Lavoce.info

Autore: Desk Pagina 120 di 196

Il desk de lavoce.info è composto da ragazzi e ragazze che si occupano della gestione operativa del sito internet e dei social network e delle attività redazionali e di assistenza alla ricerca. Inoltre, sono curati dal desk il podcast e le rubriche del fact checking, de "La parola ai grafici" e de "La parola ai numeri".

QUANTO SOTTRAGGONO AL FISCO LE ESENZIONI PER GLI ENTI ECCLESIASTICI?

La seconda versione del decreto sul fisco municipale del governo reintroduce anche per l’Imu le esenzioni relative alla lettera c e i dell’articolo 7, comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 che riguardavano l’Ici. Per gli ignari, si tratta delle esenzioni che si riferiscono agli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,culturali, ricreative e sportive o per uso culturale".
Nei fatti, sono per la maggior parte strutture religiose, prevalentemente di proprietà di enti ecclesiastici. La condizione ulteriore per il riconoscimento dell’esenzione è che questi immobili non siano destinati, esclusivamente, ad attività di tipo commerciale. La distinzione tra destinazione commerciale e non commerciale è già di per sé sottile: è in pratica difficile distinguere tra un ristorante e una mensa religiosa, tra una struttura recettiva e un albergo. Lo diventa ancora di più quando è sufficiente che la destinazione commerciale sia non esclusiva. L’esenzione rischia però che si introduca una discriminazione fiscale non giustificabile tra imprese che in realtà producono gli stessi servizi per il mercato. Proprio per questo, e per la terza volta, la Commissione europea ha aperto un procedimento nei confronti dell’Italia.
È curioso dunque che il governo ci abbia ripensato, e dopo averle prima escluse, probabilmente alla luce delle considerazioni della commissione europea e della Corte di giustizia, abbia poi deciso di reintrodurle, senza che ci sia stata la benché minima spiegazione o discussione sul tema. Ma c’è un’altra questione rilevante. Visto che la riforma è a costo zero, ogni euro di gettito mancato dovrà essere trovato da qualche altra parte ed è dunque importante sapere quanto le esenzioni costano al contribuente. Luca Antonini, il presidente della Commissione tecnica sull’attuazione del federalismo fiscale, in un’intervista sul Sole 24Ore del 23 gennaio, parlava di circa 70-80 milioni di euro, con riferimento a un imponibile esente di 11 miliardi. Ma queste stime non sono credibili.
Primo, perché 80 milioni di gettito (perduto) su 11 miliardi (di imponibile) fanno circa lo 0,07 per cento, cioè l’aliquota massima attuale dell’aliquota Ici. Ma l’aliquota Imu, siccome dovrebbe coprire almeno i 2-3 miliardi di imposte erariali sugli immobili abolite, sarà sicuramente più elevata, tra lo 0,75 e l’1 per cento, a seconda che le varie detrazioni previste nel decreto vengano confermate o meno. Secondo, lo stesso dato sull’imponibile è poco credibile. Il valore patrimoniale catastale complessivo delle seconde case e degli immobili destinati a attività commerciali si può valutare attorno ai 1.600-1.800 miliardi di euro, e a fronte di questo, 11 miliardi per tutte le attività prima ricordate (di poco superiore allo 0,5 per cento del patrimonio complessivo), sembra un numero troppo basso. A riprova, si ricordi che nel 2005, quando per la prima volta si parlò di estendere l’esenzione Ici alle attività commerciali ecclesiastiche, l’Anci aveva stimato una perdita per i comuni di circa 300 milioni di euro all’anno per i soli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici, senza considerare dunque le proprietà di altre confessioni religiose e delle Onlus. La perdita di gettito Imu, data l’aliquota più elevata, dovrebbe essere un multiplo di questa cifra. Di qui la domanda al ministero dell’Economia:

Quant’è esattamente la perdita di gettito Imu prevista per la reintroduzione delle esenzioni per gli immobili religiosi?"

LA LEGGENDA DEL NUMERO FISSO DI POSTI DI LAVORO

 

COSA VUOL DIRE “PRESUMIBILMENTE”?

Il nuovo anno ha portato ottime notizie dal fronte dei conti pubblici: il fabbisogno (vale a dire, il deficit di cassa) del settore statale nel 2010 è stato pari a 67,5 miliardi, ben 16,3 miliardi in meno rispetto all’ultima previsione ufficiale, diffusa tre mesi fa. A cosa dobbiamo questo successo (che diventa ancora più ampio se misurato contro il risultato 2009, quando il fabbisogno fu di quasi 87 miliardi)? Che prospettive apre per il 2011? Non è dato saperlo. Il comunicato ufficiale recita, in modo tautologico, “grazie ad un andamento più favorevole degli incassi e ad una dinamica più contenuta dei pagamenti, alcuni dei quali presumibilmente slittati al 2011”. Così poteva essere scritto da chiunque. Qualche informazione specifica, ma sempre alquanto vaga, è fornita sul mese di dicembre 2010 a confronto con lo stesso mese dell’anno precedente (sulla percentuale dell’acconto Irpef e sul venir meno degli interventi a favore delle banche), ma si tratta di notizie che erano già note quando fu elaborata l’ultima previsione.
Dobbiamo (e vogliamo) credere che il ministero dell’Economia ne sappia di più. Cosa impedisce di condividere con il pubblico queste informazioni? E come dobbiamo interpretare il termine “presumibilmente”? Il ministero dovrebbe essere a conoscenza di pagamenti slittati al 2011.

LA PAROLA AI NUMERI: RAPPORTO DEBITO/PIL

 

 

Meno lavori, più precari

Come Las Vegas

Tra i 314 nomi dei parlamentari che hanno votato il 14 dicembre la fiducia al Governo ce n’è uno che non avremmo proprio voluto vedere. Non è quello del colorito Scilipoti, né quello della Polidori, in odore di Cepu. Non intendiamo infatti entrare nelle complesse transazioni che hanno attraversato il mercato della politica nell’ultimo scorcio di tempo. E’ il nome di Giuseppe Vegas, già sottosegretario al ministero dell’Economia e neo presidente della Consob. Non lo avremmo voluto vedere poiché quel ruolo, cui è chiamato chi il mercato lo deve controllare, avrebbe consigliato di astenersi dal partecipare alla votazione. La nomina del presidente Vegas, al di là dei meriti tecnici che in modo bipartisan gli sono stati riconosciuti, ha sollevato perplessità nell’osservare il passaggio, senza soluzione di continuità, da un ruolo politico a un delicatissimo ruolo di arbitro dei mercati di borsa. Per quanto Vegas sia formalmente ancora parlamentare in attesa di nomina nel nuovo prestigioso ruolo, avremmo apprezzato da lui un gesto di sensibilità che segnalasse, astenendosi dal partecipare alla votazione, che il candidato si sente già soggetto super partes e non, fino all’ultimo momento utile, soggetto politico in attesa di nuovo incarico.

Coincidenza di interessi

 

 

Proposte per uscire dalla crisi dell’euro

La crisi della Grecia prima e degli altri paesi alla periferia della zona euro attualmente, hanno posto drammaticamente la possibilità del fallimento del progetto economico e politico dell’euro. Molti economisti hanno proposto soluzioni diverse e non necessariamente alternative per cercare di porre rimedio alla crisi. Concentrandoci sugli aspetti istituzionali riportiamo qui, in forma schematica, le proposte formulate fino a questo momento.

 

Siti archeologici

Dopo il soffitto della Domus Aurea, la Casa del Gladiatore, i muri della Casa del Moralista e della Casa del Lupanare Piccolo, chissà se questo Governo intende far crollare anche un altro importante reperto archeologico: …il decreto Bersani sulle liberalizzazioni. Non è un reperto archeologico dite voi? Il Governo pensa invece che lo sia eccome:

http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti_ministeri/sviluppo_economico/pacchetto_Bersani.pdf

Lucy la Franca

La parola ai numeri: disoccupazione

 

Il disagio occupazionale in Italia non accenna a diminuire. A ottobre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il massimo da quando esistono le indagini mensili dell’ISTAT, ovvero dal 2004 (rispetto alle serie storiche trimestrali dal I trimestre 2003 quando la discoccupazione era 9,1%). A questo tasso bisognerebbe aggiungere il numero di persone a tempo pieno le cui prestazioni sono state ridotte a zero ore grazie ai trattamenti di Cassa Integrazione (gli istogrammi nel grafico dividono il totale di ore autorizzate per il numero medio di ore mensili di un lavoratore a tempo pieno). Sommando i due dati si giunge a un indice di disagio occupazionale superiore all’11 per cento.

C’è ancora qualcuno che osa sostenere che la crisi da noi ha avuto solo un modesto impatto sul mercato del lavoro?

Pagina 120 di 196

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén