Voto proporzionale, premio di maggioranza, soglia minima, indicazione a priori del leader, candidature in un solo collegio, una preferenza assegnata allelettore: enunciavo tale tesi su queste colonne quando dominava incontrastata lidea del maggioritario. Ora il pendolo degli umori collettivi si è spostato dalla mia parte, ma mi sento ancora isolato sul piano del metodo. Allopposto degli attuali esercizi di alchimia elettorale ciascun partito è alla ricerca del mix di modelli stranieri che prometta il miglior risultato alle prossime elezioni proponevo infatti di decidere come se si trattasse di una duratura regola costituzionale. Una regola, quindi, da scegliere come strumento per realizzare finalità alte e stabili, che vanno chiaramente esplicitate e concernono larchitettura istituzionale del paese, ossia i rapporti tra elettori, eletti ed esecutivo, nonché la governabilità del sistema
Un proporzionale limitato
La finalità più importante è di realizzare al meglio il principio della sovranità popolare nel nuovo contesto federalista in cui il Parlamento delibera solo su questioni fondamentali giustizia, difesa, bioetica, e così via che toccano il cittadino in quanto tale, dovunque abiti e comunque la pensino i vicini. È giusto allora il proporzionale in cui tutti i voti contano, mentre luninominale accoglie un voto solo se si trova dalla parte del 51 per cento dei voti del collegio e lo annulla se si trova dalla parte del 49 per cento.
La finalità di rendere il paese governabile obbliga tuttavia a porre due limitazioni al proporzionale. La prima consiste nella soglia minima dei voti per accedere al Parlamento, il famoso 5 per cento tedesco, per evitare la frammentazione. La seconda è il premio di maggioranza. Ma sono limitazioni trasparenti e razionali, ben diverse dalle ferite al proporzionale inferte in modo nascosto da altre regole. Un conto è infatti essere eliminati perché troppo pochi a livello nazionale, salvo deroghe da approfondire per le minoranze locali. Altro conto è essere eliminati solo perché si è in minoranza in un collegio, come avviene con il maggioritario, che proprio per questo può generare il paradosso, più volte verificatosi nella storia, di dare legemonia a livello nazionale alla minoranza degli elettori solo perché distribuita in modo tale da vincere nella maggioranza dei collegi. E un conto è prevedere il premio di maggioranza se e nella misura in cui si renda necessario, altro conto è favorire i partiti maggiori attraverso circoscrizioni elettorali di piccola dimensione, come nel caso spagnolo, e il diffuso metodo dHont: si esacerbano così i partiti minori sacrificati, che considerano subdoli questi criteri occulti, che comunque non garantiscono sempre la formazione di una maggioranza netta in Parlamento.
Il peso degli elettori
Lultimo fine proposto consiste nel calibrare il peso degli elettori rispetto a quello degli apparati di partito e degli stessi eletti. Si tratta di scegliere tra infinite soluzioni legittime. A un estremo sta la lista bloccata dai partiti, accompagnata dalla possibilità di candidarsi in più collegi, il che significa dare peso zero alle preferenze degli elettori nei confronti dei singoli candidati e aggiungere la beffa delle molte candidature civetta dei leader di partito. Allaltro estremo sta il regime presidenziale, in cui i cittadini eleggono direttamente il capo dello Stato che è anche, o sceglie, il capo del governo. La soluzione qui presentata – premio di maggioranza alla coalizione vincente, il cui leader diventa il capo del governo, e possibilità di esprimere una preferenza – esalta il potere dellelettore rispetto alla situazione attuale, mentre si configura come intermedia tra le proposte avanzate nel dibattito di questi anni. Una soluzione più spinta, ad esempio, è quella che contempla la norma antiribaltone cara a Berlusconi prima che approdasse allattuale porcellum: in aggiunta allinvestitura popolare di fatto del capo di governo a inizio legislatura, obbliga a tornare alle urne quando muti la maggioranza al Parlamento rispetto a quella consacrata dalle elezioni, mentre qui il mutamento è ammesso, anche se dovrebbe restare un fatto eccezionale. Una soluzione meno drastica, invece, è quella che non contempla il voto di maggioranza né impone di dichiarare agli elettori la coalizione di appartenenza, lasciando spazio a tutte le possibili intese post-elettorali (caso tedesco).
Su questo terreno ogni proposta è da considerarsi legittima, purché sia chiara, sia cioè correttamente presentata come la conseguenza della scelta di un definito mix di poteri degli elettori, dei partiti e degli eletti. Ma di tale chiarezza non si vede traccia nel concitato confronto delle ultime settimane. O meglio, è chiaro che i partiti sono oggi alla ricerca non già della giusta regola permanente ma del migliore risultato alle prossima tornata elettorale: unimpostazione che risente delle alleanze esistenti e di quelle potenziali. E poiché tutte appaiono labili, ne risulta come conseguenza logica lo spettacolo sconcertante di repentini e profondi mutamenti degli umori e delle proposte.