifica che il contribuente forfettario – in quanto assoggettato ad imposta sostitutiva dell’Irpef – non può usufruire delle tradizionali detrazioni d’imposta per cure e medicinali, eventuali interessi passivi sul mutuo dell’immobile di abitazione, bonus edilizi, forme assicurative private. La stessa IVA pagata “regolarmente” sugli acquisti rappresenta un onere aggiuntivo.

  4. Gianni

    Non capisco cosa c’entri il carico contributivo, che ovviamente non è una tassa, con gli effetti della flat tax.

  5. B&B

    Quando si parla di lbero professionista INPS dovete chiarire che è diverso dal Professionista iscritto obbligatoriamente ad un Ordine Professionale.
    Ad esempio gli Ingegneri e Architetti L.P. pagano:
    -1) le normali ed elevate tasse a scaglioni sul reddito autonomo professionale;
    -2) l’IRAP, tassa aggiuntiva sugli autonomi, tipicamente da odio comunista. Perchè non la pagano anche politici, sindacalisti, ceo di banche e partecipate che guadagnano molto di piu’ di un ingegnere LP.
    – 3)contributi pensionistici alla Cassa Privata CNPAIALP Cassa Naz. di Prev. e Ass. per Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti. (Allo Stato questi incauti “evasori” ordinistici non costano niente, non gli paga nemmeno la pensione).
    – 4) Devono pagarsi il Posto di Lavoro e mantenerlo insieme a tutta l’organizzazione di collaboratori.
    – 5) Devono inventarsi e creare lavoro.

    Non leggo nell’articolo i vantaggi dei dipendenti pubblici che oltre a pagare una minima parte di tasse, il rimanente glielo paghiamo NOI, autonomi “evasori”, NON devono pagare il posto di lavoro et manutenzione. Non devono creare o cercarsi il lavoro, se ne fregano. Anzi chi puo’ impedisce agli altri di lavorare. Ferie pagate, tredicesima-quttordicesima ecc.
    Il dipendente pubblico ha solo diritti, MAI doveri. Guardate i medici, ne manteniamo 500.000 eppure mancano. Ma cosa fanno?
    Se poi analizzate i benefit degli spregiudicati boiardi di stato, degli alti ladroni allora si capisce di quanto sia fesso e cretino un lavoratore autonomo, pieno di beghe e responsabilità, a pagare le tasse per mantenere questo esercito di approfittatori di Stato e d’ Europa.

    • Daniele

      Vada a fare il dipendente di corsa se è convinto che i dipendenti abbiano le tasse pagate dagli autonomi. Cordialità

    • Gianni

      Chissà poi perché parla solo dei dipendenti pubblici. Forse i dipendenti dei settore privato si portano da casa le strutture aziendali?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén