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Autore: Agar Brugiavini Pagina 3 di 6

brugiavini Professoressa di Economia Politica presso l'Università Cà Foscari di Venezia ha conseguito una laurea in Scienze Statistiche alla Sapienza di Roma, un Master in Econometria e un Ph.D. in Economia alla London School of Economics. È stata docente alla City University Business School di Londra e visiting scholar presso la Northwestern University negli USA. Nella sua ricerca si occupa principalmente di scelte di risparmio delle famiglie, di pensioni e di stato sociale. Redattrice de lavoce.info.

PENSIONI: SE I RISPARMI RICHIEDONO FLESSIBILITA’

Sono in molti ad auspicare un nuovo intervento sul sistema previdenziale pubblico italiano. Ma nessuno ha calcolato finora l’entità dei risparmi prodotti dalle diverse proposte. Ecco i risultati di nostre simulazioni sotto quattro ipotesi diverse. Dall’equiparazione dell’età di pensionamento tra uomini e donne si ricava ben poco. I maggiori risparmi cumulati derivano da riduzioni attuariali di tutte le pensioni maturate dal 2010 in poi per chi lascia il lavoro prima dei 65 anni. E’ anche la riforma più flessibile ed equa sotto il profilo intergenerazionale.

ETA’ DI PENSIONAMENTO: MEGLIO FLESSIBILE

La proposta di equiparare l’età di pensionamento delle donne a quella degli uomini (rispettivamente 60 e 65 nella legislazione attuale) è sensata da un punto di vista “attuariale” se si considera che le donne vivono in media più a lungo degli uomini. Inoltre una compensazione ex post per gli svantaggi che le donne devono fronteggiare durante le loro carriere, che consiste nella possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro, conferma le differenze tra uomini e donne invece di appianarle. In particolare la differenza più marcata tra uomini e donne è nella partecipazione al lavoro e un trattamento pensionistico di favore non rappresenta certamente la molla che convincerà le donne a partecipare alle attività produttive. Tuttavia occorre precisare che la sentenza della corte europea, tesa ad armonizzare le età di uscita, si concentra sui lavoratori pubblici, in quanto appartenenti a uno specifico regime “professionale”, e quindi non obbliga l’Italia ad un trattamento di parità previdenziale tra generi in tutti i casi.
Il vero problema è che, pur essendo cresciuta l’età media di pensionamento, i lavoratori italiani vanno ancora in pensione troppo presto rispetto alla media europea, uomini e donne. La soluzione è quella di ristabilire, da subito, i criteri di uscita flessibili della legge del 1995 (legge Dini). Queste regole prevedevano una finestra di uscita tra i 57 e i 65 anni con livelli diversi della prestazione pensionistica che crescevano al crescere dell’età di pensionamento. Per agganciarsi alla normativa vigente per le pensioni di anzianità si potrebbe prevedere una finestra di 58-66 anni. Naturalmente in questo caso l’intera pensione (e non solo la quota contributiva) dovrà rispondere alle regole del sistema contributivo con una penalizzazione per chi va in pensione prima (una decurtazione della pensione) e un premio per chi va più tardi. Oltre a garantire una parità di trattamento tra uomini e donne, sarebbe salvaguardata la sostenibilità del sistema pensionistico e si realizzerebbero dei risparmi per le casse dello stato.

IL COSTO DEL CUMULO

Il pacchetto delle misure previdenziali varate dal governo contiene l’abolizione del divieto di cumulo tra rendite da lavoro dipendente o autonomo e prestazione da pensione di anzianità. Si potrà quindi lavorare e nello stesso tempo godere di una pensione di anzianità. Da notare che il divieto era sinora totale tra pensione di anzianità e lavoro dipendente e parziale tra pensione di anzianità e lavoro autonomo. Nell’ultimo caso era cumulabile un reddito corrispondente al minimo INPS più il 70% dell’eccedenza della pensione sul minimo, con una trattenuta comunque non superiore al 30% del reddito conseguito. Secondo le intenzioni del Ministro Sacconi  l’abolizione del cumulo mira a combattere il lavoro nero e far emergere il gettito sui redditi da lavoro ora sommerso. Ma la misura porterà anche a ridurre le entrate di coloro che al momento subiscono una trattenuta sui redditi da lavoro se pensionati. Inoltre l’abolizione del divieto di cumulo rende più appetibile l’opzione del pensionamento d’anzianità, abbassando l’età di pensionamento e facendo lievitare la spesa previdenziale. La Ragioneria Generale dello Stato stima un costo della totale cumulabilità pari a 390 milioni di Euro. Può essere una stima per difetto. Il provvedimento infatti si applica a tutte le pensioni di anzianità successive al 31 dicembre 2002. Secondo l’INPS lo stock di pensionati-lavoratori è di circa 2 milioni e 40mila, ma questo dato non  tiene conto di coloro che avrebbero comunque deciso di continuare a lavorare e in più potranno godere della loro pensione di anzianità. Se il flusso delle nuove pensioni di anzianità aumentasse del 40% (rispetto al flusso in assenza del cumulo), il costo potrebbe più che raddoppiare. E’ difficile fare delle previsioni accurate. Buona quindi l’idea della rimozione del divieto, ma andrebbe applicata in un sistema “neutrale”, quale il sistema contributivo, e non in un sistema in cui le pensioni di anzianità sono in media generose.

PENSIONI

PARTITO DEMOCRATICO

La proposta principale del Pd in tema di pensioni è successiva alla presentazione del programma e prevede:

– Bonus medio annuo di 400 euro annui per le pensioni sotto ai 25mila euro; dai 250 ai 100 euro per pensioni tra 25mila e 55mila euro. Si effettua attraverso l’applicazione di maggiori detrazioni fiscali.

Non ci sono provvedimenti per coloro che hanno pensioni inferiori agli 8.675 euro (età maggiore 64 anni) perché il governo Prodi ha già previsto una somma aggiuntiva tra 336 e 504 euro dal 2007, denominata quattordicesima.

– Estensione della quattordicesima alla fascia dagli 8.675 ai 25mila euro.
– Indice del costo della vita calcolato dall’Istat per le famiglie di pensionati per monitorare l’adeguamento al costo della vita delle pensioni. Adeguamenti sulla base di un indice “di sostenibilità” dato dal rapporto tra monte salari dei lavoratori dipendenti e numero dei pensionati.

Per l’invecchiamento attivo: agevolazioni alle imprese che assumono gli over 50 a tempo indeterminato, incentivi ai lavoratori che prolungano l’attività lavorativa oltre l’età pensionabile, abolizione del divieto di cumulo tra pensione e retribuzione

Il costo è di 2,5 miliardi di euro l’anno; la copertura si dovrebbe avere attraverso la riduzione della spesa primaria e la valorizzazione del patrimonio.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Il programma si riassume nella dichiarazione di Silvio Berlusconi del 25 marzo 2008: “Interverremo sulle pensioni più basse e le adegueremo al carovita”.

UDC

– Recupero potere d’acquisto delle pensioni dei dirigenti, dei quadri dell’industria del commercio e trasporti eccetera e dei dirigenti pubblici.
– Abolizione del provvedimento che azzera la perequazione delle pensioni nel 2008 (dell’ultima finanziaria), recuperando nel tempo l’importo dovuto
– Abolizione completa divieto di cumulo tra salari e pensioni
– Possibilità di versare volontariamente la contribuzione ordinaria per dirigenti che a causa di ristrutturazioni aziendali restano senza lavoro
La copertura si ha con il recupero di risorse attraverso risparmi dovuti, ad esempio, all’abolizione delle province.

SINISTRA ARCOBALENO

– Garantire una pensione netta non inferiore al 65 per cento dell’ultima retribuzione e comunque non inferiore ai 600 euro mensili (dal 2008). Tale cifra andrà rivalutata annualmente sulla base dell’inflazione reale.
– Incrementare attuali pensioni minime e basse fino a 800 euro netti.
– Rivalutare tutte le pensioni collegandole alla crescita della ricchezza del paese e calcolo dell’inflazione di riferimento sulla base di un paniere di beni essenziali.

– Tenere conto dell’anzianità e non solo dell’età nei criteri di accesso alla pensione.
– Riconoscimento di pensione anticipata ai lavori usuranti.
– Versamento volontario del Tfr all’Inps per tutti i lavoratori. Conferimento del Tfr ai fondi pensione reso reversibile.

COMMENTO

Il Pd, la Sinistra Arcobaleno e l’Udc hanno toccato un fenomeno importante: la progressiva erosione del potere d’acquisto delle pensioni che sono indicizzate al costo della vita, ma non alla crescita salariale. Problema, questo, particolarmente sentito per le pensioni più basse. Non ci sono chiare indicazioni sulla copertura della spesa addizionale.
In merito alle proposte, il Pd propone da una lato di dare dei bonus alle pensioni più basse e dall’altro di legare l’andamento delle pensioni, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica, correggendo per gli andamenti demografici.
Anche l’Udc si preoccupa degli adeguamenti al costo della vita, ma stranamente solo per alcuni gruppi di lavoratori, mentre la Sinistra Arcobaleno si spinge a riconsiderare la formula stessa del calcolo della pensioni proponendo l’inserimento di elementi “retributivi” nel sistema contributivo.
Ci sembra molto pericoloso reintrodurre elementi di spesa addizionali (come proposto dalla Sinistra Arcobaleno) che non sono necessariamente perequativi e che minano alla base l’equilibrio sostenibile del sistema contributivo che lentamente sta andando a regime.
Occorrerebbe anzi fare menzione dell’adeguamento più diretto alla accresciuta longevità, come previsto dalla legge del 1995.

TANTE NUOVE PROMESSE E UN’IDEA INNOVATIVA

Dopo la pausa pasquale e nonostante il visibile rallentamento della nostra economia, la campagna elettorale è ripresa a pieno ritmo all’insegna di nuove promesse, onerose per la finanza pubblica. Riusciranno mai i nostri politici a formulare proposte a costo zero per le casse dello Stato? La settimana scorsa l’Ocse ci aveva detto che, nel 2008, l’economia italiana crescerà dello 0,6 per cento circa; Questo significherebbe arrivare, senza toccare nulla, a bocce ferme, ad un rapporto deficit pil intorno al 2,5 per cento e quindi vicino a quella soglia del 3 per cento, parametro che non dobbiamo superare. Malgrado questi sviluppi, ecco immediatamente arrivare promesse di nuovi piani di spesa. Ieri Veltroni ha annunciato l’incremento delle pensioni, che peraltro non era nel programma del Partito Democratico; gli ha fatto subito eco Berlusconi anche lui promettendo aumenti delle pensioni. Bisognerebbe stare molto di più con i piedi per terra e quando si fanno delle promesse spiegare come verranno finanziate. C’è comunque un aspetto innovativo nella proposta del Pd, vale a dire l’idea di legare l’andamento delle pensioni, che oggi sono indicizzate al costo della vita, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica. E’ un’idea innovativa perché vuol dire che d’ora in poi i pensionati non si interesseranno soltanto di come vanno i prezzi, ma cercheranno anche di sostenere quelle riforme che dovessero aumentare l’occupazione e la produttività nel nostro paese.  E si potranno pagare pensioni più alte in termini reali solo nella misura in cui aumenta la produttività o il numero degli occupati o gli italiani lavorano più a lungo. Saranno incrementi, in altre parole, sostenibili, coerenti con l’equilibrio di lungo periodo dei nostri conti previdenziali.

PENSIONI

Un primo importante provvedimento è l’eliminazione dello scalone  (Legge 247/2007) che sostituisce allo “scalone” introdotto dal governo Berlusconi un criterio meno stringente secondo il quale si può andare in pensione di anzianità anche in presenza di criteri di anzianità contributiva ed età inferiori. L’accordo comporta un aumento di spesa previdenziale stimato in  circa 10 miliardi di euro in dieci anni.
L’altro provvedimento di rilievo è relativo al conferimento TFR. In particolare il Governo Prodi ha anticipato l’attuazione della riforma al 2007 (anziché 2008 come previsto dalla Legge Maroni). Accanto a questo anticipo viene anche introdotto un trasferimento del TFR in un fondo INPS per i dipendenti di aziende sopra i 50 dipendenti che non aderiscano ad un fondo pensione di categoria o altro fondo pensione (Legge 296/2006, Art. 1, comma 755-760).
Occorre poi menzionare una revisione aliquote contributive lavoratori tipici ed atipici, (Legge 296/2006, Art. 1, comma 749-750, 770-776; Legge 247/2007). Un aumento delle pensioni “ basse”,  e provvedimenti aumentare le pensioni dei giovani,  attraverso la totalizzazione dei contributi e la possibilità di  riscatto della laurea. Inoltre è stata introdotta una revisione dei  contributi figurativi,  per l’intero periodo di godimento delle indennità di disoccupazione,  calcolati non più sugli importi degli assegni di disoccupazione ma sulla retribuzione piena presa a riferimento per il calcolo degli assegni stessi nel caso di disoccupazione e lavori discontinui.  (Legge 247/2007,  Legge 296/2006).
In merito ai Lavori usuranti (Legge 247/2007) è stata formulata una delega a legiferare decreti legislativi, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal 1º gennaio 2008 impegnati in particolari lavori o attività la possibilità di conseguire, su domanda, il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi.
Secondo le stime del Ministero del Lavoro la lista di queste mansioni dovrebbe coinvolgere quasi 1,4 milioni di lavoratori con un costo massimo pari a 2,5 miliardi di Euro per dieci anni dei 10 preventivati per l’abolizione dello scalone.
Durante i lavori della Camera la Commissione aveva eliminato il riferimento che stabiliva il tetto di 80 notti per definire i lavori notturni usuranti ma il governo lo ha reintrodotto in dirittura di arrivo. Sono state individuate nuove categorie quali: lavoratori dipendenti notturni come definiti dal decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66;  lavoratori addetti alla cosiddetta «linea catena» ; conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone;
I lavoratori devono avere svolto nelle attività: nel periodo transitorio, un periodo minimo di sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa; a regime, un periodo pari almeno alla metà della vita lavorativa.

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

L’eliminazione dello scalone ha effetto a partire dal 2008, anno nel quale era previsto l’innalzamento dell’età minima pensionabile a 60 anni. Requisiti per il pensionamento:

Anno Età Anagrafica
  Lavoratori dipendenti pubblici e privati Lavoratori autonomi iscritti all’INPS
2008 58 59
2009 – dal 01/01/2009 al 30/06/2009 58 59

 

Requisiti a partire dal 2009:

Conferimento TFR: anticipata l’entrata in vigore all’inizio del 2007 anziché al 2008 previsto dalla Legge Maroni. L’analisi preliminare degli effetti (dati riferiti a luglio 2007) mostrano che per effetto del conferimento del TFR il tasso di adesione ai fondi pensione negoziali  è salito dal 13.3% del 2006 al 23.6% del 2007, contro un tasso atteso del 40%.  Il Ministero del lavoro sostiene però che occorrerebbe aggiungere i lavoratori che alla data del 30 giugno non hanno operato alcuna scelta esplicita. Si arriverebbe  così ad un tasso di adesione, secondo le stime ministeriali, del 34/35%.

Aumenti aliquote

Già in  finanziaria 2007 si erano già attuati alcuni aumenti delle aliquote contributive lavoratori artigiani e commercianti iscritti alle gestioni autonome dell’INPS sono stabilite in misura pari al 19,5%. A decorrere dal l° gennaio 2008, le predette aliquote sono elevate al 20 %.
Per i lavoratori iscritti alla gestione separata, l’aumento delle aliquote contributive al 23% (23.5% con i contributi aggiuntivi per maternità, malattia, etc.) ha avuto luogo a partire dal 1 gennaio 2007; dal primo gennaio 2008 e per i successivi 3 anni, è previsto un aumento ulteriore di 1 punto percentuale per anno in aggiunta, nel primo anno, ad un ulteriore incremento dello 0.25% per contributi di maternità, malattia, etc.). In questo caso il Governo Prodi è andato nella direzione di armonizzazione delle aliquote contributiva aumentando così la contribuzione totale che rappresenta il montante delle future pensioni dei lavoratori atipici.

Pensioni basse: a partire dal 2007 introdotta una una tantum aggiuntiva annua per le pensioni basse (pagata ad ottobre dello stesso anno).
La misura della somma aggiuntiva alle pensioni basse è calcolata in base all’anzianità contributiva. 
Lavori usuranti: devono essere stabilite le categorie che usufruiranno della definizione di lavoratori usurati.

OCCASIONI MANCATE

Ammorbidire lo scalone ha protetto circa 129.500 pensionandi d’anzianità, molti dei quali provenienti dal pubblico impiego e non ha quindi portato quei risparmi di spesa necessari a garantire pensioni migliori per i più giovani. Si è stimato che  l’eliminazione dello scalone porterà ad un aumenti di spesa di 10 miliardi di euro in 10 anni

Non è l’ultima sigaretta, forse neanche la penultima, di Tito Boeri e Agar Brugiavini
E’ una questione di metodo. Contributivo,  di Agar Brugiavini e Elsa Fornero;
Gli italiani e le pensioni, di Sandro Gronchi, 17.07.2007

Non è stato affrontato il nodo della  revisione dei coefficienti di trasformazione, in effetti slittata al 2010. E’ prevista una commissione col "compito di verificare e proporre modifiche" agli stessi.
Non c’è  all’interno del protocollo d’intesa, interventi volti alla diversificazione dei coefficienti di trasformazione al fine di considerare le differenze in termini di vita attesa a seconda della carriera lavorativa svolta.  Viene però istituita una apposita Commissione che dovrà valutare il rapporto intercorrente tra l’età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività. Sulla base dell’istruttoria svolta la Commissione dovrà fornire quindi entro il 31 Dicembre 2008 un parere sull’eventuale revisione dei coefficienti di trasformazione. Una definizione per il lavoro usurante, di Jacopo Canello e Stefano Marchiante, https://www.lavoce.info/articoli/pagina2619.html,  23.07.2007. Quando il lavoro è usurante di Matteo Richiardi , Roberto Leombruni e Mauro Gallegati

Non è l’ultima sigaretta, forse neanche la penultima

L’accordo sulle pensioni è stato firmato. Ma non è certo l’inizio di un nuovo patto intergenerazionale. E’ un tampone che serve a guadagnare tempo in attesa di nuovi correttivi. Tutti i problemi di fondo rimangono irrisolti. La “concertazione” non c’è stata. E continua l’opera di demolizione della riforma che ha introdotto il metodo contributivo. Bisogna assicurare vere coperture. Quelle sui parasubordinati non lo sono. Perché si scambia il vincolo di bilancio annuale dell’Inps con il vero vincolo di bilancio di un sistema previdenziale: quello che guarda al futuro.

E’ una questione di metodo. Contributivo

Il presidente del Consiglio presenta la “sua” proposta sulla riforma delle pensioni. Sarebbe un vero peccato se vertesse soltanto sullo scalone, che pure si può ammorbidire. A patto di saper progettare il futuro e di riaffermare il metodo contributivo, il punto forte della riforma del 1995. E l’unico in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni. Essenziale perciò approvare subito i nuovi coefficienti di trasformazione. Altrimenti si torna a un sistema pensionistico governato dalla discrezionalità politica.

Tanto rumore per nulla?

La reazione italiana al rapporto Ocse sulle pensioni ha sollevato un vespaio che ha tolto credibilità al nostro governo, rendendo ancora più difficile il negoziato in corso sulla riforma. Non si voleva far apparire il nostro sistema come troppo generoso. Ma se i “tecnici” del ministero della Solidarietà sociale avessero letto con cura le tabelle, avrebbero potuto notare che non lo è affatto. E magari anche che le stime dell’Ocse ipotizzano che vi sia nel frattempo una revisione dei coefficienti di trasformazione.

Il Tfr da ammortizzatore sociale a pilastro previdenziale

Sono soldi dei lavoratori, accantonati obbligatoriamente anno dopo anno, somme messe da parte come assicurazione contro il rischio di disoccupazione o per premunirsi da eventi avversi soprattutto sul finire della carriera lavorativa. Il Tfr, Trattamento di Fine Rapporto, ha svolto nella sua ormai lunga esistenza questa duplice funzione: è stato, da una parte, un ammortizzatore sociale per i lavoratori con lunghe anzianità aziendali, dall’altra, un capitale, la cosiddetta “liquidazione”, di cui poter fruire in caso di perdita del posto di lavoro oppure, verso la fine della propria vita lavorativa, per questioni di salute o l’acquisto di una casa. Oggi è soprattutto questa seconda funzione che è destinata a diventare più importante.

La liquidazione accumula per ciascun anno di lavoro una quota pari all’importo della retribuzione annua divisa per 13,5 (la retribuzione utile per il calcolo del Tfr comprende tutte le voci retributive corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo diversa previsione dei contratti collettivi). Tenendo conto che di questa quota una parte, lo 0,5% per la precisione, va all’Inps come contributo per le prestazioni pensionistiche, la quota accantonata annualmente in termini percentuali è pari al 6,91% della retribuzione utile. Questi accantonamenti sono stati sin qui quasi sempre trattenuti dalle imprese e remunerati con un rendimento molto basso, addirittura inferiore all’aumento del costo della vita quando l’inflazione era superiore al 6 per cento. Tempi non troppo lontani. Per questo per lunghi anni il Tfr ha rappresentato una fonte di finanziamento a basso costo per le imprese. Li iscrivevano a bilancio come passività, ma erano risorse a disposizione delle imprese, che potevano disporne liberamente. Salvo poi restituirli ai dipendenti, come un salario differito, nel momento in cui cessava il rapporto di lavoro. Memori di questa funzione, le imprese hanno fortemente protestato quando è stato deciso di permettere ai lavoratori di dirottare il Tfr alla previdenza integrativa. Hanno parlato di scippo del Tfr. Ma non sono soldi loro. Il Trattamento di Fine Rapporto appartiene ai lavoratori. Non sempre questi lo sanno. Dal 2005 il valore del Tfr maturato non è più presente come voce nel modello Cud. Anche se il lavoratore può, comunque, richiederlo in ogni momento al proprio datore oppure consultare l’ultima busta paga dell’anno e in sede di conguaglio fiscale, molti non lo fanno.

Bene diversificare le fonti di reddito durante la vecchiaia

Il Tfr è oggi chiamato a divenire un accantonamento per la vecchiaia che possa integrare pensioni pubbliche inevitabilmente sempre più magre, fornendo al lavoratore rendimenti da capitale gestito, anziché fissati per legge. Servirà a rafforzare la previdenza integrativa, largamente sottosviluppata nel nostro paese. Avere un secondo e un terzo pilastro previdenziale da affiancare a quello pubblico è un modo per diversificare i rischi. Anche i versamenti all’’Inps, infatti, comportano dei rischi. Fra questi c’è il rischio politico di cambiamenti nelle regole di calcolo delle pensioni o nei requisiti minimi per accedervi. Ne sanno qualcosa le generazioni coinvolte dallo scalone Maroni-Tremonti (che in una notte innalza di 3 anni i requisiti per andare in pensione). I sistemi pubblici, a ripartizione, sono anche esposti al rischio di declino della fertilità, rischio cui non sono soggetti gli schemi a capitalizzazione. Quindi diversificando il proprio portafoglio previdenziale, assicurandosi diverse fonti di reddito una volta ritiratisi dalla vita attiva, si riesce meglio a tutelare il proprio reddito futuro.

Il pilastro mancante

Oggi in Italia l’’unico reddito su cui si possa contare durante la propria vecchiaia sono le pensioni pubbliche in Italia. Quasi inesistenti il secondo e il terzo pilastro previdenziale, vale a dire i fondi pensione collettivi e quelli individuali. Il grafico qui sotto illustra il patrimonio dei fondi pensione in percentuale del prodotto interno lordo in diversi paesi. Vi sono paesi in cui questo rapporto è superiore al 100 %. Da noi i fondi pensione contano meno del 3% del pil. Tra i paesi Ocse siamo davanti solo a Corea e Turchia.

Fonte: T. Boeri, L. Bovenberg, B. Coeuré, A. Roberts (2006).

La mancanza di fondi pensione privati in Italia si spiega anche col fatto che il sistema pensionistico pubblico assorbe tantissime risorse. Il grafico qui sotto illustra il cosiddetto “effetto spiazzamento” esercitato da alti contributi obbligatori al sistema pubblico sul decollo della previdenza integrativa. Più alti i contributi al sistema obbligatorio (gli istogrammi scuri nel grafico), minori i contributi versati alla previdenza integrativa (istogrammi in chiaro). E’ la solita storia della coperta troppo corta. Se si destina quasi il 50% del proprio salario alle pensioni pubbliche rimane ben poco da destinare alla previdenza integrativa.

Fonte: T. Boeri, L. Bovenberg, B. Coeuré, A. Roberts (2006).

Ma cosa sono questo oggetto misterioso, i fondi pensione?

Ci sono diversi tipi di fondi pensione. La distinzione più importante è quella fra fondi collettivi (chiusi o aperti) e fondi individuali.

I fondi collettivi possono essere chiusi o aperti. Sono chiusi quando vi possono accedere solo i lavoratori appartenenti ad una data azienda o categoria. Sono aperti, quando in principio, tutti possono accedervi e la gestione del fondo risponde comunque a scelte di investimento che riguardano una pluralità di lavoratori.

I fondi pensione individuali o personali (da noi si chiamano Pip, piani pensionistici individuali) assicurano a chi li sottoscrive piani di investimento personalizzati a secondo delle proprie necessità. Si sceglie un profilo di rischio rispondente alle esigenze personali che cambiano notevolmente durante la vita lavorativa.

Gli schemi occupazionali ed individuali non sono necessariamente mutuamente esclusivi. Possono anche essere usati contemporaneamente: generalmente le grandi aziende in molti paesi offrono schemi di tipo occupazionale, mentre in altre imprese si ritiene meglio che i singoli provvedano alla stipula di pensioni individuali. I lavoratori possono anche versare contributi a pensioni personali, oltre che partecipare a schemi collettivi.
Entrambi i sistemi (collettivo e personale) hanno pro e contro, se osservati dal punto di vista dell’’investitore individuale. In particolare, gli accordi su base personale tendono ad essere più flessibili dal punto di vista dell’’individuo, ma al contempo tendono a costare di più perché i costi di gestione del portafoglio non possono essere spartiti su di una pluralità di individui.
Gli accordi collettivi stipulati tramite il datore di lavoro hanno per molti lavoratori vantaggi superiore a quelli forniti dai sistemi individuali. Sono più efficienti dal lato dei costi, poiché non comportano costi di vendita, di consulenza e di amministrazione di un singolo portafoglio. Inoltre permettono ad individui, che abbiano limitate conoscenze sul funzionamento dei mercati finanziari, di delegare decisioni difficili e condividere il rischio con altri. Solo gli accordi collettivi permettono questa condivisione del rischio, tanto fra lavoratori e datori di lavoro che tra diverse generazioni di lavoratori. Ad esempio, i lavoratori più giovani possono prendere più rischi e investire sui mercati azionari mentre quelli più anziani possono investire di più sul reddito fisso, assicurando nel complesso un portafoglio bilanciato al fondo.
I fondi pensione oggi esistenti in Italia sono a contribuzioni definite. Questo significa che la pensione che si riceve dipende direttamente dai contributi versati e dai rendimenti ottenuti tramite il fondo. Altrove esistono anche schemi a prestazioni definite in cui il datore di lavoro (o il promotore del fondo) è tenuto a garantire al contribuente una data percentuale del salario medio o dell’’ultimo salario. Ma sono sempre meno i fondi pensione di questo tipo.

Chi può cambiare la destinazione del Tfr e come?

Torniamo dunque all’’opzione offerta dallo smobilizzo del Tfr e chiediamoci innanzitutto chi potrà esercitarla.
Potranno decidere cosa fare del proprio tutti i lavoratori dipendenti del settore privato e i lavoratori autonomi, ovvero tutti i lavoratori con un contratto di lavoro dipendente in forza del quale matura il Tfr. Si tratta di circa 11 milioni di lavoratori. Tra questi non figurano i collaboratori coordinati e continuativi, con o senza modalità a progetto. Sono, al momento, esclusi dal campo di applicazione della riforma le collaboratrici domestiche e i loro datori di lavoro, oltre ai pubblici dipendenti ai quali continua ad applicarsi la disciplina vigente.
Questi lavoratori avranno piena libertà di scelta circa il fondo nel quale far confluire il proprio Tfr, ma la scelta sarà di natura diversa e avverrà in tempi diversi a seconda della data di assunzione. Due date sono importanti : il 29 aprile 1993 e il 31 dicembre 2006.
Chi è stato assunto prima del 29 aprile 1993, avrà la possibilità di frazionare il Tfr, lasciandone una parte all’’impresa e un’altra parte in un fondo pensione. Nell’’ipotesi in cui abbia già aderito a un fondo pensione, potrà infatti continuare a contribuire con la stessa quota versata in precedenza, mantenendo presso il datore di lavoro il resto del Tfr maturando; oppure potrà versare ai fondi l’intera liquidazione futura. Se, al contrario, non è ancora iscritto a fondi pensione potrà scegliere di trasferire il Tfr futuro anche solo nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza di questi, in misura non inferiore al 50 per cento.
Chi, invece, è stato assunto dopo il 29 aprile 1993 non potrà “frazionare” la destinazione del Tfr futuro: potrà solo spostare l’intero accantonamento a un fondo pensione oppure tenerlo in azienda.
La scelta del lavoratore potrà essere espressa fino al 1 luglio 2007 per chi è stato assunto entro il 31 dicembre 2006.
Chi, invece, è stato assunto a partire dal 1 gennaio 2007 potrà spostare il Tfr integralmente verso un fondo pensione avendo 6 mesi di tempo a disposizione dalla data di assunzione. Quindi il suo tempo di scelta potrà estendersi dopo il 1 luglio 2007.
Nel caso in cui il lavoratore decida di mantenere il Tfr in azienda, questa scelta sarà sempre revocabile. Al contrario, la scelta di trasferire il Tfr ad un fondo pensione non e’ revocabile. Si potrà solo cambiare il fondo pensione scelto dopo due anni, ma le quote future del Tfr dovranno sempre confluire in un fondo pensione e non potranno più ritornare in azienda.

Un’opportunità per i giovani

Il Tfr servirà soprattutto ai lavoratori più giovani per avere una pensione adeguata fra 30-40 anni, sfruttando i più alti rendimenti offerti dalla previdenza integrativa rispetto al sistema pubblico. Per i giovani i tassi di rimpiazzo (ovvero il rapporto tra prima prestazione pensionistica e ultimo salario) delle generazioni che vanno in pensione ora sono irraggiungibili, pur conteggiando trenta o quaranta anni di versamenti al Tfr. Questo perché la pensione pubblica offrirà un rimpiazzo del reddito da lavoro del 35-40 per cento nei casi migliori, contro l’’attuale 65-70 per cento. L’’unica via per coprire questo “buco” pensionistico è garantire, specialmente ai giovani, rendimenti più elevati all’’accantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto (si vedano le stime nel contributo di Agar Brugiavini a questo volume).
Al tempo stesso i giovani sono chiamati a destinare fino a quasi il 50% della propria retribuzione a chi oggi a 57 anni (dopo 35 anni di lavoro) va in pensione. L’’aliquota di equilibrio dei lavoratori dipendenti (il contributo che dovrebbe essere pagato per azzerare il deficit dell’’Inps) è infatti vicina al 45 per cento. Questo significa che i giovani hanno a disposizione poche risorse da investire in previdenza integrativa. Il Tfr rappresenta per tutte queste ragioni un’opportunità irripetibile. E’ una opzione che va assolutamente esercitata.

L’importanza di decidere

I lavoratori che decidono espressamente e nel più breve tempo possibile cosa fare del Tfr si troveranno in una posizione di vantaggio rispetto a coloro che, invece, lasceranno decorrere i termini senza avere espresso una scelta e ricadranno perciò nel regime del silenzio-assenso. Ai primi verrà concesso di trasferire i fondi alla destinazione da loro preferita fin dal mese successivo a quello in cui l’opzione viene esercitata. Nel caso optassero per i fondi di pensione di categoria e versassero una piccola quota aggiuntiva al fondo prescelto, potranno in molti casi ricevere anche un contributo aziendale (attorno all’’1,2% del salario annuale, più di 200 euro per un lavoratore medio). Per i secondi, il trasferimento avverrà solo dal primo luglio 2007 e sarà a condizioni meno vantaggiose: senza contributo aziendale e con rendimenti più bassi. Il fatto è che i fondi che ricevono il Tfr in silenzio assenso sono tenuti a un profilo di investimento molto prudenziale, che rende più o meno come il Tfr, inadatto soprattutto per i lavoratori più giovani. Chi non sceglie avrà così un triplo svantaggio: smobilizzo più tardi, meno soldi versati e che rendono di meno. Quindi la mancata espressione della propria volontà può costare tantissimo ai lavoratori, facendo loro perdere gran parte dei vantaggi offerti dallo smobilizzo del Tfr nel costruirsi una previdenza complementare. Pur ipotizzando rendimenti netti per i fondi pensione attorno al 4%, nel giro di 30 anni la mancata scelta potrebbe costare per un lavoratore medio fino a 6.000 euro, quasi il 10 per cento del capitale messo da parte con lo smobilizzo del Tfr.
Insomma il lavoratore che non sceglie, o tarda a scegliere, ci perde e non poco.

I veri amici dei lavoratori

I dati riportati nell’intervento di Jappelli e Lapadula in questo volume e numerosi sondaggi condotti in questi mesi documentano che i lavoratori sovrastimano i rendimenti del Tfr e delle pensioni pubbliche mentre sottostimano quelli della previdenza integrativa. Più del 50 per cento dei lavoratori dipendenti in Italia ignora, ad esempio, quale percentuale del proprio salario vada ogni mese alle casse dell’’Inps come contributo previdenziale. Un altro 15 per cento sottostima abbondantemente (di almeno un quarto) l’entità di questo prelievo. Un lavoratore su due poi crede che i contributi versati all’’Inps alimentino un suo fondo personale cui potrà attingere all’’atto del pensionamento. I giovani coinvolti dalle riforme Dini, Amato e Prodi, sovrastimano le loro pensioni future e non di poco: pensano di avere diritto tra il 10 e il 20 per cento in più del loro ultimo salario.
Purtroppo la campagna di informazione sullo smobilizzo del Tfr è in ritardo. I moduli di adesione sono stati predisposti solo a fine gennaio; questo ha finito per svantaggiare proprio le imprese virtuose che, assieme alla busta paga di dicembre, avevano fornito ai dipendenti un prospetto informativo “fatto in casa” e avevano già cominciato a raccogliere le adesioni alle diverse opzioni prospettate.
Questa estesa disinformazione si spiega col fatto che i Governi che si sono succeduti in questi anni non hanno fatto nulla per assicurare una migliore informazione ai propri cittadini. Probabilmente perché temevano che gli elettori li avrebbero puniti una volta compreso di quanto le loro pensioni erano state ridotte dalle riforme degli anni ‘90.
Ma anche i sindacati hanno non poche responsabilità. Sono a loro che i lavoratori guardano principalmente per farsi un’opinione su ciò che convenga fare. E molti quadri sindacali sono oggi assolutamente impreparati. Infarciti di ideologia, non sanno spesso di cosa si stia parlando e non possono perciò assistere i lavoratori. Mentre il modo con cui il sindacato ha reagito all’operazione Tfr all’Inps durante l’iter di approvazione della Finanziaria 2007 dimostra che il sindacato si è fortemente disinteressato del problema. Ha lasciato che fossero i datori di lavoro a parlare di scippo quando le vittime dello scippo erano semmai i propri iscritti.
I veri amici dei lavoratori si vedranno nei prossimi mesi. Chi è dalla loro parte deve cercare di informarli sulle opzioni a disposizione, dando loro l’opportunità di compiere una scelta meditata e tempestiva. Questo volume intende proprio dare un modesto contributo in questa direzione.

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