Lavoce.info

Autore: Claudio Virno

Claudio Virno si è laureato in Economia e Commercio all’Università “la Sapienza” di Roma e in seguito ha proseguito gli studi di finanza pubblica usufruendo di varie borse di studio e contratti di ricerca. Ha collaborato con numerosi centri di ricerca e ha svolto incarichi di insegnamento presso l’Università Bocconi di Milano. E’ stato componente del Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici del Ministero del bilancio (poi, dell’economia). Attualmente è consulente di enti pubblici e privati (tra cui, Confindustria e la Presidenza della Repubblica). I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente la spesa pubblica, i programmi di sviluppo, la valutazione degli investimenti e le problematiche connesse al bilancio dello Stato.

IL FAS? MEGLIO ABOLIRLO

L’unificazione della politica regionale comunitaria finanziata attraverso i fondi strutturali con quella nazionale finanziata dal Fondo per la aree sottoutilizzate non ha dato i risultati sperati. Occorre prendere atto che la capacità programmatoria e progettuale delle amministrazioni è limitata. E gli stanziamenti pluriennali non sono più un incentivo ad accelerare il processo di programmazione. Semmai contribuiscono a dirottare le risorse verso altre destinazioni. Meglio quindi rinunciare al Fas, nell’interesse delle stesse Regioni meridionali.

INVESTIMENTI PUBBLICI, LA MANOVRA CHE NON C’E’

Anche in Italia il piano anticrisi è in parte affidato alla realizzazione di opere pubbliche. Tuttavia nelle intenzioni del governo il riequilibrio dei conti pubblici passa proprio per una riduzione della spesa in conto capitale. Per questo finora si è fatto troppo poco. Opportuno varare un fondo per un programma di investimenti pubblici in chiave anticiclica, con nuove risorse, da chiudersi entro due anni. Dovrebbe includere interventi infrastrutturali di piccole e medie dimensioni e di rapido avvio. Con una valutazione preventiva degli effetti economici e occupazionali.

QUALCHE DATO IN PIU’

Come accadde negli anni ’90, il Governo ha previsto di ridurre l’indebitamento pubblico anche attraverso una significativa flessione delle spese in conto capitale sia in percentuale del PIL che in valore assoluto.
La tabella 1 sintetizza questa strategia esposta nell’ultimo DPEF.
Il DPEF riformula le previsioni a legislazione vigente contenute nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza (RUEF) del marzo scorso, riducendone i valori per effetto di alcune misure già intraprese (decreto legge 93/2008, abolizione ICI) e di nuove ipotesi sull’effettivo utilizzo delle risorse. Tali effetti sono visibili nel rigo D e confermano un abbassamento omogeneo di tali previsioni tendenziali tra marzo e luglio di 3-4 miliardi per ciascun anno.
Più significativa comunque è la flessione tra programmatico e tendenziale relativo alla stesso DPEF (rigo E). A regime, nel 2011, nel quadro programmatico si avrebbero minori spese in conto capitale per circa 11 miliardi di cui la metà relativi ad investimenti pubblici.
Se poi si considerano gli effetti totali (misure già avviate e successive alla pubblicazione della RUEF più misure da attivare con l’approvazione del DPEF, rigo F) si osserva che la caduta di tali spese raggiunge livelli molto elevati, con riflessi in termini di PIL dell’ordine di quasi 1 punto percentuale tra il 2008 e il 2013.

Tab. 1 – Spesa in conto capitale e investimenti fissi lordi della PA: previsioni a legislazione vigente e previsioni programmatiche (milioni di euro)

APRI TABELLA

Fonte: Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza (RUEF) per il 2008; DPEF 2009-2013

Può essere inoltre utile confrontare il rigo C della tab. 1 con le ultime previsioni formulate dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS) del Ministero dello sviluppo, predisposte al fine di approntare la programmazione delle risorse per l’intero periodo 2007-2013 e di costruire un Quadro Finanziario Unico di cassa che funzionasse come una sorta di “obiettivo di spesa” annuale.

  2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
QFU(*) programmatico
Spese in conto capitale
63.200 66.500 68.500 71.500 74.400 76.500 79.500

(*) Quadro Finanziario Unico stimato dal Dipartimento per le politiche di sviluppo del Ministero dello sviluppo economico al fine delle allocazione delle risorse ordinarie  straordinarie tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Tale stima è al netto di eurotassa, cartolarizzazioni, sentenza IVA, debito ex Ispa, ecc.

Fonte: Rapporto 2007 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS)

La differenza, come si vede, è piuttosto impressionante: il DPS (nel mese di marzo 2008) aveva infatti stimato per il 2013 una spesa in conto capitale di circa 22 miliardi superiore a quanto poi riportato nell’ultimo DPEF.
Ugualmente, sembra che la flessione della spesa debba passare per una riduzione delle dotazioni finanziarie destinate al riequilibrio territoriale (leggi: Mezzogiorno) come risulta dalla tab. 2 tratta dalla manovra in atto con decreto legge 112/2008.

Tab. 2 – Riduzioni delle dotazioni finanziarie della missione di spesa “Sviluppo e riequilibrio territoriale” (2009-2011) (milioni di euro)

  2009 2010 2011 Totale
Missione 28:
Sviluppo e riequilibrio territoriale
1.747 2.111 3.862 7.720
% su riduzioni dotazioni
tutte le missioni ministeriali
21,5 24,8 25,4 24,2

Fonte: Decreto legge 112/2008

Ridurre il deficit attraverso le spese in conto capitale e in particolare comprimendo gli investimenti nel Mezzogiorno può sembrare poco accettabile. Ma è proprio così?
Certo, qualcuno dovrebbe informare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che ha rilanciato il programma delle grandi opere richiedendo nuovi finanziamenti per importi non coerenti con quelli del DPEF. Ma, a parte questo, non vi è nulla di veramente scandaloso nella riduzione delle spese in conto capitale soprattutto se esse contengono sprechi e inefficienze in misura equivalente a quelle relative alla spesa corrente. In altri termini, se tale spesa non contribuisce nella maniera dovuta a ridurre i costi per le imprese e/o ad aumentare i servizi per i cittadini essa non può essere considerata spesa “buona” rispetto a quella corrente. Non conosciamo analiticamente gli effetti della spesa per investimenti pubblici; tuttavia molti segnali (e analisi parziali) ci informano che essa non raggiunge gli obiettivi desiderati o non lo fa a costi accettabili.
Cosa dunque dovrebbe cambiare? Questo o un altro Governo potrebbe senza problemi ridurre la spesa in conto capitale anche in maniera consistente, a condizione che decreti contestualmente la fine della spesa non selettiva, ossia quella spesa prevista e realizzata senza una preventiva (e successiva) misurazione dei risultati.
Se la riduzione di spesa colpisce programmi e progetti che proseguono stancamente nel tempo con continui rifinanziamenti senza offrire un effettivo contributo a una maggiore dotazione infrastrutturale (dove peraltro ve n’è realmente bisogno), ben venga.
Ma per dar seguito allo scambio minore spesa = maggiore efficienza occorre dichiarare esplicitamente questa intenzione e lavorarci molto su.
Occorre un attento lavoro di misurazione e valutazione, che non è mai stato fatto nel nostro paese e che ancor oggi viene visto con diffidenza (siamo ormai gli ultimi in Europa).
Oggi è possibile (anche con l’aiuto dell’informatica) fare ricorso a metodi di valutazione sufficientemente rigorosi ma di facile applicazione. Perché non lanciare una vasta campagna governativa sulla necessità della valutazione degli effetti degli investimenti pubblici in presenza di risorse molto e sempre più scarse?

SPESA PER IL SUD, SI CAMBIA

La manovra economica del governo dà un giudizio implicito, ma impietoso delle politiche di riequilibrio territoriale finora adottate. E infatti i risultati conseguiti nel Mezzogiorno nel ciclo di programmazione 2000-2006 sono sconfortanti. Ora, la manovra centralizza le risorse, proponendo di concentrarle su un limitato numero di interventi di rilevanza strategica nazionale. Il disegno governativo sarebbe più comprensibile, tuttavia, se indicasse precisi criteri di valutazione per selezionare i progetti, come vogliono anche le regole europee. Qualche dato in più.

A Sud niente di nuovo

Nelle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno anche questo governo cade nell’equivoco. E scambia la difficoltà di utilizzare le risorse con una loro presunta scarsità. Invece di preoccuparsi della capacità di spesa, meglio farebbe a controllarne la qualità. La programmazione unica per Fas e fondi strutturali rende ancora più probabile rispetto al passato l’osmosi tra vari tipi di finanziamento. Sarebbe stato molto più utile “specializzare” i singoli fondi, finalizzandoli a determinati progetti. Si sarebbero evitate pericolose sovrapposizioni.

Mezzogiorno, prima si cambia meglio e’

L’esperienza della Nuova programmazione ha finora conseguito risultati deludenti in termini di crescita del Pil e dell’occupazione, nonché di riduzione dei divari infrastrutturali tra il Mezzogiorno e il resto del paese. Si tratta ora di accertare le cause di quel fallimento e di individuare, anche in vista della nuova legislatura e dell’avvio di un nuovo ciclo di programmazione, le correzioni necessarie da apportare alla politica di sviluppo territoriale sia sotto il profilo procedurale che sotto quello sostanziale.

Se alle grandi opere mancano le fondamenta. Della valutazione

La Legge obiettivo è uno “sportello” per il finanziamento di iniziative già decise da accordi politici tra l’amministrazione centrale e quelle locali. Vincolato unicamente agli stanziamenti disponibili sul bilancio dello Stato. Non si procede così a nessuna valutazione economica degli effetti degli investimenti pubblici. I meccanismi accelerativi della legge consentono anzi l’ammissione al finanziamento di opere non ben delineate e prive di progettazione. E le incertezze sui costi definitivi e sui ricavi futuri allontanano i capitali privati.

Le mezze verità sul Mezzogiorno

Gli obiettivi qualitativi e quantitativi previsti nelle linee programmatiche per il Mezzogiorno non sono stati raggiunti. Siamo lontani dal destinare al Sud il 45 per cento delle spese complessive in conto capitale. L’addizionalità delle risorse e la qualità degli investimenti non sono stati garantiti. Invece di riconoscere gli errori di programmazione e le responsabilità delle amministrazioni locali, ci si compiace di aver evitato finora il disimpegno automatico, distogliendo così l’attenzione dal basso livello di spesa.

Pagina 3 di 3

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén