Arrivano da Egitto e Tunisia molti dei migranti che nel 2021 hanno chiesto asilo in Italia. L’analisi della situazione economica dei due paesi spiega perché. A partire da un rapporto fra occupazione e popolazione in età di lavoro particolarmente basso.
Da dove arrivano i migranti
I flussi migratori sul Mediterraneo in direzione dell’Italia sono stati in crescita nel 2021 e 2022. I paesi di origine dei richiedenti di asilo vedono nel 2021 in prima posizione il Bangladesh (6638 persone), in seconda la Tunisia (6374), in terza l’Afghanistan (4358) e in quarta l’Egitto (2683) (statistiche Unhcr, Global trends 2021, figura 1).
Egitto e Tunisia sono geograficamente prossimi e dovrebbero avere potenzialità di crescita economica ragionevole. Pare quindi utile approfondire la situazione economica e occupazionale dei due paesi ed esaminare elementi di riforma economica necessari per migliorare le prospettive e, dunque, ridurre i flussi migratori.
In Egitto e Tunisia il rapporto fra occupazione e popolazione in età di lavoro (15-64 anni) è particolarmente basso, in relazione ad altri paesi a reddito medio basso (vedi tabella 1).
La situazione in Egitto
L’Egitto continua ad avere un tasso di crescita della popolazione elevato (2 per cento), molto più alto di Marocco (1,3 per cento) e Tunisia (1 per cento), e ha raggiunto i 100 milioni di abitanti. Nel periodo 2004-2019 ha avuto un tasso annuo di crescita del Pil pro-capite del 2,4 per cento, con un forte rallentamento nel 2011-2013 e una ripresa dal 2014, quando sono state realizzate riforme importanti sulla liberalizzazione degli investimenti privati ed è stata introdotta la Tva. Il tasso di crescita del Pil è dell’1,8 per cento più basso della media dei paesi a medio reddito. Il prodotto per lavoratore, o produttività del lavoro, aumenta nel periodo 2004-2019 del 2,5 per cento per anno, contro una media del 4,4 per cento nei paesi a medio reddito. È grave per gli equilibri sociali che il reddito medio in termini reali, secondo le indagini sulle famiglie, mostri una flessione del 9 per cento fra il 2012 e il 2018. Nel 2020 la crescita pro-capite si abbassa, ma rimane positiva (1,8 per cento), mentre è modesta nel 2021 (1.6 per cento).
Il paese soffre di un tasso di investimento basso, in relazione al Pil (15 per cento in media nel 2014-19, figura 2), con la parte preponderante costituita da investimenti pubblici. Questo non favorisce l’occupazione. Nel triennio 2018-2020 gli investimenti fissi lordi sono stati in media pari al 16,1 per cento del Pil, con investimenti pubblici, incluse le imprese pubbliche, del 9,1 per cento del Pil e privati solo del 7 per cento del Pil.
La forza di lavoro occupata è aumentata da 20 milioni nel 2006 a 26 milioni nel 2019, con un tasso di crescita annuo dell’1,9 per cento, ma l’aumento annuo della popolazione in età di lavoro è stato del 2,5 per cento. Il risultato è una flessione del tasso di occupazione da un picco del 47 per cento nel 2008 al 39 per cento nel 2019, che è una delle più basse nel mondo (figura 3).
Il 63 per cento delle persone occupate lavora nel settore informale, senza contratti o copertura sociale. Fra le persone che lavorano per imprese, il 50 per cento è occupato in microimprese con meno di 5 addetti. Il 30 per cento delle persone occupate lavora per lo stato o le imprese pubbliche. Il settore produzione agricola e preparazione alimentare assicura nel 2017 il 34,2 per cento degli impieghi, in flessione dal 37,4 nel 2017 nel 2007.
Le indagini sulle imprese mostrano che la loro dimensione non cresce nel tempo, come accade invece nella maggior parte dei paesi a medio reddito, e l’aumento di produttività è stato basso negli ultimi dieci anni. Le imprese sono meno integrate nella catena globale del valore che in altri paesi a medio reddito, secondo le indagini della Banca Mondiale, nonostante la riduzione delle tariffe esterne medie, grazie agli accordi di libero scambio stipulati con Unione europea e paesi arabi.
L’indice di regolamentazione dei prodotti sul mercato elaborato dall’Ocse colloca il paese a livello di 2,84 in una scala fra zero e sei, dove un numero più elevato indica una regolamentazione più restrittiva. Per i paesi Ocse la media è 1,47, per quelli non Ocse 2,34.
Le imprese pubbliche hanno un ruolo predominante nell’economia, e ciò causa distorsioni economiche. L’Egitto è l’unico paese dove lo stato controlla almeno una impresa in 26 settori economici su 27, la media negli altri paesi è 14. Oltre a imprese di stato, vi sono anche strutture denominate autorità economiche (Economic authorities) nel settore petrolifero, dei trasporti, l’autorità del Canale di Suez. Su 300 imprese di stato, un terzo registra perdite. Nel 2018 lo stato ha costituito un fondo sovrano di investimenti (The Egypt fund) che dovrebbe permettere di porre alcune imprese pubbliche sotto gestione privata, con il controllo dello stato sulla società holding. In realtà, questo organismo permette allo stato di acquistare partecipazioni anche in una serie di aziende private, limitandone l’autonomia.
L’accelerazione della crescita richiede una espansione più rapida del settore privato, con più chiarezza sul ruolo delle imprese pubbliche, che devono essere sottoposte a regole di gestione e di trasparenza, con eliminazione di vantaggi fiscali e di accesso al credito. È necessario attirare investimenti diretti esteri, riducendo le tariffe esterne per aumentare la competitività dell’economia e promuovere la diversificazione e sviluppare il settore privato innovativo.
I rallentamenti della Tunisia
In Tunisia il tasso di crescita del Pil e del Pil pro-capite è rallentato dopo il 2010, con una forte flessione nel 2020 (9,4 per cento), che riflette l’interruzione dei flussi turistici (figura 4). Il tasso di disoccupazione è salito dal 13,2 per cento nel 2005 al 18,8 per cento nel 2011, per riscendere al 15,5 per cento nel 2019. Il settore privato non mostra dinamismo sufficiente: gli investimenti privati sono scesi dal 17,4 per cento del Pil nel 2000-2010 al 14,9 per cento nel 2011-2019. La quota delle imprese che esportano è scesa dal 38 per cento nel 2013 al 32 per cento nel 2019. Tuttavia, esaminando l’andamento della produttività dei fattori, si nota che le imprese nel settore meccanico, elettrico e farmaceutico hanno registrato un aumento della produttività. Le piccole imprese, che dominano l’universo delle aziende (87 per cento del totale nel 2019, figura 5), contribuiscono alla debole creazione di impieghi; la presenza di medie imprese (5-99 addetti) resta scarsa (12,5 per cento del totale delle imprese), con una crescita modesta, al contrario che in altri paesi a medio reddito, con il risultato di non contribuire alla crescita dell’occupazione.
Il tasso di disoccupazione totale è passato dal 13,2 per cento nel 2005 al 18,8 per cento nel 2011, per scendere al 15,5 per cento nel 2019. Con la grave crisi del 2020 la disoccupazione è salita al 17.4 per cento a fine anno.
La mancanza di occupazione è particolarmente acuta per i giovani, il tasso di disoccupazione per i laureati universitari è salito dal 14,1 per cento nel 2005 al 27 per cento nel 2019 e si è aggravato con la crisi del 2020. La percentuale dei giovani che lavorano nel settore informale, senza protezione sociale, è passata dal 33 per cento nel 2013 al 42 per cento nel 2019.
La spesa pubblica ha supplito negli ultimi anni alla bassa crescita degli impieghi, con un aumento dell’aiuto alle famiglie e dei sussidi. Sono aumentati anche gli impieghi pubblici, con un forte incremento della massa salariale pubblica che ha raggiunto il 15 per cento del Pil nel 2019 dall’11 per cento nel 2010. Il disavanzo del bilancio pubblico ha raggiunto il 6 per cento nel 2017, si è ridotto al 4 per cento nel 2019, per risalire fortemente nel 2020, con la crisi pandemica (9,1 per cento). Il debito pubblico ha raggiunto l’83 per cento del Pil a fine 2020 e l’89 per cento a fine 2022. Nei prossimi anni la massa salariale pubblica dovrà diminuire per ridurre il deficit pubblico e il debito. Pertanto, come messo in evidenza dal rapporto sulla Tunisia della Banca Mondiale, Country Systematic Diagnostic 2021, è necessario accelerare la crescita attraverso lo sviluppo delle imprese private nei settori più innovativi, da favorire con semplificazioni del sistema autorizzativo degli investimenti e la promozione della concorrenza con maggiore incisività delle regole antitrust, migliorare il settore educativo, in modo di creare occupazione in modo sostenibile, promuovere la partecipazione delle donne alla forza lavoro.
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