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Autore: Carlo Favero Pagina 3 di 4

facero Carlo Favero ha conseguito il D.Phil. in Economics presso la Oxford University dove è stato membro del Oxford Econometrics Research Centre. Attualmente è professore ordinario di Economics presso l’Università Bocconi. E’ membro del comitato di direzione del Giornale degli economisti e Associate Editor della European Economic Review. Inoltre è research fellow del Cepr, membro del comitato scientifico del Euro Area Business Cycle Network, del Centro Interuniversitario Italiano di Econometria (Cide) e della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. Le sue aree di interesse scientifico sono la politica monetaria, il comportamento delle Banche Centrali, i modelli econometrici del meccanismo di trasmissione della politica monetaria.

Crescita: nel 2015 potremmo riavvicinarci agli Stati Uniti

Negli ultimi anni il divario tra il tasso di crescita italiano e quello degli Stati Uniti è stato notevole. Le cause sono sia strutturali sia congiunturali. Ora, la congiuntura fa sperare che il differenziale si possa ridurre nel prossimo futuro. A patto di rispettare gli impegni sulle riforme.

Un Nobel per tre

Il premio Nobel per l’economia a Fama, Hansen e Shiller testimonia che, sebbene l’ipotesi di mercati efficienti sia contraddetta da crisi finanziarie e anomalie varie, per la maggioranza degli investitori rimane valida la sua implicazione principale: battere il mercato è molto difficile.

Quella ricchezza che arriva da lontano

Il problema del debito non può essere risolto prescindendo dalla ricchezza privata. L’Italia dovrebbe chiedere un contributo a favore della crescita a quelle generazioni che hanno beneficiato di una tassazione del reddito troppo bassa. E dovrebbe mobilitare la ricchezza pubblica verso il credito.

Volatilità non fa rima con irrazionalità

Dal 2008 in poi la volatilità dello spread Btp-Bund è molto simile a quella della fase pre-euro. Ma prima di parlare di irrazionalità dei mercati sarebbe forse utile riflettere su quale sarebbe il costo di finanziamento del debito pubblico e privato se l’Italia uscisse dalla moneta unica.

Più Europa per la crescita

Efsf e programma Omt fanno sì che gli spread sui titoli di Stato tornino a riflettere i fondamentali dei paesi. Ma ciò non basta per garantire una crescita equilibrata dell’Europa. Che invece richiede più istituzioni europee. Per favorire una vera integrazione serve uno strumento centralizzato per il finanziamento delle attività di esportazione delle aziende dell’area euro. La competizione nei mercati internazionali sarebbe così su qualità e prezzo del prodotto e non in base alla forza dei rispettivi sistemi finanziari. Il tutto nel pieno rispetto dei vincoli di bilancio.

POLITICA MONETARIA COMUNE, MA TASSI DIVERSI

La Banca centrale europea controlla direttamente i tassi a breve termine. Tuttavia, le decisioni di investimento e consumo dipendono dai tassi reali a lungo termine, che sono molto diversi tra gli Stati europei perché diversi sono i fondamentali fiscali e il sentimento di mercato rispetto a ciascun paese. Ma ciò significa che la politica monetaria comune raggiunge le varie economie degli Stati membri in maniera assai eterogenea: i paesi che più beneficerebbero da tassi bassi sono invece penalizzati da alti rendimenti.

V COME RIPRESA

Sarà una W o una V la lettera che descriverà l’andamento grafico del tasso di crescita dell’economia americana e di quella mondiale nel corso del prossimo anno? I dati del secondo semestre 2009 sostengono l’ipotesi che la combinazione di politica fiscale e monetaria ha avuto successo nel contrastare gli effetti dello shock di domanda. Il rientro delle misure fin qui adottate potrebbe però portare a un secondo minimo. Ma questa analisi non tiene conto del ruolo dell’incertezza nel determinare il ciclo economico. E il suo andamento fa pensare che vedremo una V.

LE RAGIONI DI UNA MOSSA A SORPRESA

L’intervento di ieri del Fomc è un caso emblematico di politica monetaria ben giustificata dai risultati della ricerca empirica. Nel breve periodo una limitazione delle fluttuazioni del mercato azionario americano riduce la probabilità di entrare in una fase di alta volatilità, con fenomeni di panico irrazionale. Nel lungo periodo la diminuzione del premio al rischio può compensare una riduzione attesa della crescita dei dividendi futuri generata dal potenziale rallentamento dell’economia e stabilizzare così il mercato.Bernanke lo aveva già spiegato nel 2003.

Il goal non segna la crescita

L’Italia ha vinto i campionati del mondo di calcio. La banca olandese Abn-Amro aveva accreditato l’Italia di uno 0,7 per cento in più di crescita in caso di vittoria ai mondiali. Ma lo scenario non ha nulla di reale. Infatti, lo studio non cerca di isolare l’effetto della vittoria sul Pil dopo aver tenuto in considerazione tutte le altre variabili che determinano la performance di un’economia. Se poi si guardano i dati, si scopre che chi vince va peggio dal punto di vista economico rispetto all’anno immediatamente precedente e al successivo. E che il paese vincitore cresce meno in media dell’altro finalista.

Una bussola nella jungla dei fondi

Per il risparmiatore che vuole investire nei fondi azionari è fondamentale capire opportunità e rischi offerti dagli innumerevoli prodotti presenti sul mercato. Per questo, ogni fondo è obbligato a indicare con precisione un paniere di riferimento, costituito da uno o più indici generali di mercato. Il benchmark ha il ruolo fondamentale di indicare il rischio e il rendimento della cui responsabilità il gestore si sente sollevato nei confronti dell’acquirente. Attenzione, perciò, alle pratiche disinvolte che “abbelliscono” i risultati ottenuti dal gestore.

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