Continua a crescere in Italia il numero degli imprenditori immigrati. Il fenomeno può avere effetti positivi e portare benefici a tutto il sistema economico. Vanno però ben gestite alcune problematiche, come il rischio di “sostituzione al ribasso”.
Imprese di immigrati: i numeri
L’imprenditoria immigrata rappresenta uno degli ambiti economici più dinamici legati alla presenza straniera in Italia. Anche negli anni di crisi economica (2008, 2011, 2020), il fenomeno ha sempre registrato trend di espansione. Nonostante sia vista ancora prevalentemente come una minaccia, vi sono alcuni aspetti positivi che potrebbero (almeno potenzialmente) portare benefici all’intero sistema, a patto che il fenomeno venga gestito e accompagnato.
Dal punto di vista delle fonti statistiche, la principale banca dati di riferimento è quella Infocamere, che deriva dai dati in possesso delle Camere di commercio italiane: fanno riferimento al paese di nascita dell’imprenditore, per cui sono considerati “imprenditori immigrati” i cittadini nati all’estero che ricoprono cariche imprenditoriali in imprese attive registrate presso le Camere di commercio (titolare, socio, amministratore).
Anche la definizione di “impresa straniera” si riferisce alla stessa banca dati: sono considerate “straniere” le imprese la cui proprietà è per almeno il 50 per cento in mano a soci o amministratori nati all’estero.
A partire da questi dati, è possibile fotografare la situazione al 31 dicembre 2022, con 761.255 imprenditori nati all’estero (10,1 per cento del totale) e 575.673 imprese a conduzione prevalentemente straniera (11,2 per cento).
Oltre al numero, andrebbe in realtà evidenziata anche la dimensione delle imprese: ci sono infatti inclusi anche lavoratori autonomi e partite Iva, nonché micro-imprese e imprese senza dipendenti, casi particolarmente diffusi tra gli immigrati.
Per quanto riguarda gli imprenditori, volgendo lo sguardo agli ultimi dodici anni (2010-2022) appare evidente la tendenza opposta tra i nati in Italia (in calo, -10,2 per cento) e i nati all’estero (in aumento, +39,7 per cento). Anche nell’ultimo anno il numero di imprenditori immigrati è aumentato (+1,1 per cento), mentre quello dei nati in Italia ha subito un lieve calo (-0,8 per cento).
I primi due paesi per numero di imprenditori sono Cina (77.541) e Romania (75.801), che insieme rappresentano un quinto degli imprenditori immigrati in Italia. Nell’ultimo anno le comunità con gli aumenti più significativi sono state Albania (+7,4 per cento), Egitto (+3,9 per cento) e Pakistan (+3,5 per cento). Stabile invece il Bangladesh, che negli ultimi dodici anni aveva registrato un raddoppio dei propri imprenditori (+136,8 per cento).
Confrontando gli imprenditori per ciascun paese con la popolazione in età lavorativa nata nello stesso paese, è possibile calcolare il “tasso di imprenditorialità” per ciascuna comunità. Tra i nati in Italia, gli imprenditori sono il 20,9 per cento rispetto alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Tra i nati all’estero, il valore è decisamente più basso (13,8 per cento). Tuttavia, tra i nati all’estero la situazione è molto variegata: il record spetta alla Macedonia, con un tasso del 51,3 per cento. In altre parole, tra i cittadini macedoni in Italia, uno su due fa l’imprenditore. Superano il 30 per cento anche Russia e Cina, mentre sono al di sotto della media Albania (12,9 per cento), Romania (8,8 per cento) e India (7 per cento).
A livello settoriale, l’incidenza maggiore si registra nelle Costruzioni (17,0 per cento), nel Commercio (13,5 per cento) e nella Ristorazione (12,7 per cento).
Negli ultimi dodici anni (2010-2022), tutti i settori hanno registrato un aumento degli imprenditori immigrati e un calo degli italiani. L’aumento maggiore degli immigrati si è registrato nei Servizi (+66,5 per cento), mentre il calo più intenso tra gli italiani è stato quello della manifattura (-23,1 per cento). Anche in questo caso, oltre al numero è opportuno evidenziare la dimensione aziendale: nel commercio, ad esempio, sono inclusi i venditori ambulanti, molto presenti soprattutto tra le nazionalità del Nord-Africa e dell’Asia meridionale.
Figura 1 – Imprenditori immigrati in Italia, serie storica 2000-2022 (Valori assoluti – dati in migliaia – e incidenza % sul totale imprenditori)
Benefici, criticità e sfide
Al di là dei numeri, l’imprenditoria immigrata è vista spesso con scetticismo e preoccupazione dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Analizzare le opportunità e i rischi dell’imprenditoria immigrata può aiutare a capire in che direzione intervenire.
Un primo aspetto, indubbiamente positivo, riguarda la sfera soggettiva. L’avvio di un’attività in proprio, infatti, rappresenta quasi sempre per i cittadini immigrati la prosecuzione di un percorso di integrazione cominciato con l’inserimento lavorativo come dipendenti.
In molti casi, dunque, chi apre un’impresa lo fa perché conosce già il settore produttivo di riferimento, avendo svolto precedentemente un lavoro nello stesso settore e avendo così accumulato un buon livello di conoscenze e competenze professionali per penetrare all’interno di certe nicchie del mercato.
Un altro potenziale beneficio è dato dalla propensione all’import-export, con canali e relazioni che possono essere sfruttate anche da altre imprese italiane. Pensiamo all’esempio cinese: i contatti commerciali attivati dagli imprenditori di origine cinese possono fare comodo anche alle imprese italiane per l’acquisto di materie prime e semilavorati.
Tra gli aspetti critici del fenomeno, uno dei più importanti è rappresentato dalla “sostituzione al ribasso”. La chiusura di imprese italiane storiche o comunque ben radicate sul territorio porta una perdita non solo economica, ma anche di capitale sociale e territoriale. Le imprese a conduzione immigrata, invece, si collocano generalmente in nicchie di bassa produttività e basso valore aggiunto, con una prospettiva temporale generalmente molto limitata. Questo, indubbiamente, impoverisce i territori e i quartieri e aumenta la percezione di insicurezza.
Inoltre, l’aumento di imprenditori immigrati dipende in parte anche dalla rigidità del mercato del lavoro dipendente in Italia: se come lavoratori dipendenti non si intravedono prospettive di crescita professionale o di avanzamento di livello, si è più invogliati a mettersi in proprio.
Infine, va riconosciuto che le esperienze di successo, anche in Italia, non mancano. Prova ne siano i molti casi premiati tra il 2009 e il 2019 con il Money Gram Award, riconoscimento dedicato proprio alle imprese immigrate più virtuose. In un decennio sono state individuate, in questo modo, decine di storie di successo di imprese che si sono messe in evidenza per lo spirito imprenditoriale e il modo con cui si sono integrate nella comunità italiana.
La valorizzazione delle esperienze virtuose, inoltre, contribuisce a cambiare alcuni stereotipi. Vale la pena ricordare, ad esempio, che sono imprenditori immigrati anche Steve Jobs (padre siriano e madre di origini svizzere e tedesche), Mark Zuckerberg (origini bulgare, polacche, tedesche e austriache) e i fondatori di Google e eBay.
Attrarre competenze e talenti, anche nell’imprenditoria, può quindi innescare molti effetti positivi e portare benefici sia agli immigrati stessi sia a tutto il sistema economico.
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