Lavoce.info

Autore: Lorenzo Marrucci

La risposta ai commenti

Ringraziamo le risposte fin qui giunte.
Il nostro obiettivo è quello di spostare l’attenzione sulle altre barriere che impediscono la diffusione delle reti wi-fi territoriali a larga diffusione in Italia. La nostra tesi è che purtroppo l’abrogazione del decreto Pisanu non allevierà la carenza di reti-wifi in Italia proprio perchè non elimina quelle che noi riteniamo essere le reali barriere. Secondariamente sosteniamo anche che le ragioni di sicurezza del decreto Pisanu non sono peregrine. Prova ne è il fatto che regolamentazioni à-la Pisanu esistono anche in altri Paesi (Russia, India, Uk) nonostante sulla stampa il decreto Pisanu sia stato dipinto come un unicum italiano.
Vorremmo partire dalla nostra esperienza, crediamo condivisa con la maggior parte dei lettori de Lavoce, di utilizzatori di reti wireless in mobilità sia in Italia che all’estero. Le reti ad accesso anonimo, pur presenti in molti paesi (ed anche in Italia se ne trova ancora qualcuna), sono comunque degli incontri saltuari (non puoi prevedere dove le troverai) ed inaffidabili sia dal punto di vista della qualità del servizio che da quello della sicurezza, in quanto possono essere molto facilmente dirottate (il cosiddetto spoofing). Il loro utilizzo è fonte di distrazione e perdite di tempo: si passano decine di minuti a cercare tali reti con i vari devices ed a tentare di capire perché non funzionano o perché sono intasate. Da quando la minaccia dello spoofing si è diffusa poi, noi personalmente abbiamo proprio smesso di usarle per questioni di sicurezza (sul nostro laptop abbiamo praticamente tutta la vita).
Le reti migliori, perché accessibili in continuità ed in mobilità, che si trovano dove e quando se ne ha bisogno, nei posti giusti e con la qualità e sicurezza necessaria, sono quelle aperte non anonime di cui parliamo nell’articolo. Ci sono in tutte le città europee ed americane, le trovi per strada, negli aeroporti ed in altri spazi strategici. Purtroppo sono spessissimo a pagamento. Di queste reti non ne ricordiamo una sola che fosse ad accesso anonimo. Anche l’esempio dei treni danesi portato da Silvio, siamo certi che richiedesse la registrazione di un profilo.
Se questa esperienza è in parte condivisa da altri lettori, ci poniamo le seguenti domande: come mai all’estero, almeno nei paesi dove non vige alcun obbligo alla Pisanu (eh si lo ribadiamo, il Pisanu non è un unicum italiano, vedi sotto), si sono comunque sviluppate tantissime reti che richiedono qualche forma di autenticazione? Se avessero ragione i detrattori del Pisanu -come molti dei commenti- che dicono che qualsiasi forma di autenticazione impedisce l’uso di tali reti, non dovremmo osservarne alcuna. Ed invece sembrano un florido business nel resto del mondo. Se questo è vero, vorrete convenire con noi che il decreto Pisanu non può essere la vera barriera alla diffusione di queste reti in Italia. Come può essere che imporre una forma di autenticazione impedisca lo sviluppo di reti che all’estero si sviluppano già con qualche forma di autenticazione senza alcuna imposizione legale? Noi crediamo che il paradosso è presto spiegato: il Pisanu c’entra poco o nulla con il sotto-sviluppo di queste reti territoriali. In Italia sono difficili da realizzare per gli altri motivi che individuiamo nell’articolo.
Vogliamo sottolineare che l’obbligo di autenticare le connessioni ad internet tramite wifi non è un unicum italiano. Obblighi in linea con il decreto esistono in paesi come la Russia, l’India e la civilissima Gran Bretagna. Anche li hanno ovviamente sollevato polemiche. Però questo va a conferma del fatto che il quadro del decreto Pisanu forse non è così peregrino come lo si vorrebbe dipingere e che le ragioni di sicurezza che esso solleva, che non riguardano solo i casi -magari remoti- di terrorismo, sono comunque sentiti anche in altri importanti paesi.
Alla luce di queste riflessioni noi riteniamo che il tradeoff tra sicurezza e facilità di accesso, per quanto riguarda l’accesso ad internet tramite wifi sia ormai ampiamente superato nei fatti. Sistemi di login acquistabili anche dai piccoli esercizi a costi contenuti sono in commercio. Tra le aziende che li producono ci sono anche quelle citate nei commenti. Quello che serve fare ora -lo abbiamo enfatizzato nel testo- è favorire la diffusione delle reti territoriali che sono ostacolate da normative che con il decreto Pisanu non c’entrano nulla.

La riforma dell’università parte dalla governance

L’approvazione del disegno di legge Gelmini sull’università è stata rinviata alla fine dell’anno, in attesa che governo e parlamento trovino le risorse necessarie. Una battuta d’arresto che può essere utile per introdurre nel disegno di legge quegli elementi che lo renderebbero una vera riforma. Perché così come è adesso non interviene sulla questione centrale dell’autoreferenzialità dei nostri atenei. Nuove norme sulla governance interna degli atenei sono il presupposto indispensabile per l’affermarsi della meritocrazia e per contrastare il potere dei baroni.

 

LA CORTE COSTITUZIONALE, UN MODELLO PER L’UNIVERSITÀ

Come ridefinire l’assetto di governance degli atenei, evitando l’autoreferenzialità, ma garantendone l’autonomia? Un modello possibile è quello della Corte costituzionale. La nomina dei membri del consiglio di amministrazione sarebbe così affidata a soggetti diversi, ciascuno dei quali non sceglierebbe più di un terzo dei componenti. Ricordando che la gestione quotidiana dell’ateneo è affidata al rettore, mentre il ruolo del Cda è quello di fornire una guida strategica e una supervisione indipendente dell’operato degli altri organi di governo interni.

MANAGER ACCADEMICO CERCASI

L’assetto della governance delle università è la vera chiave di volta per qualsiasi riforma complessiva ed efficace del sistema. Il disegno di legge Gelmini fa importanti passi avanti verso la modernizzazione. Ma non risolve la questione delle nomine del consiglio di amministrazione e dell’elezione di rettore, presidi e direttori di dipartimento. Mantenendo sostanzialmente intatti i conflitti d’interesse, individuali o di gruppo, che oggi distorcono molti dei processi decisionali. E continua a mancare la figura essenziale del manager accademico.

Lezioni dall’estero

Un sistema di incentivi finanziari è senz’altro necessario, ma non può essere sufficiente per contrastare le logiche autoreferenziali del sistema universitario italiano. La catena del potere e della responsabilità non può più far capo solo ai docenti, ma deve rappresentare l’intera società che intorno all’ateneo si muove. In Italia molti temono una nomina puramente politica dei vertici universitari, ma dalle esperienze straniere si possono ricavare esempi molto interessanti ed efficaci, che potrebbero servirci di ispirazione.

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