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Autore: Diego Corrado Pagina 1 di 2

corrado Avvocato, dottore commercialista e revisore contabile, è stato docente di diritto commerciale all’Università Bocconi e alla SDA Bocconi e visiting scholar alla Universidade de São Paulo in Brasile. Si occupa di diritto commerciale e fallimentare, internazionalizzazione d’impresa e operazioni di finanza straordinaria. Autore di numerosi saggi e monografie (tra cui “I rapporti di lavoro nel fallimento”, Torino, 2007, con Alessandro Corrado), il suo ultimo libro è “Brasile senza maschere. Politica, economia e società fuori dai luoghi comuni” (Università Bocconi editore, 2013).

Cig concorsuale: a volte serve ancora

La nuova disciplina della cassa integrazione concorsuale penalizza ingiustamente le situazioni in cui l’impresa fallisce e non viene disposto l’esercizio provvisorio, anche se l’azienda è appetibile sul mercato. Disoccupazione di lunga durata e una soluzione che eviti disparità di trattamento.

Campanello d’allarme per il Brasile

Il Brasile non cresce più a ritmi vertiginosi. E per questo sembra delinearsi un cambiamento del modello macroeconomico, spostando la domanda dal consumo agli investimenti, per aumentare la produttività dell’industria e sopperire alle carenze infrastrutturali. Ne è un esempio la legge sui porti.

SAN PAOLO, DOVE L’IVA NON SI EVADE

La lotta all’evasione fiscale è tornata di attualità. Ma il modo migliore per incentivare il buon comportamento fiscale non è tanto il controllo e la punizione quanto la compartecipazione ai profitti. Anche per la tassa più evasa, l’Iva. Come dimostra il programma Nota Fiscal adottato a San Paolo del Brasile: un sistema semplice, automatico e che fa leva sulla tecnologia. Mentre in Italia l’impianto delle detrazioni dall’imponibile Irpef è complesso e oneroso per il contribuente.

PROCESSI CIVILI PIÙ VELOCI? APPLICHIAMO LE NORME ESISTENTI

Nelle sue ultime Considerazioni finali il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha denunciato ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, i costi che l’inefficienza della giustizia civile comporta per il nostro paese, penalizzato in primo luogo sotto il profilo della dimensione media e della competitività delle sue imprese.
Si è così riaccesa l’attenzione su alcune proposte da tempo sul tavolo.

LA TARIFFA DEGLI AVVOCATI

Tra le varie proposte, senz’altro interessante è quella di Daniela Marchesi, che prevede di intervenire sulla tariffa professionale degli avvocati, oggi remunerati a prestazione, in mancanza di preventivo diverso accordo tra le parti. Ciò – si dice sostanzialmente – creerebbe in capo agli avvocati un duplice perverso incentivo, a moltiplicare le attività difensive e a non coltivare con convinzione ipotesi di conciliazione volte a prevenire o a concludere in fretta le liti.
L’intervento sulla tariffa forense, si argomenta, sarebbe “il modo più neutro ed efficace di premiare i comportamenti virtuosi”, come provano l’esperienza tedesca e quella dei processi del lavoro in cui il patrocinio è a cura dei sindacati, che per prassi stipulano per i loro legali compensi a forfait. In alternativa, sarebbe necessario “ridurre l’ampio livello di garanzie che il nostro sistema offre a chi va in giudizio”, incidendo sugli incentivi dei magistrati, “che così diverrebbero i veri dominus del processo”.
La proposta ha il merito innegabile di intervenire in modo pragmatico e puntuale in un dibattito spesso viziato da opzioni ideologiche non sempre supportate da analisi adeguate. Ha inoltre il pregio di non richiedere esborsi aggiuntivi per le casse dello Stato. Rischia però di comportare un costo politico molto elevato, passibile com’è di suscitare la decisa reazione della classe forense, che si vedrebbe oltretutto implicitamente accusata di essere “colpevole” delle lentezze della giustizia.

IL DOMINUS DEL PROCESSO

Soprattutto, rischia di risultare inefficace se non accompagnata e anzi preceduta da misure che sono peraltro di adozione molto più semplice e immediata. Il fatto è che nel nostro processo civile i magistrati sono già i “veri dominus” del processo. O meglio dovrebbero esserlo.
Le norme vigenti attribuiscono alle parti (e ai loro avvocati) la semplice facoltà di chiedere, non certo il diritto di determinare, iter processuale, quantità e tipologia delle attività istruttorie da svolgere e degli atti difensivi scritti da depositare, calendario delle udienze, tutte scelte che sono lasciate alla valutazione discrezionale del giudice.
Esaminiamo infatti che cosa accade nel processo di cognizione ordinario.
Salvo che nella fase iniziale, quando il giudice ha l’obbligo (se richiesto dalle parti) di disporre lo scambio di un numero prefissato di memorie, è lui che dovrebbe valutare quali e quante udienze siano necessarie, verificare l’effettiva utilità delle attività istruttorie chieste dalle parti, presiedere alla loro acquisizione con modalità prefissate dalla legge per evitare lungaggini, acconsentire agli eventuali rinvii richiestigli solo se ne ravvisa l’opportunità. (1)
La conclusione a mezzo trattazione scritta della causa, attraverso comparse conclusionali e repliche (le prestazioni professionali che dalla tariffa sono remunerate con i compensi più alti), poi, costituisce solo una eventualità, poiché il processo – la scelta spetta sempre al giudice – ben potrebbe concludersi con una semplice discussione orale, da svolgersi immediatamente al termine dell’istruttoria, discussione che anzi dovrebbe essere la norma nei casi, largamente maggioritari, in cui non è necessario esaminare sofisticate questioni di diritto o complessi materiali probatori. (2)
Il codice infine affida da sempre al giudice leve potenzialmente molto incisive per sanzionare l’abuso dello strumento processuale, non solo attribuendogli il compito di condannare al rimborso delle spese di giudizio la parte soccombente, ma anche consentendogli di condannare al risarcimento dei danni arrecati alla controparte chi ha proposto l’azione o vi ha resistito con malafede, sebbene il loro utilizzo sia stato storicamente così timido e inefficace che recentemente è stato necessario rafforzarne la forza deterrente. (3)
Ed è sempre il giudice a poter svolgere in ogni momento un tentativo di conciliazione obbligatorio, che – ove non vissuto come una mera formalità – potrebbe avere un rilevante effetto deflattivo.

TRIBUNALI ESEMPLARI

Il problema è che il diritto vivente ha visto sinora una progressiva disapplicazione di molte delle norme ora ricordate, via via svuotate del loro spirito originario. Le ragioni sono molte, ma una di esse è certamente l’insufficiente attenzione generalmente posta dall’amministrazione della giustizia ad aspetti di efficienza gestionale e di corretto disegno degli incentivi a chi ha effettivamente in mano le leve del processo civile, che continua a essere il giudice.
Non a caso, nelle sedi giudiziarie in cui – per iniziativa dei singoli presidenti di tribunale – ci si è concentrati sulla corretta ed efficace applicazione della legge con interventi di micro organizzazione, si sono ottenuti risultati tangibili in termini di diminuzione della durata media dei processi e di smaltimento dell’arretrato. (4) Su questo punto, che già si è evidenziato in passato e su cui sono tornati Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico, la cronaca anche in questi giorni registra un fiorire di prassi virtuose a livello locale, che tuttavia non trovano il riscontro che meritano da parte del ministero della Giustizia. (5)
A fronte di tutto ciò, non esiste nessuna prova che la rimodulazione della tariffa forense, tra l’altro ormai di applicazione residuale, possa avere effetti concreti. (6) Tralasciando quanto avviene in Germania, si deve osservare che l’esempio di quanto avviene nelle sezioni lavoro non è decisivo, ma potrebbe anzi essere la prova del contrario, posto che là è la legge – che come visto nel rito ordinario consente al giudice ampia discrezionalità nell’accogliere le richieste delle parti – a imporre un procedimento molto più scarno, e d’altra parte in quella sede la maggiore specializzazione di ciascun attore e l’uniformità delle questioni che vi vengono trattate forniscono alle parti indicazioni chiare sul possibile esito della causa sin dalle prime battute, incentivando concretamente la ricerca di soluzioni concordate alle controversie.
Insomma, molto si può fare non solo senza chiedere un centesimo ai cittadini, ma anche godendo dei risultati di soluzioni già sperimentate a livello locale. Generalizzate queste a livello nazionale, ben vengano poi misure che ne rafforzino l’impatto, come la revisione delle tariffe legali.

(1) Sulle memorie si veda il disposto dell’art. 183, comma 6, cpc. Per il resto, spetta al giudice valutare se i mezzi di prova richiesti dalle parti siano “ammissibili e rilevanti” (art. 183, comma 6, cpc); in ogni momento il giudice può sospendere l’istruttoria e invitare le parti alla discussione finale, se ritiene che la causa sia matura per la decisione (art. 187, comma 1, e 281-sexies cpc); per limitarsi alla prova orale, il giudice deve ammettere la relativa testimonianza se richiesta dalla parte “mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata” (art. 244 cpc); il giudice deve poi limitarsi a chiedere al teste se sia vera o meno la circostanza di fatto che questi è chiamato a confermare (art. 253 cpc), impedendogli divagazioni e valutazioni personali. Il rinvio dell’udienza per consentire, ad esempio, che si coltivi un’ipotesi conciliativa è una mera facoltà del giudice, quand’anche gli sia richiesta concordemente dalle parti, neppure contemplata dal codice di rito, che consente la sola “sospensione su istanza delle parti” (art. 296); anche in questo caso spetta al giudice valutare se sussistono “giustificati motivi” per accettare la richiesta.
(2) Si veda il già citato art. 281-sexies cpc.
(3) Si vedano rispettivamente gli articoli 91 e 92 per la prima ipotesi, 96 cpc per la seconda. Per le modifiche apportate il riferimento è agli articoli 91, 92 e 96 cpc dalla legge 69/2009.
(4) Il case study continua a essere quello del Tribunale di Torino.
(5) Rispettivamente, Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico “Giudici in affanno”, 2009. E L. Mancini, “Il processo? Lo accorcia il Tribunale”, Il Sole 24 Ore, 14/6/2011, p. 21, dove si dà conto della “creatività” delle singole sedi giudiziarie nell’ideare e implementare prassi virtuose, che tuttavia faticano a trovare supporto da parte dell’autorità responsabile della funzionalità della “macchina giudiziaria”, il ministero della Giustizia.
(6) Sin dal 2006 è venuto meno il valore vincolante della tariffa; trova oggi applicazione solo ove cliente e avvocato non abbiano pattuito il corrispettivo preventivamente.

PERCHÉ IL CALCIO LITIGA SUI SOLDI DELLA TV

La Lega calcio si è spaccata sui criteri di ripartizione dei diritti tv. Con il ritorno alla contrattazione collettiva si tratta per il prossimo campionato di 805 milioni contro i 673 di quest’anno. Un’eccessiva perequazione rende magari avvincente il campionato italiano, ma nel medio-lungo periodo penalizza le squadre italiane in Champions League, dove si confrontano con rivali dalle risorse ben maggiori. Il modello della Superlega, rilanciato dai grandi club, comporterebbe una modifica radicale dell’intero sistema sportivo. E una regolamentazione forse ancora più stringente.

Euro 2012, quanto costa la bocciatura dell’Italia

I dati sembrano indicare una correlazione positiva tra organizzazione degli campionati europei di calcio e una maggiore crescita dell’economia. Poiché nel nostro paese il turismo ha un ruolo molto importante, la perdita in termini di mancata crescita del Pil può essere quantificata in circa 0,8-2,25 miliardi di euro. E la sconfitta è doppia perché ancora una volta è parsa chiara la mancanza di strategie coerenti in un settore, quello calcistico, che continua a essere governato con logiche che appaiono sempre più inadeguate ai tempi.

Calcio, il fuorigioco dell’Authority

Nella sua indagine conoscitiva sul calcio professionistico, l’Agcm individua la necessità di riforme ampiamente condivisibili. Ma segna anche un netto cambiamento di rotta rispetto a sue precedenti indicazioni, senza spiegarne adeguatamente le ragioni. La vicenda del calcio pone allora interrogativi profondi, perché se mancano trasparenza nelle decisioni e tempestività di intervento vengono meno due delle principali ragion d’essere di una autorità indipendente.

La partita più lunga

Il sistema degli stadi è largamente superato nei modi di gestione e nella ripartizione dei relativi oneri tra club e amministrazioni pubbliche, proprietarie degli impianti. Il tavolo di concertazione previsto dal “decreto Amato” potrebbe essere l’occasione perché l’intervento pubblico abbandoni la logica assistenzialistico-clientelare e imbocchi la strada di una vera e propria politica industriale volta a consolidare un settore che ha raggiunto volumi di affari di grande rilievo nell’economia nazionale, ma presenta ancora evidenti fragilità di fondo.

Così l’efficienza entra in tribunale

Adottando un semplice decalogo, il tribunale di Torino ha aumentato in modo notevole la produttività. A parità di risorse e organico. Se tutti i tribunali italiani avessero fatto altrettanto, il numero di giorni medio per un giudizio di primo grado nelle cause di contenzioso civile sarebbe sceso da 1007 giorni nel 2001 a 769 giorni nel 2005. La situazione della nostra giustizia può dunque migliorare decisamente se funzionari di vertice motivati esercitano effettivamente i loro poteri direttivi. E se la cooperazione di tutto lo staff è stimolata da adeguati incentivi.

Un testo unico per la corporate governance

La legge sul risparmio introduce apprezzabili innovazioni. Ma non incide sulla frammentarietà e disorganicità della disciplina del governo societario, formatasi per successiva stratificazione di interventi parziali ed eterogenei. Perché le società quotate italiane non corrano il rischio di naufragare nel caos normativo, e soprattutto perché questo non disincentivi nuovi soggetti dal tentare la via della quotazione, bisogna intraprendere in tempi brevi decise iniziative di razionalizzazione e semplificazione della normativa.

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