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LA PAROLA AI NUMERI: RAPPORTO DEBITO/PIL

 

 

Il Presidente Napolitano nel suo messaggio di fine anno ha fatto riferimento al debito pubblico come un fardello che pesa sulle spalle dei giovani. Ma quanto grande è il debito pubblico del nostro paese? Molti giornali spesso riportano le cifre assolute del debito pubblico italiano. ma quello che conta davvero è il rapporto fra il debito e il reddito generato in un paese, una misura del grado di sostenibilità.  Il primo grafico ricostruisce l’andamento negli ultimi tre anni del rapporto debito pubblico/Pil. Come si può notare il valore di questo rapporto è cresciuto in modo marcato, soprattutto nel 2009, anno in cui la crisi ha determinato una sensibile flessione del Pil, che ne è il denominatore.
Sono molti i fattori che concorrono a determinare le oscillazioni mensili del rapporto debito/Pil. E’ però interessante notare che sia nel 2008 che nel 2009 esso diminuisce significativamente  negli ultimi 1-2 mesi dell’anno. E’ quello che possiamo aspettarci anche nel 2010.  A fine anno infatti il Tesoro tende a correre ai ripari: con un’attenta gestione della cassa (es. posticipando dei pagamenti) cerca di contenere il fabbisogno, il debito nominale e con esso il rapporto debito pubblico/Pil.

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16 commenti

  1. Vito Piruzza

    A un governo che continua a citare come punto d’orgoglio e d’onore il fatto di "non mettere le mani nelle tasche degli Italiani", che reagisce all’innalzamento delle percentuali della pressione fiscale dando la colpa all’andamento dell’economia, andrebbe chiesto di completare la suddetta frase con la precisazione "di oggi" perché agli Italiani di domani altro che "mani in tasca"…..

  2. gaiancarlo c

    Quando leggo articoli e osservazioni del genere mi piange il cuore a pensare che per la dabbenaggine di buona parte degli italiani (che, secondo me più di altri popoli, hanno storicamente manifestato una predilezione per chi sa prenderli in giro) non si sia potuta continuare l’opera di riforma e di normalizzazione iniziata dai governi che si sono succeduti dal 1992 al 2001. Una buona parte di quelli che, col loro voto, scelgono la perpetuazione dello status quo venutosi a formare nel 2001, pagheranno e faranno pagare ai loro figli le conseguenze di queste loro (spesso inconsapevoli o irrazionali) scelte. Come nel ’92. Come nel ’45. Peggio per loro, verrebbe quasi da dire…

  3. BOLLI PASQUALE

    I nostri politici distratti dal bunga bunga e dalle cene a base di cotechino possono preoccuparsi della drammatica situazione finanziaria e produttiva in cui versa il nostro Paese? Gli italiani sono tranquillamente seduti su un vulcano in eruzione:sarà sicuramente tardi quando ne avranno coscienza. Il nostro debito pubblico è spaventoso, la nostra economia è in totale depressione; la nostra politica economica è inesistente perché, nei fatti, non c’è Governo. Nella situazione in cui ci troviamo per evitare la stessa sorte della Grecia si dovrebbero tempestivamente fare le riforme degli Enti Territoriali (eliminazione delle Province accorpamenti di Comuni di minore entità, eliminazione di Enti inutili); riduzione di parlamentari; riformare il sistema fiscale che,allo stato, è un colabrodo; non favorire, con scudi e condoni, l’evasione fiscale che unitamente alla improduttività del Paese farà in modo che Tremonti non avrà più necessità di stringere cordoni perchè la borsa non c’è. E allora? Esortiamo gli italiani ad invocare pazienti la Divina Provvidenza perchè faccia la sua grazia e provveda.

  4. Giorgio Massarani

    Il rapporto Debito Pubblico/PIL è l’indicatore più utilizzato nel mondo, ma secondo me la peculiarità italiana consiste nel fatto che una buona metà dei titoli del debito pubblico sono nelle mani di investitori esteri e quindi una buona metà del servizio a tale debito viene pagato a loro, generando un flusso di denaro che fuoriesce dalla circolazione italiana. Questa emorragia potrebbe essere rappresentata da un indicatore che evidenzierebbe quanto il fardello portato dagli italiani operi già oggi e non in un indeterminato futuro. Questa situazione tra l’altro ci differenzia dal Giappone che ha sì un rapporto debito/PIL del 200 % o più, ma nelle mani del popolo giapponese e del suo risparmio. Un altro indicatore che i mercati usano è il differenziale dei tassi di rendimento, ad esempio lo spread sul Bund a 10 anni, indicatore che viene spesso dato per il rischio paese e che ha in qualche modo a che fare con i tassi dei CDS. Credo che per rappresentare le molte facce della situazione e la sua gravità, ci vorrebbe più di un indicatore.

  5. adriano velli giornalista

    Vorrei far presente che fra gli economisti e studiosi più seri è da tempo in corso un dibattito sulla scarsa attendibilità del Pil, non solo come indicatore del reale benessere di una nazione, ma anche come parametro rapportato al debito pubblico. Marco Fortis ha scritto una serie di interessanti articoli in proposito. Del resto basta citare il caso dell’Irlanda, sull’orlo della bancarotta con un rapporto debito pil più basso della media europea. I veri indici di solvibità sono altri. Il più importante è quello della ricchezza finanziaria delle famiglie. Se queste ultime sono a loro volta troppo indebitate e non sono in grado di sottoscrivere titoli del tesoro, non c’è Pil che tenga. Sotto questo aspetto, l’Italia è piuttosto ben messa con un rapporto risorse finanziarie nette interne- debito pubblico attorno al settanta per cento, poco più della Germania, al pari della Francia. Il dil ,debito pubblico più debito privato, non è un’invenzione di Tremonti, dovrebbe essere l’indicatore più veritiero del nuovo patto di stabilità.

  6. Michele Griffa

    Come mai, nel primo grafico, dove vengono riportate tre curve, una per ogni anno, c’é sempre un a discontinuità, i.e., un salto, tra la fine di un anno e l’inizio dell’anno successivo, mentre tale discontinuità non è presente nel secondo grafico ? E’ stato rimosso un punto dalla serie temporale complessiva, alla fine di ogni anno, in modo da poter rappresentare i segmenti annuali in tre differenti curve nel primo grafico? Sembra così a prima vista, confrontando i due grafici. Tuttavia, un lettore senza abitudine ai grafici potrebbe venire in mente di chiedersi cosa succede alla fine di ogni anno, in corrispondenza della discontinuità. Sarebbe utile anche citare il sampling rate di tale serie temporale (quante stime per mese? Due ? così sembra dal secondo grafico). Grazie mille per l’interessante dataset.

  7. Enrico Motta

    Ammesso che ciò che conta nella sostenibilità del debito pubblico è il rapporto debito/PIL, quando questo rapporto diventa insostenibile? Inoltre non ho capito perchè tra gli economisti sia di moda prendere sottogamba il debito in valore assoluto; guardate che è su quello che si pagano gli interessi, non sul rapporto; ciò che scade ogni mese e deve essere rinnovato, è una frazione del debito e non del rapporto col PIL. Paure da non economista? Ne riparliamo al default dei conti pubblici.

  8. bruno rubatino

    Volevo porre una domanda: esiste il rischio, in questo caso per i paesi già costretti a riccorrere ad aiuti esterni, di essere in qualche modo "controllati o influenzati" da chi compra quote importanti del loro debito pubblico e in particolare mi riferisco alla cina che si è offerta di comprare il debito pubblico portoghese, spagnolo non dimentichiamo che la stessa cina detiene una fetta consisdtente del debito pubblico degli Stati Uniti?

  9. Fabio Colasanti

    Due dati tratti dal conto consolidato della Pubblica Amministrazione (Stato centrale, previdenza sociale, regioni, province, comuni) del 2008, l’ultimo che ho sottomano. Spesa per investimenti fissi lordi: 34,97 miliardi di euro; spesa per interessi sul debito pubblico: 80,89 miliardi di euro.

  10. Giorgio

    Negli ultimi anni il debito pubblico è aumentato più dell’indebitamento (entrate meno uscite), Nel 2008 l’indebitamento fu di 42,3 mld. di euro. Il debito crebbe di 66,7 mld. Nel 2009 l’indebitamento fu di 80,6 mld, ma il debito crebbe di 97,1 mld. Ad ottobre di quest’anno il debito era già cresciuto di 103,8 miliardi, mentre si prevede che l’indebitamento possa essere di 77,7 mld. Può essere che negli ultimi due mesi questo divario venga ridimensionato. Ma è un fatto che le dotazioni finanziarie sono maggiori di quelle che sarebbero giustificate dallo squilibrio di bilancio. Una simile politica può avere senso se si vuole cogliere l’occasione dei bassi tassi di interesse, in previsione di un loro aumento. Ma ora che stanno aumentando, significherebbe aggravare ulteriormente il bilancio dello Stato con interessi non solo più alti, ma su un debito accresciuto. La differenza tra indebitamento e crescita del debito di questi tre anni è di 67 miliardi, quasi sufficiente a coprire un anno di fabbisogno. Si teme che il mercato possa rendere problematico il rinnovo del debito e il normale fabbisogno? Sarebbe un bel messaggio al mercato utilizzare questi fondi per ridurre il debito.

  11. Piero

    Non per complicare i grafici (ben fatti), ma sarebbe interessante completarli mettendo a confronto gli anni 96-01 e 01-06, magari evidenziando a parte l’avanzo/disavanzo primario, per poter osservare che ogni volta che Tremonti governa, i numeri peggiorano (provare per credere): abbiamo un genio, insomma!!

  12. Fabio Colasanti

    La forma di “controllo” che un paese come la Cina potrebbe esercitare su di un paese di cui avesse comprato una frazione non trascurabile del debito pubblico è quella di minacciare di non ricomprare più i titoli alla loro scadenza.

    Il rapporto del debito rispetto al PIL dà un’idea della sostenibilità della situazione debitoria. Il PIL viene preso come proxy dell’andamento atteso del “reddito” dell’indebitato, ossia dell’andamento delle entrate fiscali. Ma gli interessi si pagano sul debito effettivo. Se si vuole smettere di pagare così tanto si deve – a parità di tassi di interesse – ridurre la consistenza del debito pubblico e questo richiede un avanzo di bilancio. L’Italia non ha mai avuto un avanzo di bilancio negli ultimi cinquanta anni. Nel 2008, prima dello scoppio della crisi, nove paesi europei avevano un avanzo di bilancio.

    E’ chiaro che la disponibilità di risparmio domestico facilita il finanziamento del debito pubblico, ma dubito che questo fattore possa avere un grande peso. Il vantaggio deriva dall’inerzia dei risparmiatori nazionali che per abitudine continuerebbero a comprare titoli emessi dal proprio governo. Se si cominciasse a temere qualcosa di serio sul debito pubblico italiano, non vedo eroi che continuerebbero a comprare BOT contro il loro interesse.

  13. Giorgio

    Se si guarda agli ultimi dati disponibili, luglio 2010, resi pubblici dalla Banca d’Italia, i titoli di Stato sono in mano ad operatori esteri per il 52,5%. Il sistema bancario e finanziario ne detiene il 37,6% e gli altri residenti (prevalentemente le famiglie) il 9,9% (nel 2002 ne detevano il 28%). Sono quindi gli italiani a dubitare dei titoli di Stato. Nè vale il ritornello che essendo scesi i rendimenti, sono andati in cerca di alternative. La quota di azioni quotate non ha mai superato il 2,5% della attività finanziarie possedute. Dubito che sia andato a cercare sicurezza nei bund tedeschi (con rendimenti inferiori ai nostri). E’ cresciuta invece la quota detenuta in depositi e in risparmio gestito. Da un lato, la crescita dei depositi segnala paura tra i risparmiatori; dall’altro, la crescita del risparmio intermediato (assicurazioni vita, fondi, gestioni patrimoniali, ecc.,) denota una delega non so fin quanto consapevole. Sono le banche e gli operaotri esteri che sostengono le richieste del Tesoro. Sempre meno i singoli risparmiatori.

  14. Orazio Vecchio

    Il Sistema bancario italiano, come quello del mondo occidentale da alcuni decenni, basa la propria operatività sul sistema della riserva frazionaria. Pertanto le banche commerciali in base alla raccolta, che è formata dei depositi dei loro clienti, effettuano prestiti ad altri clienti mantenendo una riserva di circa il 2 per cento. Se la raccolta dei depositi di una banca è 100, questa può prestarne poco più di 98. E’ evidente che i prestiti effettuati da una banca, saranno usati da chi ha ottenuto quest’ultimi, per l’acquisto di beni e servizi, e quindi questi fondi verranno trasferiti ai venditori di questi beni e servizi, che magari depositeranno i fondi ricevuti in un’altra banca. Quest’altra banca quindi userà questa raccolta di 98 che la cifra del prestito effettuato dalla prima banca per effettuare dei prestiti ai propri clienti per circa 96, mantenendo anche essa una riserva di circa il 2%. Ovviamente i 96 prestati dalla seconda banca saranno fonte di ulteriore raccolta di altre banche e ulteriori prestiti. L’esempio appena descritto non è una fantasiosa teoria, ma è quello che succede nella realtà, a fronte di un deposito di 100 il sistema banc

  15. Alberto Confetti

    Siamo sicuri che la riserva frazionaria funzioni proprio così?

  16. basili gabriele

    Sappiamo tutti che il debito pubblico, a differenza del deficit, viene calcolato per cassa. Il rimedio più incisivo, secondo la mia opinione, è quello di aumentare fortemente le entrate, che hanno un impatto più immediato sul debito rispetto alle spese. Come? Lotta senza quariere all’evasione fiscale e destinare, interamente, dico interamente, tutti i maggiori incassi solo alla riduzione del debito pubblico. Aumentare gli introti derivanti dalle sole rendite finanziarie ed anche in questo caso destinarle alla riduzione del debito. Con la minore spesa per interessi, in un successivo momento, quando il debito si è fortemente ridotto, si potrebbe finanziare la riduzione del costo del lavoro per imprese ed operai, da un lato, e dall’altro ridurre le aliquote fiscali per i meno abbienti o dare sostegno alle categorie più deboli, in modo da rilanciare sia i consumi che gli investimenti, in modo da rilanciare anche la crescita, che, con un effetto a cascata, porterà ad un aumento delle entrate fiscali, che, a parità di altri condizioni, determinerà, contemporaneamente, la riduzione del deficit e del debito pubblico e così di seguito, con un processo che si autoriproduce. Basili Gabriele

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