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Autore: Alessandro Lanza Pagina 10 di 11

lanza Direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei, ha conseguito il Ph.D in Economics presso l’University College of London. È stato Chief Economist dell’Eni, amministratore delegato di Eni Corporate University e Principal Administrator dell’International Energy Agency (Energy and Environment Division). È stato consigliere di amministrazione dell’ENEA in rappresentanza del ministero dello Sviluppo economico. Autore di molte pubblicazioni su temi legati ad energia e ambiente è stato anche Autore principale (Lead Author) per il Third Assessment Report ed il Fifth Assessment Report per conto del IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change). Docente all’Università Luiss e alla Luiss Business School. Membro dell’Editorial Board de lavoce.info. Socio Fondatore dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse Naturali e della Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC).

CLIMA: TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO

Le emissioni vanno ridotte se non vogliamo il surriscaldamento del pianeta e le sue disastrose conseguenze. Un obiettivo ambizioso consente una decisa azione immediata, offre una metrica precisa per valutare se quelle azioni sono efficaci e mobilita la società internazionale. Su un piatto della bilancia ci sono i costi molto alti che non vogliamo o non possiamo sostenere, ma sull’altro c’è la consapevolezza che l’assenza di investimenti ingenti porta il nostro pianeta a uno stato di stress non più sostenibile. E allora? Solo la politica ci può salvare.

IL GIOCO DI PECHINO NELLA PARTITA DEL CLIMA

Al summit sui cambiamenti climatici di New York la Cina si è impegnata a ridurre la propria intensità carbonica, ovvero il rapporto emissioni-Pil, di un “margine notevole” entro il 2020. Una misura simile porta solo in linea teorica a un calo delle emissioni. Perché gli incrementi del Pil possono ampiamente compensare le riduzioni che derivano dai miglioramenti di efficienza. E se la crescita economica è per i paesi in via di sviluppo una variabile incomprimibile, è chiaro che alla conferenza di Copenaghen non si potrà trovare nessun accordo sui livelli di emissione.

DIMENTICARE KYOTO CI COSTA CARO

Un dibattito acceso sui costi per adempiere al 20-20-20 europeo. Ma non si tiene conto che il nostro paese è ben lontano dal raggiungimento degli obiettivi assunti con la firma del protocollo di Kyoto. Forse, accettare l’obbligo di una riduzione del 6,5 per cento delle emissioni di gas serra è stato eccessivo. Ma una volta preso l’impegno, i governi che si sono succeduti avrebbero dovuto onorarlo. Così non è stato. Anzi, le emissioni hanno continuato a crescere. Il mancato rispetto di Kyoto, ormai un dato acquisito, potrebbe costare intorno ai 2 miliardi di euro per anno.

L’ACCISA CHE INFIAMMA LA BENZINA

Al di là degli aspetti tecnici, i meccanismi automatici di sterilizzazione degli incrementi del prezzo del barile attraverso la fiscalità pongono alcuni problemi. Intanto, ha senso fissare per legge una soglia di prezzo del petrolio? E in caso, non si dovrebbe anche aumentare l’accisa per mantenere inalterato il costo dei carburanti? Né i prodotti petroliferi sono gli unici inflattivi. Soprattutto però è sbagliato il messaggio. Perché non bisogna mai dimenticare che il petrolio è una risorsa esauribile e il suo consumo produce effetti negativi sull’ambiente.

A BALI PER UN CLIMA MIGLIORE

La Conferenza di Bali sul cambiamento climatico è un passaggio che darà i suoi frutti più concreti nei mesi a venire. I paesi che hanno firmato e ratificato il protocollo di Kyoto sono all’alba di una scadenza istituzionale rilevante: il primo gennaio 2008 inizia ufficialmente il primo periodo di impegno. L’Europa a 15 sembra sulla buona strada per rispettare gli impegni. Convincere Stati Uniti, Cina e India a intraprendere una strada negoziale è comunque indispensabile, anche se non semplice, perché richiede di saper guardare al di là del proprio interesse immediato.

Clima, il destino dell’Europa

Oggi la Commissione europea adotta una Comunicazione al Consiglio dei capi di Stato e di governo e al Parlamento europeo denominata “Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius – Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond”. Il suo punto di partenza è la constatazione che il cambiamento del clima è in atto. Interventi urgenti per contenerlo entro livelli tollerabili sono perciò necessari. Il testo della Comunicazione e lo studio di supporto riaffermano la volontà di intervento e la leadership europea nei confronti del fenomeno.

Clima nuvoloso su Nairobi

Le conclusioni del rapporto Stern potevano avere un impatto significativo sui tavoli del negoziato all’annuale meeting Cop/Mop conclusosi qualche settimana fa a Nairobi. Invece, anche questa volta i progressi sono scarsi. Al solito, bisogna guardare al futuro. Anche se una lezione l’abbiamo imparata: al termine degli incontri ufficial-istituzionali aventi per tema il clima e i suoi cambiamenti vi sono sempre quelli che ne decretano il successo e quelli che ne bollano l’insuccesso. A Nairobi quanti erano i primi e quanti i secondi?

Il rapporto Stern tra allarmi e allarmismi

Lanciare continui allarmi sui cambiamenti climatici può rivelarsi controproducente. Perché su fenomeni come questo il fattore incertezza regna sovrano. Anche il rapporto Stern fa dell’inutile allarmismo, quando parla di costi che possono arrivare fino al 20 per cento del Pil mondiale? Tre i punti critici: il tasso di sconto utilizzato vicino allo zero, la valutazione degli impatti e la conseguente stima del danno e l’impiego di un solo modello di valutazione integrata. E’ un documento utile, ma lascia intatte le domande centrali della politica del clima.

Clima di allarme

A pochi giorni dal primo anniversario della entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il negoziato sui cambiamenti climatici fa un passo avanti e uno indietro. Il giudizio degli osservatori ricorda la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Intanto, si moltiplicano gli allarmi e si considerano le possibili soluzioni. D’altra parte, non è facile trovare un’intesa sulle emissioni nocive. I costi di una loro riduzione sono vicini e certi, i benefici sono lontani e incerti. La spaccatura verte essenzialmente sul dilemma “vincoli sì-vincoli no”.

Effetto caro-petrolio

Il greggio è rincarato di oltre il 60 per cento nel 2005. Ma le conseguenze per crescita e inflazione non sono le stesse registrate in altre crisi petrolifere. Soprattutto perché quello attuale è uno shock da domanda e non da offerta. Resta però una sostanziale vulnerabilità dei paesi occidentali. Prezzi crescenti del petrolio agiscono come una potente tassa sui consumatori che comprimono così la spesa per altri beni. La stagnazione dell’economia, poi, non consente di attutire l’impatto attraverso un incremento dei redditi. Con riflessi anche sui risparmi.

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