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Italia – Francia: vicine nella partita delle pensioni

Proteste in Francia contro la riforma delle pensioni, che punta ad assicurare la tenuta dei conti pensionistici da qui al 2030. Sono molti i punti di contatto con quanto previsto in Italia, ma sul riordino degli schemi speciali siamo in vantaggio.

La riforma del sistema pensionistico francese

In Francia la proposta di riforma del sistema pensionistico ha ricompattato il fronte sindacale e ha generato un’ondata di proteste e manifestazioni.

La modifica più contestata riguarda l’innalzamento dell’età minima di pensionamento da 62 a 64 anni. L’approccio scelto dal governo francese per intervenire su un tema così politicamente sensibile, rispetto al quale si sono registrati negli anni passati vari tentativi, spesso falliti, è stato quello della gradualità. L’incremento, inizialmente previsto fino ai 65 anni e poi successivamente ridotto di un anno, si realizzerebbe in maniera progressiva e raggiungerebbe l’obiettivo nel 2030.

Prima di trarre conclusioni affrettate, occorre fare chiarezza. Il sistema pensionistico francese prevede differenti età di pensionamento pensionamento e di differenti combinazioni età-anni di contribuzione, che garantiscono il calcolo della prestazione senza penalizzazioni. Il passaggio da 62 a 64 anni riguarda l’età minima a cui si può accedere al pensionamento. Occorre inoltre ricordare che, una volta raggiunta l’età minima, l’importo della pensione, calcolata con una norma simile al nostro sistema retributivo, subisce una decurtazione in presenza di una contribuzione inferiore ai 43 anni per i lavoratori nati dopo il 1973 e più bassa per i nati prima. L’età di pensionamento può essere più alta di quella minima. In questo caso, il prolungamento dell’attività lavorativa porta alla maturazione di una pensione senza penalizzazione con una contribuzione inferiore rispetto a quella prevista per il pensionamento con età minima. A titolo di esempio, sarà possibile accedere alla pensione senza penalizzazioni con un’età di 65 anni, in presenza di almeno 40 anni di contribuzione. Sono infine previsti incentivi finanziari per chi decide di prolungare l’età di uscita dal mercato del lavoro, oltre quella legale di pensionamento.

Queste considerazioni, che arricchiscono il quadro informativo ed evidenziano come il sistema francese abbia introdotto meccanismi di penalizzazione e incentivo, non tolgono nulla alla rilevanza “politica” della scelta dell’esecutivo francese, in una nazione dove una bassa età di pensionamento è spesso percepita come un “diritto”, senza tenere in considerazione le conseguenze finanziarie. 

Il progetto di riforma presentato dall’esecutivo francese è però assai più ampio. Comprende infatti, tra l’altro, l’innalzamento a 1.200 euro mensili dell’importo minimo delle prestazioni. L’assegno pensionistico minimo, garantito ai pensionati a partire dai 64 anni, sarà infatti pari all’85% del salario minimo. Un altro aspetto importante è il progressivo riordino degli schemi speciali, ai quali appartiene il 25 per cento del totale dei pensionati, e che presentano spesso rapporti di dipendenza (rapporto pensionati/lavoratori) particolarmente preoccupanti. Tra gli schemi più importanti vanno ricordati quelli dei dipendenti del settore pubblico, delle industrie del gas e dell’elettricità, delle ferrovie dello stato e della Banca nazionale di Francia. Tipicamente questi regimi godono di trattamenti privilegiati rispetto agli altri e il progetto di riforma prevede un, seppur graduale, processo di convergenza delle loro normative verso quelle vigenti nella parte restante del sistema pensionistico.

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Molto discusso infine il progetto di aumentare a 43 anni l’anzianità contributiva per ottenere una pensione senza decurtazioni per tutti i lavoratori e non solo per i più giovani come previsto fino a oggi. Due gli obiettivi dichiarati dal governo: assicurare la tenuta dei conti pensionistici da qui al 2030 e prefigurare un sistema pensionistico più omogeneo rispetto all’attuale, caratterizzato da una molteplicità di schemi che lo rende tra i più complicati d’Europa.

I punti di contatto con il sistema italiano

In attesa di verificare la capacità dell’esecutivo francese di condurre in porto una riforma importante sia per gli assetti del welfare transalpino sia per la tenuta dei conti pubblici, può essere utile notare alcuni punti di contatto con il nostro sistema previdenziale. Italia e Francia hanno sistemi pensionistici pubblici relativamente costosi, ma capaci di garantire, in media, prestazioni adeguate agli assicurati attualmente in pensione.

Secondo i dati dell’Ageing Working Group, – il gruppo di lavoro che per la Commissione europea monitora l’andamento della spesa per la protezione sociale dei paesi aderenti all’Unione e fornisce stime sulla loro dinamica futura nel medio e lungo termine – nel 2019, ultimo anno per cui sono disponibili informazioni comparate, la spesa per pensioni in rapporto al Pil era pari al 14,8 per cento in Francia e al 15,4 per cento in Italia. L’Ocse, con il suo modello per la valutazione dei sistemi pensionistici nazionali, stima che, per un lavoratore che acceda al pensionamento in questi anni e con reddito da lavoro pari a quello medio dell’economia, il tasso di sostituzione lordo , dato dalla somma delle pensioni di primo e secondo pilastro rispetto all’ultima retribuzione in Francia sarebbe pari a 60.2%, mentre quello italiano, pari al rapporto tra la pensione pubblica e l’ultima retribuzione, raggiungerebbe il 74.6%.

Anche per quanto riguarda l’andamento dell’età media di pensionamento i due sistemi non appaiono troppo lontani. La figura 1, elaborata su dati di fonte Ocse, mostra la dinamica dell’età media di pensionamento per uomini e donne nei due paesi dal 1980 a oggi. Per entrambe le nazioni è evidente la presenza di una prima fase, fino al 2000, durante la quale l’età media di uscita per pensionamento è risultata decrescente, seguita da una fase in cui la dinamica è stata opposta.

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Sotto il profilo della dinamica attesa della spesa, i due sistemi pensionistici presentano similitudini. Secondo l’Ageing Working Group, il rapporto tra spesa per pensioni e Pil nel 2040 e nel 2060 sarà pari a 15.2 per cento e 13.4 per cento per la Francia e 17.8 per cento e 14.1 per cento per l’Italia. Questo significa che la spesa per pensioni in quota del prodotto delle due economie crescerà ancora nei prossimi decenni, a causa del passaggio delle generazioni dei baby boomers verso la pensione, per poi scendere in seguito, anche grazie agli effetti delle politiche di riforma operate sul sistema pensionistico e sulle sue prestazioni nel medio e lungo termine.

L’eterogeneità delle istituzioni è un ulteriore elemento di vicinanza tra i due sistemi. Decenni di riforme in Italia non sono ancora riuscite a condurre i lavoratori del nostro paese all’interno di uno schema uniforme nel quale ogni lavoratore paga la stessa percentuale del suo reddito per il finanziamento di una pensione futura, calcolata sulla base della stessa regola. Nonostante tutto, però, guardando a quello che succede dall’altra parte delle Alpi, l’impressione è che, per una volta, siamo un po’ più avanti rispetto ai cugini francesi.

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  1. Savino

    Paesi vecchi e indebitati. Si continua a prendere in giro i giovani da parte della generazione dai baby boomers che si sente potente e immortale, ma che sta continuando a collezionare misere figure di egoismo e ipocrisia.

  2. Mariovagnoni

    In Francia 2 ooo ooo di persone in piazza , in Italia protestano solo i 18 enni percettori di rdc

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