Lavoce.info

Autore: Desk Pagina 120 di 195

Il desk de lavoce.info è composto da ragazzi e ragazze che si occupano della gestione operativa del sito internet e dei social network e delle attività redazionali e di assistenza alla ricerca. Inoltre, sono curati dal desk il podcast e le rubriche del fact checking, de "La parola ai grafici" e de "La parola ai numeri".

Come vengono utilizzati i soldi rimasti della legge 488/92?

Come noto, le risorse per finanziare gli “storici” strumenti di incentivo alle imprese (legge n. 488, legge “Sabatini”, crediti d’imposta per occupazione e investimenti, ecc.) sono da tempo finite. Rimangono solo quelle derivanti dalle revoche dei vecchi incentivi già accordati, per rinuncia o decadenza dal diritto dei destinatari. Fino a pochi anni fa, nessuno sapeva nemmeno a quanto ammontasse questo “tesoretto”. Una norma della Finanziaria 2008 (governo Prodi), aveva disposto l’accertamento annuale di tali risorse e la loro destinazione ad un apposito fondo destinato a finanziare una pluralità di interventi soprattutto nel Mezzogiorno.(1)
Il governo Prodi è caduto prima di poter dare attuazione alla norma, avendo avuto solo il tempo di accertare – con il previsto decreto ministeriale annuale – l’ammontare delle risorse liberate per il 2008 (785 milioni di euro). Il governo successivo (Berlusconi), prima ancora di adottare il decreto annuale di accertamento delle economie per il 2009, con il decreto-legge n. 5 del 10 febbraio 2009 ha dirottato quelle risorse – valutate in ben 933 milioni di euro – a copertura dei nuovi incentivi alla rottamazione e a correzione dei saldi. Il decreto annuale di accertamento delle economie per lo stesso anno è stato poi adottato solo il 28 febbraio, segnalando l’importo di 375 milioni di euro per il 2009. Nel luglio 2009, con la legge n. 99 il governo ha poi prescritto nuovi vincoli di utilizzo, soprattutto legati a interventi nel Centro-Nord.(2) Tutte scelte legittime, comunque, che riflettono cambiamenti di priorità in gran parte dal Sud al Nord.
Il 4 maggio 2010 si è però prodotto un fatto grave sul quale non ci risulta sia sin qui intervenuto il sistema istituzionale dei controlli, a presidio della legittimità e legalità dell’azione del Governo, a partire dalla Corte dei conti e dal Parlamento.

Il quasi-dimissionario ministro Scajola con un decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale oltre quattro mesi dopo, il 17 settembre 2010 a ministero ancora “decapitato”, ha destinato le risorse disponibili a due finalità estranee a qualunque prescrizione vigente di legge. Dei 152 milioni di euro accertati, infatti, 48 milioni di euro sono stati attribuiti alla programmazione negoziata nelle aree del Centro-Nord e 50 milioni sono stati addirittura destinati all’industria bellica degli armamenti, attraverso il rifinanziamento di una legge del 1993 (legge n. 237/93) per la quale il legislatore aveva previsto una copertura finanziaria solo fino al 2001. Dei restanti 54 milioni di euro non si fa menzione esplicita, ma a questo punto è facile supporre che siano andati ai soli interventi – tra tutti quelli contenuti nei lunghi e vani elenchi compilati dal legislatore – che erano associati a precisi importi: 50 milioni all’emittenza televisiva locale, 2 milioni ai sistemi di illuminazione del Veneto e 2 milioni ai “sistemi delle armi” di Brescia (forse raggiunti anche dall’altro finanziamento).

CHIEDIAMO PERTANTO AL NUOVO MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO PAOLO ROMANI:

Può darci un rendiconto completo di come sono stati utilizzati i risparmi della legge 488 in questa legislatura? Ed è possibile che un decreto ministeriale rifinanzi una legge statale, in carenza assoluta di fondamento normativo?

 

(1) Programma nazionale per l’inserimento lavorativo dei giovani laureati meridionali; la riduzione del costo del lavoro per tecnici e ricercatori in favore delle imprese innovatrici in start up; il sostegno alla ricerca nel settore energetico; il riutilizzo di aree industriali nel Mezzogiorno; la costruzione di centri destinati a Poli di innovazione.
(2) Tra questi compaiono obiettivi generici – quali il sostegno all’internazionalizzazione e al Made in Italy, la “valorizzazione dello stile e della produzione italiana”, gli incentivi ai distretti industriali, ecc. – assieme a interventi puntualmente specificati, come il sostegno ai “sistemi produttivi locali delle armi di Brescia” e ai “sistemi di illuminazione del Veneto”, per i quali la legge indica addirittura gli importi (2 milioni di euro per ciascuno).

Un commento di Massimo Matteoli*

Il Prof. Marco Ponti sintetizza in maniera intelligente ed efficace la posizione di quanti sono favorevoli alla gestione privata del servizio idrico.
Mi convince la sua critica ad un approccio astrattamente ideologico al problema dell’’acqua. Proprio per questo non riesco a  convincermi che la soluzione “privatistica” sia la migliore.
Anzi mi sembra che molti sostenitori del “modello privato” cadano nell’’identico errore, dando per scontato che la gestione privata del servizio idrico sia a priori più efficiente di quella pubblica.
Mi colpisce, soprattutto, che i critici della gestione pubblica del servizio idrico richiamino spesso la necessità dell’’intervento finanziario dei privati, entrando però raramente nel dettaglio delle cifre. Nel modello di società mista (ed ancor di più in quello a totale gestione privata) il pubblico dovrebbe garantire il controllo, mentre al privato farebbero carico l’’efficienza gestionale ed i finanziamenti per gli investimenti.

LE CIFRE DELL’ACQUA

Proprio qui si  manifesta la debolezza congenita dell’’idea privatistica. Il deficit degli investimenti, di cui già oggi ci lamentiamo, non è dovuto solo al naturale riflesso del socio privato di limitare al minimo gli esborsi di capitale, ma soprattutto all’’enorme divario tra necessità e possibilità.
Proverò a dare alcune cifre, limitate all’’essenziale, per comprendere meglio le reali dimensioni del problema.
Una fonte sicuramente attendibile e prudenziale come il Blu Book 2010 stima in oltre 62 miliardi di Euro gli investimenti necessari per il nostro disastrato servizio idrico.
Per dare un’’idea più concreta la spesa annua (ovviamente senza considerare l’’inflazione) dovrebbe passare da 1,37 a €9,48 per ogni metro cubo erogato.
Ciascuno di noi può facilmente calcolare le conseguenze sulla propria tariffa: anche se spalmati in trenta anni, servirebbero investimenti per almeno 2,13 miliardi di Euro ogni anno!
In venti anni, come probabilmente sarebbe necessario per la vetustà degli impianti attuali, occorrerebbero più di tre miliardi di euro ogni anno.
Dove si trova il privato che ha la possibilità di investire cifre di questa entità?
Basti pensare, che le quattro società più importanti del settore dei servizi pubblici quotate in borsa (Acea, Hera, Iren, A2a) hanno investito nel settore idrico nell’’anno 2009 nemmeno 450 milioni di Euro e, pur operando anche in settori ben più redditizi di quello dell’’acqua, al 31.12.2009 avevano debiti complessivi per circa 10 miliardi e 700 milioni di Euro, superiori di oltre un miliardo e duecento milioni al loro patrimonio netto.
Anche se si trovasse un socio privato ben disposto, ovviamente questi interverrebbe per ottenere un rendimento adeguato al proprio investimento. Ciò può avvenire solo con la tariffa, come del resto prevede la legge esistente.
Saranno perciò le bollette a finanziare la maggior parte dell’’enorme mole di investimenti necessaria nei prossimi anni.

IL MONOPOLIO NATURALE

In situazioni di monopolio naturale come l’acqua una logica privatistica produce più facilmente effetti distorsivi che maggiore efficienza. Basti pensare al pericolo, tutt’’altro che teorico, che il privato per migliorare il risultato economico tagli le spese di manutenzione degli impianti: il monopolio naturale in cui opera il gestore (con l’’impossibilità per gli utenti di cambiare fornitore) rende economicamente improduttivo per il privato qualunque serio intervento di tutela dei singoli utenti. Né le gare periodiche per l’’assegnazione del servizio mi sembra possano risolvere il problema.
Anche qui l’’unione tra gara pubblica e gestione privata sembra favorire più la somma dei vizi del pubblico e del privato che quella dei pregi.
Nella pratica la lunga durata, legata necessariamente ad ogni ipotesi di affidamento del servizio idrico, ridurrebbe di molto, se non del tutto, lo stimolo ad una maggiore efficienza di sistema del gestore privato a favore della naturale tendenza del monopolista di utilizzare la posizione di rendita per aumentare il proprio guadagno. Nemmeno la gara, poi, risolve il problema di fondo: chi paga gli investimenti? Proprio la natura di “monopolio naturale” del servizio idrico, perciò, fa sì che solo una gestione pubblica possa assicurarne al meglio trasparenza ed efficienza. Dove invece il Prof. Ponti ha ragione da vendere è nel lamentare la grave mancanza di un’’autorità di regolazione indipendente per il settore.
E’ evidente che il totale controllo pubblico delle aziende erogatrici non garantisce di per sé né efficienza né tutela dei cittadini. Gli esempi di distorsioni burocratiche delle strutture pubbliche sono fin troppo noti perché ci sia bisogno di parlarne diffusamente, Non possiamo, perciò, accontentarci della sola proprietà pubblica.
L’’impegno per l’‘acqua pubblica deve essere legato indissolubilmente, pena un tragico insuccesso, ad un altrettanto deciso impegno per l’’efficienza industriale del servizio,senza riserve mentali, rimpianti del bel tempo che fu od opposizioni di campanile ai necessari processi di ristrutturazione industriale del settore. Oltre all’’Authority come le abbiamo conosciute, sono necessarie anche forme di tutela degli utenti più originali ed incisive. Troppo spesso dimentichiamo che la gestione dell’’acqua, come tutti i servizi pubblici, oltre all’’impatto generale sul sistema, tocca anche i singoli utenti, che troppo spesso i processi di concentrazione già realizzati hanno abbandonato ai soli “numeri verdi” dei call center. Occorre, quindi, da un lato prevedere tavoli istituzionali di confronto a livello “macro” sulla politica degli investimenti e quella tariffaria che permettano agli interessi sociali organizzati (dalle associazioni sindacali ed  imprenditoriali, a quelle dei consumatori, alle Camere di Commercio, etc..)  di confrontarsi direttamente con i gestori.

UN GARANTE DEGLI UTENTI

Vedrei inoltre necessaria anche una figura di vero e proprio “Garante degli Utenti”, che possa  favorire  la conciliazione delle controversie, con poteri effettivi di indagine e di intervento per la risoluzione dei problemi del singolo utente.
Occorre, cioè, affiancare alle forme di controllo istituzionale di sistema un luogo ed un’’autorità pubblica a cui ogni singolo cittadino possa rivolgersi in via pre-contenziosa per denunciare abusi e chiedere tutela.
Non sottovalutiamo, perciò, l’’importanza di creare in un settore così delicato come quello dei servizi pubblici, una struttura “amica” che possa efficacemente intervenire in difesa dei diritti del semplice utente.
In questo modo ne guadagnerà anche l’’efficienza generale del sistema.
Anche per questo appare preferibile la gestione pubblica del servizio, sicuramente più reattiva del privato a forme di controllo in cui un’opinione pubblica consapevole si affianchi in maniera decisa agli strumenti istituzionali.

* Responsabile Comunicazione Cambia l’’Italia Toscana

I dati economici nella crisi

L’informazione economica è vitale in una democrazia. Tanto più in tempi di una lunga strisciante campagna elettorale, quando l’informazione si trasforma spesso in propaganda e viene utilizzata per orientare l’opinione pubblica. Per questo ribadiamo il nostro impegno nell’aiutare i cittadini a interpretare i dati e la situazione economica. Ma anche noi risentiamo della crisi. E chiediamo perciò ai nostri lettori un contributo che ci permetta di svolgere meglio il nostro lavoro.

Emma

Se non l’’avessi letto io non ci crederei
Siamo al “muoia Sansone con tutti i Filistei”
Come un cerino acceso lanciato sulla paglia
Volevan dossierare la Emma Mercegaglia!

Ormai chi non sta in riga sa quello che lo aspetta
Con Libero e il Giornale che imbraccian la doppietta
Mentre sul retroscena, stupito e quasi goffo
Silvio si chiama fuori: “non mio è il metodo Boffo”!

Da allora in poi le tecniche si sono anche affinate
a insister sembran vere le cose strampalate
una campagna stampa è cosa da bambini
parlare per un mese di cucine Scavolini

al mondo può succedere di cataclismi o guerra
la crisi non si arresta, e poi l’’effetto serra
nei titoli di testa di questo non ne parlo
per l’’apertura ho solo Tulliani e Montecarlo

E quando forze amiche tossendo un po’’ sommesse
Osservan che eran altre le cose a lor promesse
E che il Paese tutto si è proprio un po’’ stufato
Di questo straparlare del giovane cognato

Che fanno i nostri pitbull? Non mollano la presa
Si schierano a difendere la maestà che è lesa
Da Montecarlo a Mantova dirigono i segugi
Non fate prigionieri, a fuoco anche i rifugi

Può darsi che stavolta la cosa si assopisca
E che non la triturino lasciandole la lisca
Ma la morale ultima di tutta la vicenda:
oggi parlar di Emma perché Luchino intenda

Potemkin

Due domande alle fondazioni azioniste di Unicredit

Scriveva l’’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel febbraio 2009 in merito alle fondazioni bancarie:

“La loro centralità per la stabilità, soprattutto nell’’attuale fase, deve, quindi, necessariamente essere bilanciata da una nuova e trasparente modalità d’’azione, sotto un duplice profilo: la loro modalità di azione come azionisti e la loro stessa struttura di governance. È  infatti necessario che le fondazioni rendano trasparente il processo decisionale sulle modalità con le quali esercitano i diritti di voto nelle società partecipate, nonché definiscano i criteri in base ai quali le stesse fondazioni – anche unitamente ad altri azionisti – selezionano i candidati da proporre per le cariche degli organi di governo delle società partecipate, in quest’’ultimo caso anche alla luce dell’’esigenza di non candidare soggetti caratterizzati da conflitto di ruoli”.

Le due domande che rivolgiamo alle fondazioni azioniste di Unicredit sono: in base a quali criteri avete preso la recente decisione sull’’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo? Come intenderete procedere per la sua sostituzione?

Tutti i numeri del ministro Gelmini*

“Sono più di 50mila i profili tecnici richiesti dalle imprese che la scuola non riesce a formare”
“Con l’’ultima finanziaria abbiamo recuperato 10mila nuovi posti di lavoro per gli
insegnanti, 6.500 nuovi posti di lavoro per personale tecnico-amministrativo e anche un nuovo concorso per presidi per 3.000 nuovi posti”.
Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca – conferenza stampa di inaugurazione dell’anno scolastico, 2/9/2010.

Un commento sui criteri per la carriera universitaria*

Il lavoro di Marcuzzo e Zacchia, e il dibattito conseguente, aiutano a verificare la “tenuta” dei criteri adottati e a individuare possibili linee di affinamento.

UN CONTRIBUTO AL “CONTORNO”

La definizione dei criteri per ciascuna delle 14 aree CUN è del dicembre 2008, in risposta ad una richiesta della Ministro.
La linea seguita dal Comitato Area 13 è stata quella di una soluzione di “equilibrio dinamico” fra:

– la specificità dei contenuti e metodi dell’’Area, la quale è la più differenziata fra le 14 Aree CUN, si pensi alla distanza fra econometria, statistica e matematica e l’’economia, l’’economia aziendale, la storia economica, la storia del pensiero economico, l’’organizzazione, la merceologia;
– l’’articolazione delle proposte provenienti dalle altre Aree CUN per il necessario coordinamento “di sistema”;
– e il clima di “urgenza istituzionale” all’’epoca incalzante perché si percepiva alto il rischio che altri soggetti-enti avrebbero potuto essere invitati a provvedere; ad es., a gennaio 2009, il Parlamento ha redatto e approvato “in diretta” l’’art. 4 della Legge n.1 in cui si dice che chi non ha pubblicazioni scientifiche non accede agli incrementi salariali, poi peraltro rimossi dalla manovra Tremonti, e non accede a Commissario di prove concorsuali.

Il Comitato ha quindi:

– lavorato in modo coordinato assieme a 14 Accademie e Società scientifiche dell’’Area 13 con molteplici incontri su documenti scritti;
– inserito i criteri entro logiche differenziate di reclutamento dei ricercatori e di promozione ad associato e ordinario puntando, in una logica di supporto, ad “alzare l’’asticella” complessiva lasciando spazio alle autonomie disciplinari o di sede;
– per questa via ha proposto un framework  ragionato cercando di evitare nei criteri estremismi di automatismo e/o di approssimazione e mettendo a disposizione uno strumento per le policy locali.

DUE DETTAGLI DA SOTTOLINEARE

In primo luogo, il dibattito sui criteri per i ricercatori ci ha visti spesso isolati entro il CUN. In molte altre aree CUN per i ricercatori si prevede un numero elevato di pubblicazioni, con implicita correlazione “molte pubblicazioni = alta anzianità”. Noi abbiano sostenuto logiche di policy di reclutamento concorrenziali sul piano internazionale lasciando spazio al giudizio sul potenziale dei candidati, da reclutare da giovani (da ciò il requisito su una sola pubblicazione), e sollecitando un risveglio istituzionale sull’’efficace utilizzo dell’’istituto della “conferma in ruolo”.
Questa linea è stata condivisa con le Accademie e Società scientifiche dell’’Area e con la Conferenza dei Presidi di Economia e di Scienze Statistiche, anche se poi i risultati dei giudizi di conferma in ruolo 2008-09 per i ricercatori nei 19 SSD dell’’Area hanno mostrato risultati assai differenziati per SSD e, in particolare, in solo due SSD (SECS-P/01 e SECS-P/07) si è riscontrato un tasso di rinvio ad una seconda scadenza di circa il 10%.
Il secondo punto da sottolineare riguarda il ruolo delle Accademie e Società scientifiche come “interlocutori esperti” fra il quadro di riferimento disponibile e le soluzioni analitiche da adottare nel tempo (anche a seconda degli stadi evolutivi delle discipline). Questa soluzione organizzativa ha rappresentato anche la chiave operativa adottata dal CUN per la precisazione dei criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni nella costituenda “anagrafe nazionale dei docenti”, premessa tecnica necessaria per implementare l’’art. 4 della L. n.1/2009 (si vedano i pareri nel sito CUN). In futuro, in sostanza, le Accademie e Società scientifiche saranno chiamate a farsi carico di contribuire ai processi di valutazione con liste di riviste scientifiche nazionali e internazionali (in proposito un esempio interessante per lo stadio avanzato della discussione al suo interno è quello dell’’AIDEA) e con liste di editori accreditabili.

UN PERCORSO A OSTACOLI

E’’ un percorso particolarmente faticoso quello in cui versa la valutazione della ricerca in Italia, sempre sospeso tra “fiammate comunicative” di principio e di richiamo e prassi di implementazione lente, spesso contraddittorie e non sempre trasparenti, specie quando il processo decisionale si avvicina ai livelli della Politica. Qualche esempio: i criteri 2008 sono ancora una base di “moral suasion” e non un Decreto attuativo, pur citato nella L. n.1/2009; il Bando VQR 2004-08 del CIVR (che poteva consolidare il “discorso evolutivo” dei criteri) è fermo da mesi (forse in attesa del Consiglio Direttivo dell’’ANVUR che però avrà bisogno di molti, troppi, mesi per essere operativo); il PRIN langue: i fondi 2008 sono arrivati solo recentemente e i Garanti 2009 ad oggi devono ancora essere scelti nell’’ambito delle terne fornite da CUN, CRUI e CEPR ad aprile; il Decreto di distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario 2010, col “Fondo premiale” che recupera i criteri sulla ricerca, a fine agosto 2010 non è ancora disponibile e così via.
Il CUN, organo istituzionale, cerca, anche col contributo dell’’Area 13, di tenere una linea di “responsabilità consapevole”, ma spesso mancano interlocutori davvero interessati a farsi carico con sistematicità e continuità dei problemi del Sistema Universitario.

Francesco Favotto, Alessandra Petrucci, Ezio Ritrovato

* Gli autori sono membri del Comitato Area 13 del CUN

Tremonti: ” Festival dell’economia? Non mi hanno invitato”

“Non mi hanno invitato. E io il festival lo faccio a Bruxelles o in Corea” – Giulio Tremonti ministro dell’’Economia di Trento – rispondendo ai giornalisti sul perché della sua assenza al Festival dell’’Economia di Trento.
L’affermazione del minstro Tremonti è falsa.
Tremonti è stato invitato, non per la prima volta, con una lettera del presidente della Provincia di Trento Lorenzo Dellai E ha incaricato la sua segreteria di declinare l’invito come si può constatare qui sotto.

A cura di Davide Baldi e Ludovico Poggi

Berlusconi e gli aumenti di stipendio degli statali

“..Abbiamo imposto una piccola rinuncia agli aumenti a quei 3 milioni 700mila impiegati pubblici che però come tu hai ricordato negli ultimi vent’’anni hanno avuto un aumento dei loro stipendi che è stato quasi il doppio di quello ottenuto da coloro che hanno lavorato nel privato …”.
Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio – nel corso di un suo intervento alla Confcommercio, 16/06/2010

IL REDDITO DEL POLITICO ITALIANO E AMERICANO *

In Italia l’indennità parlamentare annua, in termini reali (misurate in euro 2005), è aumentata da 10.712 euro nel 1948 a 137.691 euro nel 2006, il che significa un aumento medio del 9,9 per cento all’anno e un incremento totale del 1185,4 per cento. Negli Stati Uniti, la retribuzione lorda (in dollari del 2005) è cresciuta da 101.297 dollari nel 1948 a 160.038 dollari nel 2006 (con un aumento del 58 per cento), ovvero in incremento dell’1,5 per cento all’anno. Nello stesso periodo, il Pil pro capite è aumentato del 449,5 per cento al tasso annuale del 3,2 per cento in Italia e del 241,7 per cento, a un tasso di crescita annuo del 2,1 per cento, negli Stati Uniti.
La figura 1 e la figura 2 mostrano per entrambi i paesi un improvviso e sostenuto aumento delle retribuzioni dei parlamentari negli anni ’60, seguito da un significativo calo negli anni ’70 (a causa soprattutto dell’elevata inflazione). Ma, mentre negli Usa gli stipendi sono rimasti costanti in termini reali dopo il 1980, quelli dei parlamentari italiani hanno continuato a crescere del 3,9 per cento.
Come si può vedere dai grafici durante la prima repubblica i legislatori italiani risultano sottopagati rispetto ai loro colleghi statunitensi fino alla fine degli anni ’80, anche se il differenziale si è ridotto nel corso di questo decennio. Dal 1994, dall’inizio cioè della seconda repubblica, si osserva il fenomeno inverso. Lo stipendio medio dei membri del parlamento italiano supera quello dei colleghi statunitensi e la forbice si è ampliata tra la fine degli anni’90 e i primi anni 2000.
Alcune considerazioni sono cruciali per comprendere gli andamenti mostrati nelle figure. Mentre il 1948 segna l’alba della Repubblica italiana, a quel tempo il sistema americano era già una democrazia consolidata con una stabile struttura istituzionale. La politica rappresentava già un settore lavorativo ed essere deputato al congresso era un impiego a tempo pieno. In Italia non accadeva lo stesso. Inoltre, è importante sottolineare che, diversamente dagli Stati Uniti, ai deputati e senatori italiani era concesso mantenere le loro professioni durante il mandato parlamentare (fatta eccezione per l’impiego in altre istituzioni pubbliche o private controllate direttamente o indirettamente dal governo e per le occupazioni a tempo pieno). Con ciò si voleva evitare un peggioramento delle loro condizioni economiche, visto che a quel tempo le indennità parlamentari erano relativamente basse. Dopo 1965, il trattamento economico dei parlamentari è migliorato sensibilmente, non soltanto in confronto a quello dei membri del Congresso americano, ma anche rispetto agli stipendi del settore privato in Italia, rendendo piuttosto controversa un’eventuale doppia occupazione. Infatti, nel 1985, l’indennità parlamentare di un deputato o sentore, espressa in termini reali (84.229 euro), era 4,2 volte superiore allo stipendio medio annuo di un lavoratore del settore privato (20.268 euro) e nel 2004 risultava pari a 146.533 euro e quindi 6,5 volte superiore alla retribuzione reale media di un privato (22.712 euro). Eppure i parlamentari italiani possono continuare a ottenere retribuzioni addizionali, oltre all’indennità parlamentare. Questo non è consentito negli Stati Uniti, se non per piccole somme.

* Tratto dal libro "Classe dirigente – L’intreccio tra business e politica" a cura di Tito Boeri, Antonio Merlo e Andrea Prat (Università Bocconi Editore)

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