Se la Catalogna lasciasse la Spagna, avrebbe meno peso politico in Europa e nel mondo? No, anzi avrebbe una maggiore influenza politica nella Ue. Certo, l’Unione potrebbe rifiutarsi di riammetterla tra gli stati membri. Ma è una minaccia poco credibile.
Autore: Francesco Passarelli
Professore associato di economia all’Università di Torino
Se il potere deriva dalla probabilità che ciascun partito ha di giocare un ruolo determinante nella formazione di una maggioranza, è evidente che il M5S ha un potere enorme. E la riluttanza ad allearsi aumenta la sua forza. Ma la totale intransigenza finirebbe per avvantaggiare soprattutto Berlusconi.
Più che alla “quantità”, occorre pensare a una corretta “qualità” della rappresentanza in Europa. Anche perché dal 2009 il processo di codecisione, che mette sullo stesso piano Parlamento europeo e Consiglio, diventerà la regola dell’Unione. Invece di impegnarsi nella battaglia per il numero dei nostri parlamentari, il governo avrebbe fatto meglio a occuparsi della legge elettorale italiana per le elezioni europee che genera un tasso di rotazione della delegazione troppo elevato e non premia l’attività parlamentare nell’ultimo anno di mandato.
L’attuale meccanismo decisionale sulle procedure di deficit eccessivo contiene un conflitto di interessi che va a vantaggio dei paesi più potenti e che è destinato ad accentuarsi con questa riforma, che contiene criteri ampi e flessibili. La disparità di trattamento, infatti, si aggrava quando la soglia di maggioranza si abbassa e i voti sono distribuiti in modo meno uniforme. Probabilmente lo scenario sarebbe diverso se nelle decisioni i paesi avessero lo stesso peso, o se la Commissione avesse più voce. I rischi di ambiguità nella nuova versione del Patto sarebbero minori.
Dopo il voto in Spagna, potrebbero aprirsi nuovi scenari anche per lUnione europea, con una ripresa delle trattative sulla bozza di Costituzione. Ma il fallimento della Conferenza intergovernativa non può essere ricondotto solo a una partita a quattro: Madrid e Varsavia contro Berlino e Parigi. Piuttosto, è mancata allora una comune visione politica del futuro dellEuropa. E se la scelta integrazionista resta una strada obbligata per Germania e Francia, la definizione di uno nocciolo duro di paesi disponibili da subito a una maggiore integrazione non è affatto scontata.
LEuropa che verrà è unUnione di Stati, dunque la sua solidità dipende dalla uniformità di vedute tra i cittadini dei Paesi membri. Ma se gli europei sono daccordo nellavere una politica estera comune, hanno opinioni molte diverse su altri temi importanti come difesa, welfare, giustizia e immigrazione. La nuova costituzione dovrebbe tenerne conto e limitare le competenze dellUnione alle aree sulle quali esiste una larga convergenza. Altrimenti, si rischia la disillusione degli entusiasti e una accentuata conflittualità tra Stati ricchi e i più omogenei e agguerriti nuovi entranti.
Il metodo della doppia maggioranza indicato nella bozza di costituzione europea non si limita soltanto a qualificare le decisioni del Consiglio sulla base della popolazione. Ma sposta la distribuzione del potere politico a vantaggio dei grandi Paesi, a scapito degli Stati di medie dimensioni. E dietro il recupero dellefficienza decisionale, si cela forse il desiderio di rafforzare lasse franco-tedesco, che rischiava di scomparire con un allargamento a Est realizzato con le regole del Trattato di Nizza.
Prima di Nizza lequilibrio politico nella Ue era garantito da un sistema di attribuzione di voti nel Consiglio che tutelava i piccoli Paesi attribuendo ai Grandi un sostanziale diritto di veto. Un equilibrio che si rivela equo anche secondo i principi della statistica. Ma mantenerlo dopo lallargamento a Est avrebbe significato condannare lUnione alla incapacità di prendere decisioni. Di qui la necessità di una riforma, come quella elaborata dalla Convenzione con il sistema della doppia maggioranza.